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Rapporto Censis 2018. Dove rinasce la speranza?

di Martina Tafuro

Salari quasi  identici a 17 anni fa!
Tra il 2000 e il 2017 nel nostro Paese il salario medio annuo
è aumentato solo dell’1,4% in termini reali. La differenza è pari
a poco più di 400 euro annui, 32 euro in più se considerati su 13
mensilità. Nello stesso periodo in Germania l’incremento è stato
del 13,6%, quasi 5.000 euro annui in più, e in Francia di oltre
6.000 euro, cioè 20,4 punti percentuali in più. Se nel 2000 il salario
medio italiano rappresentava l’83% di quello tedesco, nel 2017 è sceso
al 74% e la forbice si è allargata di 9 punti.

“Quando compri credi di farlo col denaro, ma ti sbagli. Non si compra con i soldi, ma con il tempo che abbiamo usato per guadagnare quel denaro. In altre parole quando si consuma, si paga con la vita che se ne va”. E’ questa la risposta di Pepe Mujica, presidente dell’Uruguay dal 2010 al 2015 data a un giornalista che lo incalzava sulla necessità di consumare.

Quindi, seguendo il ragionamento di Mujica, bisogna essere ricchi per consumare molto.

Il punto è che passiamo tutto il tempo al lavoro per fare soldi e non ne resta per le altre dimensioni. Ecco perché le famiglie sembrano essere diventate dei non luogo, infatti se si analizza il tempo passato insieme da tutti i componenti della famiglia vediamo che le famiglie non son altro che delle stazioni di transito, dove il più delle volte ci si saluta a distanza. Insomma, la vittima sacrificale della nostra esistenza è la relazione, in tutte le sue accezioni.

In quest’ottica possiamo leggere il Rapporto Censis giunto alla sua 52ª edizione. Nell’edizione 2018 la pubblicazione ci descrive il momento storico che stiamo attraversando e cioè il passaggio da un’economia dei sistemi a un ecosistema degli attori individuali, verso un appiattimento della società. Nella parte dedicata alla società italiana del 2018, si affrontano i temi pregnanti emersi durante i 365 giorni passati: le radici sociali di un sovranismo psichico, prima ancora che politico, le tensioni alla convergenza e le spinte centrifughe che caratterizzano i rapporti con l’Europa, gli snodi da cui ripartire per dare slancio alla crescita. Infine, trova spazio il dibattito incentrato sulla formazione, il lavoro e la rappresentanza, il welfare e la sanità, il territorio e le reti, i soggetti e i processi economici, i media e la comunicazione, la sicurezza e la cittadinanza.

L’analisi del Censis evidenzia che il nostro tessuto sociale si è ingrigito, frammentato e chiuso, rinunciando a consumi e investimenti. Il rancore ha preso possesso del nostro agire collettivo, cambiando il nostro modo di essere facendo dell’invidia verso il prossimo il nostro compagno di viaggio.A dieci anni dal fallimento della Lehman Brothers, niente è cambiato se non che devi lavorare di più per non dover scendere sotto la soglia minima di guadagno per vivere dignitosamente. I giovani continuano a vivere la loro esistenza di precari esistenziali e cresce sempre di più il rancore, alimentato dal blocco verso l’alto dell’ascensore sociale e dalla percezione che non ci sia un futuro migliore. Accanto alla crisi materiale, vi è la crisi immateriale scaturita dalla fine dell’immaginario collettivo che ci proietta solo paure.

Pensiamo alle aspettative delle persone per la propria condizione economica: nel 1998 il 27,7% degli italiani era convinto che la propria condizione economica sarebbe migliorata e il 23% che sarebbe migliorata quella in generale. Nel 2008, anno della crisi, era il 19,6% a pensare che la propria condizione sarebbe migliorata e il 20,8% a pensare che sarebbe migliorata quella degli altri. Infine, nel 2018 è il 28% a dire che la propria condizione migliorerà, mentre il 35% pensa che migliorerà, in generale, quella degli altri.

In parallelo la percezione di avere le stesse opportunità degli altri per avanzare nella vita è bassa: è convinto di avere pari opportunità rispetto alle altre persone il 45% degli italiani.

Un altro aspetto importante, legato all’ascensore sociale bloccato, è la percezione che occorra difendersi da incertezze e paure, ciò si manifesta nel sentimento che le cose stiano andando nella direzione sbagliata: di questo è convinto il 60% degli italiani.

È caduta anche la fiducia nel futuro: il 39% degli italiani è sfiduciato nei confronti di ciò che verrà, la percezione che le cose vadano male si accompagna a confusione e incertezza verso l’ignoto futuro: il 35% degli italiani dichiara di non capire ciò che gli sta accadendo attorno.

Nelle Considerazioni generali del 52° Rapporto Censis, così viene descritta la situazione italiana:

“Il sistema sociale, attraversato da tensioni, paure, rancore, guarda al sovrano autoritario e chiede stabilità, rompe l’empatia verso il progresso, teme le turbolenze della transizione. Il popolo si ricostituisce nell’idea di una nazione sovrana supponendo, con una interpretazione arbitraria ed emozionale, che le cause dell’ingiustizia e della diseguaglianza sono tutte contenute nella non-sovranità nazionale. I riferimenti alla società piatta come soluzione del rancore, e alla nazione sovrana come garante di fronte a ogni ingiustizia sociale, hanno costruito il consenso elettorale e sono alla base del successo nei sondaggi politici in Italia come in tante altre democrazie del mondo.

Siamo di fronte a una politica dell’annuncio. Ma la funzione politica, la responsabilità della classe dirigente, il ruolo dell’establishment stanno nel proporre una prospettiva nel futuro. L’annuncio, senza la dimensione tecnico-economica necessaria a dare seguito al progetto politico, da profetico si fa epigonale.

L’errore attuale rischia di essere quello di dimenticare che lo sviluppo italiano continua ad essere diffuso e diseguale. Bisogna prendere coscienza del fatto di avere di fronte un ecosistema di attori e processi. C’è bisogno di un dibattito sull’orientamento del nostro sviluppo e sulla capacità politica di definirne i nuovi traguardi. Ritorna il tema dell’egemonia e del ruolo delle élite. Serve una responsabilità politica che non abbia paura della complessità, che non si perda in vicoli di rancore o in ruscelli di paure, ma si misuri con la sfida complessa di governare un complesso ecosistema di attori e processi”.

Napoli, 19 dicembre 2018