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FIGLI DI ISMAELE
di Maria Teresa Luongo

Mai come quest’anno dicembre si è tinto di un rosso dai molteplici significati. A quello sfavillante e allegro delle feste si è accavallato il rosso della protesta contro i rincari della benzina, quello dei gilet gialli francesi, che ha fatto temere nella prima settimana di questo mese addirittura un tentativo di colpo di Stato. Scene di resistenza e violenza che, a dirla tutta, hanno suscitato anche ammirazione per l’incredibile determinazione degli insorti. Ma il popolo francese nasce pur sempre nel battesimo della rivoluzione del 1789 e quando è insoddisfatto già sappiamo cosa accade. Queste contestazioni sono un’istantanea di una Francia diversa da quella che avevamo immaginato fino a qualche tempo fa, non così perfetta come sembrava; voce di una maggioranza che non è ricca, che molto spesso stenta ad arrivare a fine mese e che ha un capo di governo che evidentemente è stato (almeno per il momento) incapace di capire i veri bisogni della sua Nazione.

Il rosso del sangue con il tragico attentato ai mercatini di Natale a Strasburgo che ferisce nuovamente la Francia, dove hanno perso la vita cinque persone tra cui un nostro connazionale, il giovane giornalista radiofonico Antonio Megalizzi. La sparatoria ha riproposto macabri scenari a cui stiamo tristemente abituandoci ma i video diffusi sconvolgono sempre e sempre in modo diverso: grida laceranti di chi è presente e vede scorrere tutta la propria vita in un attimo, probabilmente ripetendosi qualcosa del tipo “fa che non colpisca me”; il corpo di un uomo a terra in una pozza di sangue, gente nascosta nei bar, nei negozi o dove può; strade spaventosamente svuotate e pattuglie che perlustrano in ogni dove alla ricerca del killer e di ogni suo possibile complice. Il dopo lo conosciamo bene, quella concatenazione inevitabile di cordoglio/frasi fatte/polemiche dove vittime e carnefici diventano strumenti di propaganda politica.

Un rosso sangue macchia anche il confine tra Stati Uniti e Messico, dove una bambina di sette anni è morta per disidratazione e stanchezza. E al rosso si mischia il nero, il colore dei numeri segnati con il pennarello sulla pelle dei bambini al confine per “registrarli”.

Rosso imbarazzo per il messaggio lasciato dal ministro dell’interno Salvini durante la visita al Memoriale dell’Olocausto, nel corso del viaggio in Israele. C’è chi si indigna e chi in verità sorride al pensiero che tra cent’anni (ma anche prima) si leggerà nei libri di storia
“perché questo non accada mai più e perché i bimbi, tutti i bimbi, sorridano”.  Ma tra cent’anni forse i libri non ci saranno proprio più.

Questo mese ci ha fatto sentire spaesati ed orfani ed entrambi i sentimenti sono riconducibili allo stesso motivo: vediamo giorno dopo giorno formarsi un mondo instabile, diffidente, ogni progetto futuro cresce sotto la scure dell’incertezza. Pure la grammatica è vittima (ma su quest’ultimo punto cerchiamo di essere ironici). Siamo come l’Ismaele biblico, costretti a vagare nel deserto con un pane e un otre d’acqua, senza progetti definiti, scacciati dal padre che ci ha generato (e ognuno può interpretare come vuole quest’ultima affermazione). O, per chi preferisce un riferimento letterario, come l’Ismaele melvilleano (voce narrante del Moby Dick): così come quest’ultimo se ne va in giro per il porto di Nantucket con un piovigginoso novembre nel cuore non sapendo bene cosa fare, così noi vaghiamo senza una precisa meta in questi tempi di grandi promesse e grande sfiducia, di grandi cambiamenti non sempre esaltanti.

Un’altalena di eventi, tanti ne abbiamo omessi, che tuttavia ci “regalano” per Natale propositi e speranze per un 2019 diverso, cercando di ricordare che l’Ismaele biblico sopravvisse, sposò un’egiziana ed ebbe una lunga discendenza e che quello melvilleano fu salvato, unico superstite del disastro del Pequod.

Napoli, 19 dicembre 2018