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Un Grillo per la testa.
di Carlo Gimmelli

Mancherebbe solo l’ufficialità ma il Grillismo e il sogno del MoVimento sembrano arrivati al capolinea.

Il Savonarola genovese che, mettendo la rete al centro del Villaggio, con l’aiuto del suo mentore Gianroberto Casaleggio, aveva creato dal nulla e plasmato la meravigliosa Utopia della Politica del cittadino qualunque, dell’uno vale uno, dell’assalto alla Casta del Palazzo, novello Crono, in meno di una legislatura ha divorato la propria creatura.

In meno di cinque anni i “suoi ragazzi” hanno trasformato il consenso clamoroso del 34% che aveva messo in ginocchio la nomenklatura dei grandi carrozzoni politici, in un brodino riscaldato; in un drammatico effetto domino inesorabilmente sono crollati quasi tutti i totem morali che avevano incendiato la Piazza: il rifiuto del finanziamento pubblico, la rendicontazione degli scontrini (!), la restituzione di parte dello stipendio degli eletti, il doppio mandato, la lotta al sistema delle nomine dei boiardi di stato, la democrazia diretta via web, la guerra contro la casta.

La diversità.

Ma la realpolitik ha impiegato poco a “spiegare” ai boy-scout di papà Beppe che l’Utopia sarebbe durata iI tempo di una violenta ma breve burrasca.

E il Palazzo stantio e corrotto ha impiegato davvero poco per blandire e invitare al banchetto il Masaniello di turno, che dopo aver annunciato, festante, dal balcone del Principe, al popolo acclamante che “abbiamo abolito la povertà ”, si è fatto ingolosire dalla stanza dei bottoni.

La stessa Utopia che aveva illuso undici milioni di italiani che la casalinga di Poggibonsi potesse avere la stessa resilienza di un professore universitario (sulle competenze occorrerebbe un capitolo a parte) ma purtroppo dopo il dì di festa arriva inesorabilmente il Lunedì e la numerosa truppa di Beppe ha sbattuto il muso contro la dura realtà di pilotare il carrozzone.

In meno di un Amen si è passati dal “distruggiamo tutto” al “volemose bene”, in nome della “mission” sono saltati quasi tutti i capisaldi della Rivoluzione, la democrazia diretta della piattaforma Rousseau è stata una mano di vernice su una struttura verticistica, di fatto, retta da un uomo solo e da un gruppo di fidi pretoriani.

L’intuizione di Grillo, va detto, è stata geniale ma la realizzazione del progetto disastrosa a partire dalla selezione dei candidati che, a parte poche fisiologiche eccezioni, si sono rivelati dei meri pigiatori di pulsanti etero diretti, spesso senza una vita professionale o politica alle spalle che, catapultati in un immaginifico paese dei balocchi dopo l’iniziale entusiasmo son caduti nel vizietto di chi avevano combattuto e si sono preoccupati essenzialmente di conservare la poltrona il più a lungo possibile.

Da qui le capriole, i distinguo, le retromarce e i cambi di casacca, più di 100 in meno di quattro anni, un record, ad infoltire un gruppo misto outlet per gli acquisti dei vecchi nemici che diventano amici, magari in cambio di una candidatura alle prossime elezioni .

Di fatto, a parte il Manifesto costitutivo del reddito di cittadinanza, salvifico per milioni famiglie ma pasticciato nella parte relativa alle offerte di posti di lavoro mai visti, gli slogan dei pentastellati non si sono tramutati in azioni di governo, frenate dalle alleanze suicide, dalle guerre intestine per i ministeri, dalle pantomime sui rimborsi effettuati e poi cancellati on line.

Il default dei duri e puri della prima ora, Di Battista su tutti, che non hanno accettato la “normalizzazione” imposta dal doroteo Di Maio da movimento di rottura a partito liberal moderato europeista ha dato la stura alla spaccatura all’interno dei gruppi parlamentari che, nel caos e nella caduta libera del Movimento nei sondaggi sotto la soglia psicologica del 14%, neanche Conte, nuovo capo politico imposto da Grillo, riesce a governare.

Già, Grillo: il vecchio guru appare sempre più distante dalla sua creatura; Conte, da lui imposto come Capo politico, dopo una iniziale crisi estiva, non è riuscito a ricompattare e rilanciare il movimento e una folta rappresentanza parlamentare è controllata dall’amico/nemico Di Maio.

Anche sulle elezioni per il Quirinale le posizioni sono lontane, Grillo e Di Maio puntano ora su Draghi, Conte guarda ad un accordo con il centrodestra per un nome condiviso che non sia Berlusconi.

Le sliding doors hanno poi presentato a Grillo una nuova disavventura giudiziaria dopo il rinvio a giudizio del figliolo: una corposa indagine su un traffico di influenze che avrebbe favorito il suo amico Vincenzo Onorato, patron della compagnia marittima Moby, in cambio di finanziamenti illeciti al Movimento e alla società di Casaleggio, travestiti da investimenti pubblicitari.

Siamo solo all’inizio, la presunzione di innocenza è doverosa, ma vedere Grillo alla sbarra con le stesse accuse che ha usato per anni per demolire la Casta fa calare il sipario sulla grande Utopia.

Sipario.

Napoli, 24 gennaio 2022

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