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I selfie da estrema unzione

di Giulia Di Nola

Cosa non si fa per acchiappare l’attimo mortale a colpi di click, cosa non si fa per dimostrare al mondo quanto si sia coraggiosi e in definitiva, cosa non si fa per ricevere like e consensi sui social network. Una generazione di vuotisti, quella degli adolescenti contemporanei, sostenitori, per me, d’una “insostenibile pesantezza del non essere”: in attesa di un treno, dagli eden più alti delle metropoli, dagli orli inesorabili d’un precipizio o il puntarsi un’arma alla tempia, sono questi i giochi di cui, oggi, i giovanissimi “cuor di leone” usufruiscono per trascorrere il tempo libero. Dal 2014 al 2017 le morti in diretta, quelle da teatro intendo, sono aumentate lasciandoci comunque l’amaro nell’animo e uno sgomento sconfinato.

La morte prende il sopravvento sulla vita e l’apparire esibizionistico, plateale e mondano prevale sulla riservatezza e sul rispetto dell’esser-ci. Un’over-dose di tetre e miserande immagini invade le nostre coscienze per lo più addormentate, labili e snellite da una carenza affettiva e da una sempre più crescente sparizione di valori.

Il sociologo Marziale, garante per l’infanzia e per l’adolescenza calabrese, di fronte all’ennesimo tentativo di suicidio in diretta, ci avverte di non colpevolizzare i nostri giovani perché ogni epoca ha avuto o subito percorsi estremi. Ma, in netto disaccordo col pensatore, personalmente non me la sento, infatti e in alcun modo, di giustificare, appieno, una simile melanconica decadenza spirituale che affonda le radici nella latitanza e nell’irresponsabilità genitoriale.

Sempre più soggiogati dal potere della virtualità, i genitori ricordano raramente, o troppo tardi, d’avere dei figli in carne e ossa con le loro crescenti problematiche, con il loro desiderio legittimo d’essere ascoltati e amati in modo concreto e non immaginoso. L’irrefrenabile bisogno di postare foto di minori, di rendere pubblici i volti dei propri figli e darli in pasto al web, è la prova, ancora una volta, che sono sempre loro, gli indifesi, a pagare le spese delle superficialità di noi adulti.

Così, mentre si dà spazio alle immagini, in qualche angolo del nostro pianeta, uno dei nostri figli, starà dando vita al suo macabro rituale e in tempo reale, tra sorrisi spavaldi, starà provando il brivido delle tenebre!

Vorrei “postare” una frase di Agostino d’Ippona tratta dalla sua opera “La vera religione” cap. XXXV, che dice:

“Lo spazio ci presenta cose da amare, che poi il tempo ci porta via, lasciando nell’anima una folla di immagini che stimolano la cupidigia ora verso un oggetto ora verso un altro. Così l’animo diviene inquieto e travagliato nel suo vano desiderio di possedere ciò da cui è posseduto”.

Napoli, 30 marzo 2017