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ORDINE NEL NOSTRO PERCORSO (VI)
di Don Giulio Cirignano

      Può essere utile cercare di fare il punto del nostro percorso, mettere in ordine i pensieri fin qui svolti, non solo per renderli più chiari ma anche più efficaci. Sono inevitabili alcune ripetizioni.

     La prima, fondamentale riflessione: la differenza tra conversione e cambiamento. E’ il punto di partenza. Conversione e cambiamento sembrano due termini simili. In realtà, all’interno della riflessione che stiamo facendo hanno un significato profondamente differente. Abbiamo già detto qualcosa su questo punto, ma conviene insistere e precisare.

     Con il termine conversione intendiamo, nel nostro parlare comune, il passaggio da un comportamento disdicevole ad uno corretto. La parola ha significato morale. Dall’egoismo all’amore, dalla disonestà all’onestà, dalla idolatria dei propri istinti alla cura della responsabilità. La conversione nasce dalla coscienza del dislivello che esisterà sempre tra il vangelo e la sua realizzazione. Per questo la conversione è appello permanente nella vita cristiana. Riguarda ogni singolo discepolo, nel cammino di ogni tempo e di ogni giorno della sua vita. Siamo impastati di egoismo, provocati dal limpido orizzonte della agape, invitati a credere e gioire della misericordia.

    Con il termine cambiamento, invece, intendiamo qualcosa di profondamente diverso. Per comprendere può essere utile rifarsi ad una nota affermazione di Papa Francesco relativa al tempo che stiamo attraversando. Non solo un epoca di cambiamenti ma cambiamento d’epoca. Il che vuol dire essere entrati in una situazione nuova. Quasi un nuovo paese in cui dover apprendere lingua e usi diversi da quelli che abbiamo sempre usato.Conviene insistere su questa diversità.

   La conversione morale, come abbiamo detto, appartiene permanentemente alla sequela cristiana. Siamo tutti peccatoti, tutti sempre bisognosi di conversione. L’egoismo operativo in noi rende difficile il rapporto con noi stessi, con gli altri, le cose. L’egoismo è il motivo permanente della necessità di conversione. La cupidigia, l’invidia, la gelosia sporcano la vita. L’indifferenza verso Dio e verso il prossimo sporcano la vita, la rendono debole davanti alla tentazione. Non per nulla il Signore ci ha insegnato a chiedere al Padre di aiutarci a non soccombere alla tentazione. Solo abitando come passeri nella sua mano possiamo scoprire il nostro valore agli occhi di Dio e nella sua Grazia vincere la tentazione. Dunque la conversione coabita sempre con la vocazione alla sequela evangelica.

     Il cambiamento, invece, è qualcosa che si impone ogniqualvolta, alla luce dei segni dei tempi, una stagione del cammino cristiano si chiude e se ne apre una nuova. L’inverarsi delle nuove fasi nel cammino cristiano non deve stupire. In esso, come sappiamo bene, vi sono elementi che non cambiano perché usciti dalla premura di Dio. Sono gli elementi che non l’uomo ma Dio ha proposto e inventato nella sua mirabile fantasia. Valgono per tutti e sono immutabili. Ma Dio ed il Vangelo sono oceani senza fine. Pertanto la mente dell’uomo va ad essi, non solo a piccoli passi ma anche per limitate porzioni. Se gli elementi essenziali della fede non cambiano l’uomo, invece, è soggetto a profondo mutamenti che lo spingono a sempre nuove sintesi del mistero. Accanto agli aspetti perenni che scendono da Dio si intrecciano aspetti transeunti che dipendono dall’uomo. Sono sua provvisoria invenzione. Essi passano, invecchiano, diventano inattuali. In questo loro invecchiare configurano il passare del tempo. Rimanere legati ad essi senza prendere atto della loro inattualità significa continuare a vivere in un tempo che non c’è più. Maschere, non persone viventi.

     In altre parole il cambiamento si impone quando la coscienza avverte il passare delle stagioni di Dio. L’appello a cambiare non è più rivolto solo alla responsabilità individuale ma a quella di tutto il popolo di Dio. I segni dei tempi ci educano, fanno da punto di riferimento, impossibile ignorarli. Come è possibile non accorgersi di quanto anacronismo siamo intessuti? Invertire la rotta e mettersi al passo non è facile.

      Occorre un minimo di sana metodologia. Mi stupisce molto il fatto che mai o quasi mai ci si ferma per pensare. Mai intorno ad un tavolo, laici e laiche, religiosi e religiose, sacerdoti e vescovo, a pensare insieme, alla pari, se quanto facciamo ha ancora senso, se come lo facciamo è ancora accettabile, se facendo in modo diverso è più ragionevole, se facendo cose diverse diamo vita a qualcosa di più valido. Mai. Il tempo ci scorre addosso senza lasciare segni del suo passaggio, senza lasciare tracce di coraggio. Non è dappertutto così, non sono del tutto in letargo inquiete coscienze, grazie a Dio. Ma quando capita, non sono amate. Suggerirei alla parte molto clericale del popolo di Dio una buona pratica: guardarsi alla specchio, singolarmente ed in gruppo. Guardarsi spesso.

      Un po’ di umorismo forse nascerebbe per l’utilità di tutti. Ricordo una celebrazione liturgica in una località di mare presieduta da un vescovo e conclusa con la benedizione solenne. Mitria in testa, anello al dito, pastorale in mano. Due adulti vicini a me, erano uomini, le donne sono più pazienti, non poterono trattenere un commento ironico e sarcastico verso la figura del vescovo: che ganzo!sibillarono con un sorriso pieno di spontanea ilarità. Bisogna essere toscani per cogliere la lontananza, in quella frase, tra la pretesa suntuosità del rito e la comprensione della gente. A distanza di anni io ci rido ancora. Guardarsi allo specchio, dunque, soprattutto pensare. Ma non siamo discepoli di uno che amando la fraternità più di ogni altra cosa non poteva pensare per la sua comunità e nella sua comunità a ruoli di preminenza?

      Avete mai assistito a processioni nel giorno del Corpus Domini? All’ultima a cui ho partecipato, dopo le ventuno, in un tratto di strada, buio e trafficato, con l’illusione di esprimere la comunità e di parlare alla città, penso che non abbiamo pareggiato con la devozione le imprecazioni dei frettolosi automobilisti.

     L’organizzazione della catechesi per la preparazione alla prima comunione a cosa serve? Come è fatta, con chi è fatta, per chi è fatta? Non è possibile continuare con l’attuale impostazione. Genitori estranei, catechisti volenterosi ma spesso inadatti, ragazzi sempre più irraggiungibili.

      Le strutture pastorali riflettono spesso la situazione di crisi generale: consigli pastorali, commissione economica ecc.ecc.In qualche parrocchia si mostra un rendiconto preciso delle entrate e delle uscite. Ma in quante?

      Che dire poi dell’arruolamento del vasto bracciantato liturgico cultuale? Mantenere la comunità nel ruolo di stazione dei servizicultualisenza una concreta educazione degli adulti non serve.Sprecare l’enorme quantità di risorse che il Signore ha depositato nell’universo femminile non giova a nessuno. In particolare il vasto mondo delle famiglie religiose femminili attende di essere accostato con grande cura. E’ un ricco patrimonio da valorizzare. Nuove povertà attendono.

      Potremmo continuare a lungo nella elencazione degli spazi di cambiamento. Il benessere del popolo di Dio lo richiede con forza. Il benessere di tutti, laici e religiosi.

      La necessità di cambiare non annulla la necessità della conversione. Anzi, la conversione trova nel cambiamento la sua vera realizzazione. La conversione che non approda al cambiamento è come se fosse abortita. Un aborto di conversione, una parvenza di conversione. Come il cambiamento non può fare a meno della conversione così la conversione non può dare a meno del cambiamento.Quanti curano la propria privata conversione senza curarsi del cambiamento da operare con coraggio non si rendono conto di essere come foglie secche. Continuano a vivere nell’inverno e non conoscono il fresco spirare della primavera.

     Cambiare comporta comprendere che la devozione privata non è più sufficiente. Accanto ad essa deve prendere vita la coscienza di accogliere con tutto il popolo di Dio la vocazione messianica e profetica. Il popolo di Dio nella sua interezza e nella ricchezza delle sue risorse può farsi voce per la comunità umana di una maniera diversa di vivere. Farsi fermento nella grande massa della convivenza di nuovo e più ricco umanesimo. La conversione, preziosa storia della grazia tracciata nel cuore dell’uomo, se non si coniuga con la volontà di cambiamento rischia di degenerare in intimismo individualista, storia senza respiro. L’individualismo è una delle connotazioni meno felici ereditate dalla lunga stagione della Controriforma. Ne siamo stati segnati in profondità, tutti. Ciò rende particolarmente difficile accogliere l’invito al cambiamento. Non se ne vede la necessità e, come si è detto, quel che è peggio non si individuano i campi di attuazione.

Napoli, 27 maggio 2018