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Napoli, grande successo di partecipazione all’ IC 71° Aganoor – Marconi per il convegno sul bullismo.

di Annarita Lombardi

«“Ciccione”, “gay”, “brutto”. Parole che fanno male, che feriscono, uccidono soprattutto se hai 15 anni e provengono da qualcuno che avrebbe dovuto essere tuo amico. Parole che si intrecciano con l’autolesionismo e, in alcuni casi, persino con il suicidio». A parlare così, ieri, presso l’IC 71° Aganoor – Marconi di Marianella è stata ancora una volta Teresa Manes, mamma di Andrea Spezzacatena morto suicida il 20 novembre 2012 a Roma, stanco delle continue e persistenti prese in giro di compagni di scuola, di coetanei, un accanimento psicologico che forse Andrea, a un certo punto, non ha più saputo gestire.

A distanza di anni il racconto della madre del ragazzo “dai pantaloni rosa” ha fatto calare il silenzio in una sala gremita di ragazzi, alla presenza di Maria Rosaria Russo – Dirigente scolastico IC 71° Aganoor-Marconi; Claudio Aletta – Compartimento di Polizia Postale e delle comunicazioni della Campania; Carmine Mocerino – Presidente Commissione Speciale anticamorra e beni confiscati Regione Campania; Alfredo Fiore – Dirigente dell’IC Galileo Ferraris; Antonietta Bozzaotra – Presidente Ordine degli Psicologi della Campania; Domenico Buonanno – Presidente “Salvabimbi” Onlus uniti in un unico coro: fare un uso consapevole del web che non deve essere luogo di offese ma luogo di informazione e confronto.

Parlarne. Nelle scuole, in tv, sul web, ovunque. Questo è un modo non soltanto per rendere consapevole un pubblico di adolescenti e/o genitori di vittime e carnefici, ma anche per arrivare agli stessi ragazzi, evitando che attorno ad essi calino silenzio e indifferenza: «Parlo ai ragazzi per arrivare al loro cuore e far ragionare le loro teste», ha detto Teresa Manes. La solitudine e il senso di abbandono sono gli aspetti più dolorosi e pericolosi per i giovani. Bisogna invece far sentire loro che non sono soli, che non sono loro quelli deboli ma che i veri deboli sono coloro che si prendono gioco delle fragilità degli altri per non vedere le proprie, che hanno bisogno di schiacciare gli altri per innalzare sé stessi. Non bisogna darla vinta a coloro che pensano bene che calpestare è più facile che fare i conti con i propri limiti.

Un paio di jeans scoloriti dal lavaggio è l’immagine che Teresa Manes ha voluto tenere stretta quando ha scelto il titolo del libro “Andrea oltre il pantalone rosa”, edito da Graus editore ed è anche il simbolo più vero che Teresa potesse portare con sé nel lanciare l’impegno sociale e la sua missione: un modo per trasformare il dolore in energia positiva. Bisogna lottare con tutte le forze, gridare che i più forti sono loro, quelli che non hanno bisogno di uccidere – seppur con le parole – per sentirsi grandi.

Napoli, 24 maggio 2018

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