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Le Capuzzelle, una storia tra sacro e profano
di Pio Gargano

Il cimitero è scavato nella roccia tufacea gialla della collina di Materdei.

Esso fu utilizzato a partire dalla seconda metà del XVII secolo per raccogliere i resti dei morti durante le grandi epidemie di peste e colera e, più generalmente, di quanti non avessero la possibilità economica tale da garantirsi una degna sepoltura all’interno delle chiese cittadine. Tuttavia, si narra che, quando non c’era più spazio in una chiesa veniva dato compito ai “salmatari” di disseppellire di notte i defunti più vecchi e stiparli in cave come quella delle Fontanelle.

La Cava delle Fontanelle diventò il Camposanto delle Fontanelle nel 1654 quando la pestilenza si abbattè sui Napoletani decimandoli. Per cui furono stipati tra le 250.000 e 300.000 salme su una popolazione di 400.000 abitanti.

In particolare furono qui seppellite le vittime dell’epidemia di peste del 1656 e di quella di colera del 1836, durante la quale morì anche Giacomo Leopardi.

A queste disgrazie ne seguirono altre carestie, tre rivolte popolari e altrettanti terremoti, nonché cinque eruzioni del Vesuvio ed in ogni caso si utilizzò il Cimitero delle Fontanelle per accogliere le salme.

Il cimitero delle Fontanelle è formato da tre grandi gallerie. Queste gallerie, per la loro imponente grandezza, sono chiamate navate come quelle di una basilica. Ogni navata ha ai propri lati delle corsie dove sono ammucchiati teschi, tibie e femori e ha un proprio nome:
la navata sinistra è detta “navata dei preti” perché in essa sono depositati i resti provenienti dalle terresante di chiese e congreghe;
la navata centrale è detta “navata degli appestati” perché accoglie le ossa di quanti perirono a causa delle terribili epidemie che colpirono la città (la peste su tutte, in special modo quella del 1656); infine la navata destra è detta “navata dei pezzentielli” perché in essa furono poste le misere ossa della gente povera.

In seguito alla improvvisa inondazione di una di queste gallerie, i resti vennero trascinati all’aperto portando le ossa per le strade. Allora le ossa furono ricomposte nelle grotte, furono costruiti un muro ed un altare ed il luogo restò destinato ad ossario della città.

Oggi si possono contare circa 40.000 resti, ma si dice che sotto l’attuale piano di calpestio vi siano compresse ossa per almeno quattro metri di profondità, ordinatamente disposte, all’epoca, da becchini specializzati.

La frase tutta napoletana “a refrische ‘e ll’ anime d’o priatorio”, intende il sollievo per le anime dall’ arsura delle fiamme del Purgatorio, anche attraverso un’ attività meramente pratica, la “pulizia” dei teschi negli ossari.

Il cimitero rimase abbandonato fino al 1872, quando il parroco della Chiesa di Materdei, Don Gaetano Barbati, con l’aiuto di popolane mise in ordine le ossa nello stato in cui ancora oggi si vedono disposte.

Nel 1969 ci fu la chiusura del cimitero, sancita dal Cardinale Ursi che voleva sradicare questo culto pagano che sconfinava anche in comportamenti illeciti come la sottrazione delle capuzzelle, alcuni riti di ammissione nella malavita organizzata e nell’esoterismo.

Solo il 23 maggio 2010, dopo la pacifica occupazione degli abitanti del rione, ha convinto l’Amministrazione Comunale che lo ha riaperto. Da quel giorno il cimitero è realmente di nuovo accessibile.

Il sito è aperto tutti i giorni dalle 10.00 alle 17.00

Napoli, 30 gennaio 2018