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Polvere di Stelle…. E’ accaduto: Di Maio lascia il MoVimento e fonda il partitino per sopravvivere. Dalla scatoletta di tonno alla difesa della poltrona.
di Carlo Gimmelli

Purtroppo siamo stati cinici e realistici profeti: ciò che scrivevamo e appariva ineluttabile da almeno un anno si è concretizzato in pochissime ore e si è abbattuto come uno tsunami su ciò che resta dell’Utopia del Movimento 5 stelle.

L’ecumenico Bruto Di Maio, ha portato a termine il parricidio parlamentare contro il papà politico Cesare Grillo che, pur tra mille mal di pancia, aveva affidato la sua creatura all’enigmatico e divisivo Conte.

Dopo un’agonia di strappi, finte riappacificazioni, e silenzi cantatori Giggino ha staccato la spina e ha abbandonato il Movimento portando con sé cinquanta deputati e una decina di senatori per fondare “Insieme per il futuro” l’ennesima bocciofila di centro (data intorno all’1%) che farà da stampella a questo interminabile governo delle larghissime intese e ha, di fatto, sancito il de profundis dei pentastellati, ormai in caduta libera sotto il 10% e del trasparente Peppiniello Appulo.

Come anticipato, al di là delle stucchevoli dichiarazioni ufficiali circa una eccessiva radicalizzazione del movimento (ma non erano le posizioni con cui Di Maio ha fatto carriera?) accusato di un eccessivo putinismo contro il governo atlantista “draghiano”, il vero inconfessabile magheggio dell’ex bibitaro riguarderebbe il superamento della imbarazzante questione del doppio mandato, l’inespugnabile totem grillino, che avrebbe impedito a Di Maio e a molti notabili della prima ora di ricandidarsi alle prossime elezioni.

Manco a dirlo i sessanta parlamentari che hanno abbandonato il Movimento per seguire Di Maio nel nuovo gruppo sono per lo più deputati a fine corsa con le regole pentastellate da essi stessi votate; insomma un esodo di massa al seguito del carismatico Ministro degli Esteri, nella speranza di raccattare qualcosa alle prossime elezioni; dalla scatoletta di tonno alla difesa a oltranza della poltrona, roba da far rimpiangere Mastella e Alfano!

L’ex prediletto di Beppe Mao, considerato il predestinato, forse il più talentuoso, certamente il più scaltro dei figliocci politici allevati nei meet up degli albori del Movimento, l’ex “bibitaro\steward” parcheggiato allo stadio, l’eterno studente universitario fuori corso che passò in tre anni dai 59 voti raccattati come mancato aspirante consigliere alle elezioni comunali di Pomigliano d’Arco, la sua città elettiva, agli stucchi e alle poltrone damascate della vicepresidenza della Camera, ha messo a frutto le relazioni e le alleanze coltivate negli anni, anche e soprattutto con gli ex nemici, per garantirsi la continuità del potere personale accumulato lasciando al proprio destino politico i vecchi amici.

E il giovane Giggino, fin da subito dimostra, a differenza della quasi totalità delle truppe pentastellate, turisti per caso nei Palazzi del potere romano, di sapersi muovere con inattesa abilità nei felpati e infidi corridoi della politica politicante e riesce a passare in un amen dal ruolo di barricadero anticasta a quello istituzionale in doppiopetto.

Certo il talento sopraffino del trasformista non gli ha evitato qualche imbarazzante topica come la richiesta in stato di accusa di Mattarella, un unicum nella storia repubblicana, che replicò con un laconico silenzio stampa; oppure l’imbarazzante “non” spiegazione sugli abusi edilizi compiuti del papà Antonio, costruttore edile, a Pomigliano; o magari l’iconica e penosa scena del balcone di Palazzo Chigi con il grido al popolo festante “abbiamo abolito la povertà” (!); senza contare i numerosi incidenti grammaticali e storiografici (la democrazia “millenaria” francese, il presidente cinese “Ping”, Pinochet collocato in Venezuela anziché in Cile e qualche sofferenza di troppo con l’infido congiuntivo.

Generoso con gli amici liceali della prima ora ne ha distribuiti un bel po’ con importanti incarichi tra Ministeri e in prestigiosi colossi statali: tra cui Dario De Falco, Carmine America, Riccardo Fraccaro, senza dimenticare Valeria Ciarambino alla regione Campania, la giovane Assia Montanino e qualche vecchio collega universitario.

Abile e camaleontico, riesce quasi sempre a schivare le mine vaganti della gestione del potere riuscendo a scalare rapidamente le posizioni all’interno del Movimento e del palazzo: membro del direttorio pentastellato nel 2014, uomo immagine e capo politico nel 2017, ministro del lavoro e sviluppo economico (!) nel 2018, vicepresidente del Consiglio dei ministri, Ministro degli Esteri nel governo Conte II e nel Governo Draghi.

Nonostante il crollo dei consensi e l’implosione del Movimento, fino all’altro ieri era di fatto l’unico al governo superstite della rivoluzione anti casta pur avendo fatto marcia indietro su tutti i cardini dell’ideologia grillina che lo avevano issato al balcone di Palazzo Chigi.

Insomma, dopo il boato del 34% alle elezioni del 2018, mentre inesorabilmente il Movimento si impantanava nelle sabbie mobili dei compromessi e della crisi di identità, il nostro navigava sicuro tessendo pazientemente la tela del proprio potere e flirtando opportunamente ora con la Carfagna, poi con Giorgetti, quindi con Sala o addirittura con Brunetta nella speranza di creare una grande ammucchiata di centro, il Polo Riformista, grande mamma di tutti i transfughi dei moribondi partiti.

Oggi con una mossa repentina che, per adesso ha lasciato indifferente il Governo, ha dato il presunto colpo di grazia al Movimento che lo aveva elevato a politico e, probabilmente, dato la stura ad un altro suicidio politico dopo quelli di Mastella, Alfano e Renzi tutti passati dal delirio del partitino personale alla dipartita politica o caduti nel dimenticatoio.

Da Antologia del trasformismo suonano oggi alcune dichiarazioni del nostro eroe quando tuonava contro “il mercato delle vacche del Parlamento”, abiurando chi si faceva eleggere con un partito e poi si godeva la pensione in un gruppo diverso: “Chi vuole lasciare i Cinquestelle, firmerà un contratto (?) che lo obbligherà a dimettersi da deputato e poi si farà casomai eleggere in un altro partito!, nel Movimento non accadrà la vergogna dei traditori del mandato elettorale, chi non lo farà causa un danno al partito e risarcirà i Cinque Stelle.” ; “Il PD è il partito di Bibbiano, di Mafia Capitale delle banche che rubano ai risparmiatori, il PD è il Male assoluto”; “Il PD è un partito di miserabili che vogliono solo la poltrona ed escludo categoricamente ogni alleanza con il PD”;” La regola dei due mandati e il taglio dello stipendio sono due limiti che aiutano a restare con i piedi per terra. Ti fanno sentire che non sei eterno e ti costringono a fare delle scelte ogni mese su come spendere i tuoi soldi, proprio come fa la gente fuori dal Palazzo.”

Insomma, altro che trasformismo, qui siamo al triplo carpiato con avvitamento! Diceva Gianfranco Rotondi, emblema ineffabile di questo sistema di porte girevoli: “Per un politico le parole valgono solo nel momento in cui si dicono” e il nostro evidentemente ha fatto tesoro dell’aurea regola democristiana.

Si è rivelato meraviglioso e implacabile censore dei privilegi altrui, preoccupandosi preventivamente di mettere al riparo i propri: un anticasta incastonato nel potere che ha deciso di combattere.

Il predestinato di Beppe in pochi anni è riuscito a passare dalla scatoletta di tonno alla “dimaiocrazia, interpretando al meglio, novello Andreotti, la tesi del “meglio tirare a campare che tirare le cuoia.

Chapeau!

Napoli, 24 giugno 2022

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