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MaradoNapoli
di Carlo Gimmelli

Non è vero ma ci credo!

Il buon Peppino de Filippo ci perdonerà se osiamo tirarlo in ballo ma a volte anche il razionalismo più ortodosso si interroga su certi accadimenti.

Una domenica calcistica cominciata sotto i più neri auspici a partire da Giove pluvio che ha rovesciato sulla città 72 ore di piogge ininterrotte si è conclusa con la partita perfetta dopo il grandioso e commosso omaggio che il Napoli calcio, lo stadio e la città hanno tributato, in mondovisione, al titolare dello stadio partenopeo.

Giovedì 25 novembre la città ha reso omaggio al suo campione con l’installazione di una statua in bronzo a grandezza naturale nello spazio antistante il settore “Distinti” , dopo una gara pubblica indetta dall’amministrazione comunale: nonostante il tempo inclemente sin dalle prime ore della mattinata imponente il pellegrinaggio di migliaia di tifosi e non, con fiori e gli immancabili fuochi d’artificio.

Ieri, Domenica, commemorazione ufficiale al Maradona Stadium alla presenza del sindaco Manfredi, De Laurentiis, il gran capo della Fifa, ex compagni di squadra e la collocazione di una altra Statua bronzea all’interno degli spogliatoi, nell’intento futuro (?) di dedicare un Museo permanente con i cimeli storici di Diego ed aprire lo stadio alla città.

Si è detto tutto, troppo, sul calciatore, l’uomo, il Mito che una città sempre fuori dagli schemi ha identificato da quell’ iconico 5 luglio 1984 (lo scrivente, adolescente, era presente in tribuna, emozionato e impaurito come ad una “prima volta”) nell’ennesimo Uomo della Provvidenza calato sulla città per lavare un secolo di onte e umiliazioni.

E così fu, “il magnifico sgorbio”, immortalato da Gianni Brera, piccolo, rotondo, eccessivo, anarchico, sempre contro, condusse il mortificato ciuccio dal nulla al tetto d’Europa, concedendosi anche lo sfizio di regalare all’Argentina, praticamente da solo in una squadra di comprimari, la Coppa del Mondo ’86.

Sette anni infiniti, di vittorie, coppe e scudetti, ma anche di tragedie, guai giudiziari, droga, fughe, soffocato da un amore malato che, quando l’uso di coca era ormai diventato tossicodipendenza, e la malanapoli lo aveva accerchiato e ingabbiato, lo aveva costretto a supplicare il “padrone” Ferlaino a cederlo al Marsiglia, dove sperava di trovare una pressione meno devastante.

Ma Ferlaino sapeva che neanche “il padrone” poteva accontentarlo, temeva l’assalto al “Palazzo”: ormai la città si era impadronita del Mito, Maradona era Napoli, non poteva andare in nessun altra squadra, meglio perdere la paccata di miliardi di monsieur Tapie che rischiare le bombe sotto casa.

La favola, che favola non era, si concluse prima in farsa, con la Pulcinellata del doping scoperto dopo un anonimo Napoli-Bari (marzo ’91) per fargli pagare l’eliminazione dell’Italia ai mondiali ‘90 e l’attacco ai potenti del calcio dopo la vittoria regalata alla Germania in finale contro la sua Argentina; tutti sapevano che Diego da anni faceva uso di coca, tra l’altro deleteria per le prestazioni sportive, ma per il Campione si
chiudeva un occhio; il conto gli venne presentato, puntualmente, quando ormai trentenne, debilitato, inaffidabile e in rotta con la città che gli aveva perdonato tutto, non serviva più a nessuno.

Il dopo è stato una continua caduta con qualche illusoria risalita in cui addentrarsi è impresa assai ardua, forse inutile.

Il Mito era solo, e lo era sempre stato, circondato da una corte dei miracoli di parenti, falsi amici, procuratori famelici, malavitosi, donnette desiderose di farsi ingravidare , questuanti pronti a porgli anche il piatto dove potesse sputare pur di godere del prezioso nettare che Diego produceva.

La voragine di depressione, bulimia, tossicodipendenza che ne è seguita probabilmente è stata inversamente proporzionale alle vette di poesia calcistica che , forse, nessuno toccherà mai.

Ieri, nella giornata che la città e la Società calcio Napoli gli hanno dedicato, le sliding doors del calcio hanno previsto la presenza del numero uno del calcio mondiale: seduto accanto al presidente De Laurentiis, Gianni Infantino, capo di quella Fifa di inutili parrucconi e trafficoni che Diego, da calciatore e anche dopo, combatté senza sconti, gli ha reso omaggio. Applausi!

Lo spettacolo indegno che ne è seguito post mortem, con un corteo di eredi veri o presunti pronti a scannarsi in una guerra giudiziaria che si preannuncia senza fine, per spartirsi l’immenso tesoro generato dal marchio “Maradona” confermano la profezia che Diego fece all’amico giornalista Gianni Minà:
“Non sarò mai un uomo comune”.

Napoli, 29 novembre 2021