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MACEDONIA INDIGESTA!
di Carlo Gimmelli

Clamoroso al Cibali, l’Italia campione d’Europa si fa buttare fuori dal mondiale!

Onde evitare ipocrite levate di scudi chiariamo che di questi tempi da basso impero nessuno si prostrerà al Muro del pianto per questa dipartita sportiva ma è innegabile che il movimento pallonaro italico sta ravanando sul fondo, e tra poco inizierà a scavare, se non riesce ad invertire rapidamente la rotta.

Si profetizzava, fino a pochi giorni fa, una sfida all’ultimo sangue contro il Portogallo del vecchio re Cristiano Ronaldo per salire sulla giostra del mondiale 2022 (a dicembre!!) in Qatar, l’ultima follia a suon di tangenti petrolifere del carrozzone F.I.F.A.: bene! Alla disfida di Lisbona si sarà la Macedonia del Nord, 67° nel ranking mondiale che, novella Corea, ci ha rinfacciato tutta la supponenza, l’immaturità e l’autoreferenzialità di cui, spesso, siamo, qui si, campioni!

Diciamo subito che della partita c’è pochissimo da raccontare, una partita a senso unico, come era doveroso, ma senza anima, senza furore, senza sacrificio. Un’inutile costante supremazia che ha prodotto tanta confusione e una sola incredibile palla gol che l’inguardabile Berardi, solo davanti alla porta sguarnita ha fallito, passando la palla al portiere macedone che gliela aveva regalata prima. La Macedonia ha fatto quel che doveva fare, si è difesa con ordine, arroccandosi dietro la linea della palla e ripartendo in velocissimi contropiede, sperando di arrivare indenne fino ai rigori finali, è andata oltre: nel recupero dei tempi regolamentari una timida palla contesa a centrocampo viene arpionata dal “bomber” Trajikovski che si incunea in una stanca e impreparata difesa azzurra e dal limite fa partire un tiro incrociato che il distratto Donnarumma non riesce a deviare.

Game over e tutti a casa tra gli increduli festeggiamenti dei macedoni e il rituale pianto nervoso di alcuni azzurri passati in otto mesi da Campioni d’Europa a simbolo del fallimento calcistico nazionale.

Inutile stilare pagelle o cercare in Mancini (anche lui non esente da colpe) il facchino su cui caricare tutto il peso dello scorno italico: tutti bocciati, alcuni bocciatissimi, a partire da Insigne, sulla carta il più talentuoso ed esperto: uno spettro, assolutamente inguardabile, sempre fuori dal gioco, nessuna idea, nessun dribbling, solo palle giocate indietro per mancanza di coraggio e volontà.

Ecco! Insigne(ma non solo) è un po’ il simbolo di questa nuova leva calcistica 2.0, calciatori che, giovanissimi, con un talento acerbo e non ancora espresso, si sono ritrovati con contratti milionari, eserciti di procuratori famelici e già considerati top player senza essere, forse, neanche player.

Troppo contesi, troppo viziati, troppo fragili per caricarsi sulle spalle anche solo la responsabilità di battere la Macedonia del nord: manca la “fame”, la cattiveria, la voglia di mangiare l’erba che fa la differenza tra un buon giocatore e un campione, un capitano.

E non è un caso che Insigne ma anche tanti altri (Giovinco, Higuain, Balotelli, Pellè, El Shaarawy, Lavezzi) appena trentenni abbiano scelto campionati semi-dilettantistici, imbottiti di milioni di dollari ma finendo nell’anonimato sportivo.

D’altra parte, però l’Italia non è nuova a questi default, dopo i trionfi internazionali: la pancia piena, la mancanza di stimoli, l’eccessiva gratitudine del mister che ha continuato a convocare giocatori decotti e a fine corsa., hanno portato a storiche figuracce.

La Nazionale più amata di sempre, quella degli eroi spagnoli del Mundial ’82 di papà Bearzot, per esempio, non riuscì a qualificarsi per gli Europei in Francia del 1984, con la stessa squadra, e fece una figuraccia ai mondiali di Mexico ’86, dove partecipò di diritto, che videro il trionfo in solitaria di un ineguagliabile Maradona.

La splendida Nazionale di Vicini, forse la più bella, che arrivò ad un passo dalla vittoria ai mondiali di casa nostra nel 1990, eliminata ai rigori al san Paolo dall’Argentina di Maradona che firmò la propria condanna sportiva, neanche riuscì a qualificarsi per gli Europei del ’92 in Svezia.

La Nazionale di Lippi, campione del mondo del 2006 che umiliò la Germania a casa sua e sconfisse la Francia di Zidane ai rigori fu buttata fuori , cotta, al primo turno nei mondiali in Sudafrica del 2010.

Per la prima volta l’Italia manca due partecipazioni mondiali consecutive, anche questo è un record; ma, come già sottolineato in passato, questa depressione nasce da lontano e il successo all’Europeo inglese è stata solo una parentesi, merito del talento di Mancini e dell’empatia che ha trasformato un gruppo di buoni giocatori in un squadra quasi imbattibile.

La depressione economica post covid, mortifera in uno scenario già complicato, ha creato voragini finanziarie nei conti di quasi tutti i club di serie A, per tacere di quelli delle serie inferiori, che hanno tagliato i vivai e non hanno la lungimiranza di formare giovani talenti e futuri campioni, preferendo pescare all’estero a peso d’oro calciatori già rodati.

Giocoforza da tempo il livello medio dei calciatori italiani, tranne pochissimi casi, è mediamente peggiorato e quei pochi talenti vengono considerati prematuramente top players con contratti milionari che li demotivano e li fanno considerare arrivati in età giovanissima.

Dobbiamo considerare che gli anni dove i Totti, i Cannavaro, i Ferrara, i Del Piero, I Pirlo, i Toni, i Buffon e tanti altri, giocavano tutti insieme creando anche problemi di abbondanza al tecnico, al momento sono irripetibili.

Probabilmente la Nazionale non è più amata come prima: il proliferare di campanilismi antiunitari esacerbati da un preoccupante analfabetismo funzionale da social, e l’ostruzionismo delle squadre di club che con, malcelato fastidio, hanno il mal di pancia quando devono “prestare” i calciatori alla causa nazionale, rendono complicata la cosiddetta gestione del gruppo; la federazione, tra mille compromessi e strappi fa fatica a trovare “finestre” per gli stage e i ritiri degli azzurri in un calendario ingolfato da campionato, tornei e amichevoli di lusso per dare ossigeno agli asfittici bilanci dei club.

Martedì la (inutile) gara contro la Turchia, mentre Portogallo e Macedonia del nord si contenderanno l’accesso ai mondiali.

Mancini, dopo la gara, comunicherà le proprie decisioni, forse deciderà di dimettersi, già si parla di successori come Cannavaro o Pirlo.

Certi gli addii dei senatori Bonucci e Chiellini, ma saranno in tanti a salutare i colori azzurri, tra i big, i deludenti Immobile, Insigne, Florenzi tra i più papabili.

Ora la liturgia laica prevedrà il solito scaricabarile sulle responsabilità, probabilmente pagherà il solo Mancini, forse il meno colpevole, si ripartirà da un reset puntando sui giocatori emergenti del calcio italiano: già, ma quali?

La speranza è che questa ennesima delusione che ha portato l’Italia fuori dal calcio che conta per 12 anni, sarà il viatico per un vero repulisti dirigenziale nel Palazzo pallonaro per una rinascita di un calcio stanco e malato.

Napoli, 27 marzo 2022