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L’Incontro di Assisi
di Don Giulio Cirignano-biblista

Il recente incontro dei capi religiosi svoltosi ad Assisi nel trentesimo anniversario del primo di questo stesso tipo, voluto da Papa Giovanni Paolo II non può essere lasciato cadere nella dimenticanza, come succede spesso a motivo della nostra troppo convulsa esistenza.

In quella occasione l’esperienza religiosa nella molteplicità delle sue forme ha parlato al cuore del mondo. Un aspetto è balzato in evidenza rispetto a quel primo lontano avvenimento. IL clima di gioiosa fraternità fra i diversi capi religiosi unito a quello di una coraggiosa responsabilità per la pace.

Mi ha particolarmente commosso il volto sereno e gioioso di Papa Francesco. Era profondamente a suo agio in quella riunione di amicizia e di preghiera. Trenta anni fa la fantasia pastorale di Giovanni Paolo Secondo suscitò un qualche dissenso. Trenta anni non sono passati invano da questo punto di vista. Un clima di gioiosa, rispettosa, fraternità era palpabile se un anziano rabbino in carrozzella, scampato all’orrore della shoah si è potuto rivolgere al Papa, più o meno con questa parola: “Santità”. Un rabbino che saluta il successore di Pietro con l’appellativo di santità! Poi ha motivato il saluto rifacendosi al grande filosofo e maestro ebraico Maimonide dicendo che l’umiltà è la più alta delle virtù e che riscontrandola in papa Francesco giustificava tale l’appello. Un piccolo episodio di importanza assai notevole.

Di grande bellezza anche le parole del patriarca ecumenico, Bartolomeo: “ Quest’anno, nel 25° anniversario del nostro umile ministero sul soglio patriarcale di Costantinopoli, siamo lieti di poter essere assieme ai nostri fratelli e alla nostre sorelle delle altre denominazioni e comunità di fede cristiane, guidati dall’amato Papa Francesco, in un incontro e in un impegno comune per la pace dall’alto e per la pace del mondo intero”. Il Patriarca di Costantinopoli che parla dell’amato Papa Francesco!

A tale proposito meritano di essere riportate alcune parole proprio di Papa Francesco:” Cari fratelli, Dio ci esorta ad affrontare insieme la grande malattia del nostro tempo, l’indifferenza. E’ un virus che paralizza, rende inerti e insensibili, un morbo che interessa il centro stesso della religiosità generandoun nuovo tristissimo paganesimo, il paganesimo dell’indifferenza. Non possiamo restare indifferenti in un mondo che ha un’ardente sete di pace…..non c’è nessun domani nella guerra e la violenza delle armi distrugge la gioia della vita”.

Alcune affermazioni che sono rimbalzate in quell’incontro meritano di essere scolpite nella roccia: ”Il nome di Dio è pace”. Nessuno potrà più invocare il nome di Dio per legittimare la violenza. Poi, ancora: ”Solo la pace è santa, non la guerra”. Non esiste e non si potrà più parlare di guerra santa.

La dichiarazione di una partecipante al convegno di origine coreana che esprimeva un parere condiviso da parte delle molteplici esperienze religiose mi è sembrata particolarmente bella e di intenso significato. Con la guerra, si diceva tra l’altro, tutti sono perdenti, anche quelli che pensano di aver vinto.

Ognuno può andare a rintracciare in internet l’avvenimento nella sua totalità. Per noi sono sufficienti questi brevi frammenti per formulare alcune considerazioni che facciamo scendere nella nostra mente e nell’anima come profumo di speranza.

In primo luogo, l’esperienza religiosa, qualunque autentica esperienza religiosa è scuola di apprezzamento e rispetto per il mistero della vita. In un tempo come il nostro attraversato da fenomeni di disumana violenza l’appartenenza religiosa è canto alla bellezza del creato e alla struggente forza dell’amore inteso come premura e responsabilità. Il contatto con il Signore della vita se non è svilito in una frequentazione stanca e fiacca viene avvertito come grande risorsa per il nostro cuore spesso gravato dalle fragili seduzioni dell’egoismo. Dio, garanzia della qualità della vita.

In secondo luogo, l’incontro fra i diversi capi religiosi ha consentito a tutti di specchiarsi anche solo per un breve istante, nella varietà e ricchezza generata dalla ricerca di Dio. Dalla ricerca che l’uomo compie verso Dio e la ricerca che Dio attua nei confronti dell’uomo. In questo duplice senso tale ricerca è dignità. Al di là dei molti modi di vestire la propria storia religiosa, al di la delle molte e diverse maniere di esprimere il proprio credo, è bello rintracciare e quasi intuire la passione per tutto ciò che è buono e giusto. Da qui nasce il rispetto e la convinzione che nessuno può presumere di possedere da solo tutta la verità. Dio è un oceano sconfinato che non accetta di essere rinchiuso in schemi troppo angusti che la nostra mente può progettare. Siamo pellegrini di infinito verso un approdo che l’amore di Dio può farci solo intuire. La molteplicità è ricchezza, la diversità riconciliata un dono.

In terzo luogo, da non dimenticare, in una occasione come quella di cui stiamo parlando, gli aspetti di fragilità che accompagnano anche le storie più umanamente significative di pensiero e azione. La competizione, l’ambizione, l’orgoglio camuffato da vigorosa affermazione dell’identità, la contrapposizione, sono tutti segnali della fragilità che non possiamo mai dimenticare. Hanno macchiato tanti momenti del cammino religioso. Non sarà mai facile liberarsene del tutto, ma incontri come quello vissuto ad Assisi contengono in se stessi il dono di far assaporare la dolcezza della amicizia, la delicatezza del dialogo, la forza della preghiera comune.

I capi religiosi, partendo da Assisi cosa avranno riportato nelle loro sedi di origine? E’ difficile fare consuntivi. Ma forse si può ipotizzare che abbiano portato a casa qualcosa che non si era mai visto prima. Almeno da quando sono iniziati questi incontri, il seme dolce della comunione è stato sparso con amore dal Signore dell’amore e del perdono. Così, ogni uomo è invitato al banchetto della sapienza, e ogni esperienza religiosa è sollecitata a riscoprire la speciale vocazione per questo tempo di novità e cambiamenti.

Napoli, 27 settembre 2016