Lettera Aperta a Papa Francesco
Lettera Aperta a Papa Francesco
di Don Giulio Cirignano
Carissimo Padre Francesco,
ho pensato di scriverle perché ho domande da sottoporre alla sua attenzione. Domande semplici, forse infantili, ma non prive di una qualche utilità. Immagino facilmente quanto numerosi e grandi sono i problemi che ogni giorno deve affrontare. Per questo devo chiarire le ragioni del mio ingenuo coraggio.
Da quando lei è comparso alla guida della Chiesa un nuovo entusiasmo ha preso possesso del mio essere prete. Non sono più giovane e conservo nel cuore, con forte e motivata gratitudine, il ricordo del Concilio.
Ho atteso, poi, per diversi anni che spuntasse l’alba. Gli oltre quaranta anni vissuti a Roma in veste di Assistente Nazionale di una importante associazione cattolica non mi hanno fatto mancare motivi di gioia ecclesiale. Tante preziose iniziative sono state attuate. Ma c’era qualcosa che non girava per il verso giusto. I gran parlare che si faceva del Concilio mi pareva non si traducesse in convinta accoglienza delle sue importanti consegne. Ho avuto la sensazione che, soprattutto nella Chiesa Italiana, molti dei percorsi che nel Concilio avevano avuto inizio non riuscissero a trovare adeguata continuazione E’ opportuno spiegarsi.
Penso, in primo luogo, a quella specie di magnifica autostrada per giungere sicuri al cuore della esperienza cristiana che aveva trovato espressione nella “Dei Verbum”. Venivamo da un lungo digiuno a motivo delle polemiche con la Riforma. Il Concilio aveva rimesso al centro della liturgia, della teologia e della vita la Parola di Dio. Fu l’evento più entusiasmante. Dobbiamo riconoscere che qualche frammento di salutare cammino, in proposito, è stato prodotto, ma troppo poco. Ancora, per gran parte del popolo di Dio lo sguardo alla Bibbia è segnato da pesanti connotazioni di fondamentalismo. Alto è il tasso di estraneità alla Parola di Dio.
Penso, poi, alla configurazione interna della comunità cristiana quale popolo di Dio, alla affermazione della pari dignità di tutti i battezzati, alla riscoperta del sacerdozio comune, al ruolo del laicato, alla pluralità dei carismi e ministeri. Fu l’ora luminosa della “Lumen Gentium”. Che ne è stato di tutto ciò in questi recenti decenni? E’ difficile, purtroppo, non constatare, nella Chiesa italiana, una penosa emergenza di clericalismo e maschilismo. Come mai? Forse si sono sprecate energie più per elaborare il lutto per la conclusione solenne della fecondissima ma esausta stagione post-tridentina che impegnarsi con gioia evangelica a tradurre le concrete prospettive conciliari.
Ancora. La “Gaudium et spes” non aveva mirabilmente proposto la estroversione della Chiesa, il suo doveroso e fecondo affacciarsi sulle gioie ed i doloro dell’uomo contemporaneo?
Anche il terreno più semplice da dissodare, quello della partecipazione responsabile alla liturgia, così come indicato nella “Sacrosanctum Concilium”, ha registrato, a più riprese, incomprensibili incertezze ed inconcepibili resistenze. Era un progetto da abitare con fantasia e libertà. Ben poco è stato fatto in proposito. Ancora il nostro linguaggio religioso è vecchio, vecchi i canti che ancora si utilizzano nelle parrocchie, vecchie tante pratiche devozionali. Lei non ha mancato di farcelo notare, invitandoci a non aver paura di rivedere ciò che non serve più ad una efficace evangelizzazione.
Non si tratta di disconoscere la pietà popolare che lei ha riproposto alla nostra attenzione. Si tratta piuttosto, molto spesso, di crassa ignoranza. Certo, non mancano lodevoli eccezioni, ma ancora troppo elitarie. Anzi, talvolta pare di trovarsi di fronte ad un certo compiacimento nel prolungare una stagione che non c’è più. Elaborare il lutto non è vivere; anzi è garantire la permanenza di facce e fisionoma da funerale. Il discorso potrebbe prolungarsi ma forse quanto detto è già sufficiente per legittimare il sogno di un nuovo mattino. Non avrei mai immaginato che il Signore avesse in serbo una così grande sorpresa.
Per questa ragione ho ritenuto opportuno, in questi ultimi anni, spendermi per aiutare l’alba a nascere, ben consapevole dei miei limiti. Ho avuto da subito l’impressione che, nella Chiesa italiana albergasse una sorda resistenza alla azione dello Spirito. Una vera e propria situazione di peccato. Il mutare delle stagioni di Dio è dono della Grazia e non si può resistere impunemente alle sorprese del Signore. La condizione di passiva indifferenza riguardo alle novità dello Spirito diffusa nel popolo di Dio andava ostacolata coni fermezza. Il segno più evidente di questa indifferenza è stata la scarsa attenzione alla esortazione apostolica “Evangelii Gaudium”. Poco, troppo poco, è stato fatto per introdurre il popolo di Dio nel cuore di quel progetto.
Ecco allora le domande. Sembrano riferirsi ad aspetti secondari, ma non è così. Riguardano i sogni del Signore sulla sua Chiesa. Non possono essere ignorati. Dimenticarli è dimenticare Gesù. Non possiamo permettercelo! Perché, allora, nel popolo di Dio deve permanere una parte che si distingue in maniera così vistosa da tutto il resto? Dovrebbe “odorare di pecora” e invece è abbigliata con segni e vesti che ne sottolineano la distanza. Perché senza il minimo imbarazzo indossa cappelli di molti secoli fa, vesti filettate di rosso, fasce colorate, tricorni ridicoli ed inutili? Anello al dito e zuccotto rosso, ben visibile, in testa. Possibile che si desideri segnare il territorio , come si usa fare nel regno animale? Possibile che in quella parte manchino del tutto amici, un po’ ruspanti ma leali in grado di sollecitare maggiore normalità? Visti singolarmente i componenti di questa porzione del popolo di Dio fanno meno impressione, ma tutti insieme sono inguardabili!
Forse è venuto il momento di dire alto e forte, da parte di chi conserva innamorata memoria della stupenda lezione dei Vangeli (in particolare Mc.8,27-10-52) che quella parte del popolo di Dio non piace , non interessa , non si è più disposti a prenderla in considerazione finché continua ad usare nei rapporti e nell’esercizio della propria responsabilità modalità e stile così vistosamente estranei, non solo al Vangelo quanto al buon gusto.
Certamente non è solo questione di aspetti esteriori. Essi rivelano l’interno. Ne rivelano la mentalità. Manifestano un modo di autopercepirsi. Voglio dire che non è accettabile che una minima parte del popolo di Dio presuma di avere nelle mani, quasi in esclusiva, la responsabilità dell’Evangelo. Competenti in tutto!
La configurazione in casta, infatti, può impedire a chi ne fa parte di individuare talvolta perfino aspetti decisamente discutibili. Tanto per fare un esempio, abbiamo da poco celebrato il Sinodo sulla famiglia. Sicuramente una esperienza di dialogo e ascolto, soprattutto per merito suo, molto preziosa. Ma suscitava una certa perplessità il fatto che un gruppo di maschi, in gran parte anziani e per di più estranei alla vita familiare per volontaria scelta celibataria fosse felicemente sicuro di poter volgere lo sguardo, con competenza, alla complessa situazione della odierna realtà familiare. Esperti certamente della dottrina, ma altrettanto poco esperti della realtà.
Prima di chiudere, una precisazione, a scanso di equivoci, necessaria. In questo discorso non è in discussione, assolutamente, l’autorità nella Chiesa. Essa è un dono prezioso. Il sacerdozio ministeriale è un mezzo indispensabile per il popolo di Dio. Lei ce l’ha ricordato, con chiarezza, nella “Evangelii gaudium”. Non è di questo che stiamo parlando. Il sacerdozio ministeriale e l’autorità sono mezzi che il Signore dona alla sua Chiesa. Naturalmente, come tutti i vari ministeri richiedono di essere svolti “en kyrìo”. Trasparenza del Signore, in continua conversione. Anche questo ci ha ricordato (Ev.G. n104). Dunque non è in discussione il sacramento dell’ordine ma, più semplicemente, solo il modo storico del suo attuarsi.
Vengo, così, all’ultima domanda. La butto giù dura, senza giri di parole. Non si potrebbe con un semplice decreto, eliminare dall’oggi al domani questa ipertrofia storica, eliminando titoli, vesti e privilegi? Se non ora quando? Mi rendo conto delle difficoltà al riguardo. Anche al tempo del Concilio si tentò qualcosa di simile, ma poi non se ne fece nulla. Occorre pregare e per quanto mi riguarda non esiterò a farlo. Sono convinto che una vera ripartenza non è possibile senza questa coraggiosa conversione. Solo così il popolo di Dio ritroverà il profilo semplice e fraterno che Gesù ha inteso darle. Ogni ritardo, su questo punto, rende pesante il cammino. Qui sta il segreto della pace e della misericordia.
Nello scusarmi per il fastidio che posso averle arrecato, voglia gradire sentimenti di gratitudine per quanto ci ha donato in questi anni. Ma non solo di gratitudine, anche di affetto profondo. Che il Signore la mantenga ancora per molto.
Con stima, Don Giulio Cirignano.
Firenze, 6.12.2015