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Lampada sempre accesa: il pass per la festa senza fine
di frate Valentino Parente

…non venderemo mai la nostra veduta
alla vostra cecità.
Noi sappiamo dove andiamo:
seguiamo il sentiero di Cristo
che può apparire aspro.
Ma sappiamo che ci attende
la vetta del cielo…
Antonio Riboldi Vescovo

 


XXXII domenica del tempo ordinario Anno A
8 novembre 2020

Prima lettura (Sap 6,12-16)
Seconda lettura (1Ts 4,13-18)
Vangelo (Mt 25,1-13)

 

gesùDopo il discorso escatologico, cioè relativo al compimento finale della realtà terrene, quelle realtà che una volta venivano chiamate “i novissimi” (cioè: morte, giudizio, inferno e paradiso), l’evangelista Matteo propone tre parabole che sono le ultime tre pagine di vangelo che leggeremo in queste ultime tre domeniche dell’anno liturgico, prima dell’inizio dell’Avvento.

Siamo alla XXXII domenica del tempo ordinario, e al cap. 25 del vangelo di Matteo, leggiamo la parabola delle dieci ragazze che, secondo l’abitudine di un rituale palestinese, aspettano lo sposo, che però tarda ad arrivare.

Al centro della parabola c’è dunque il ritardo dello sposo.

È un argomento che interessa molto l’evangelista Matteo perché era un problema molto presente all’interno della sua comunità cristiana delle origini.

Più chiaramente: la venuta dello sposo si identificava con il ritorno glorioso di Cristo alla fine dei tempi.

Le prime comunità cristiane attendevano con entusiasmo la venuta gloriosa di Gesù.

E pensavano che questa venuta sarebbe stata imminente, un evento che doveva accadere vivente quella stessa generazione, e invece passavano gli anni e del ritorno di Cristo nella gloria… neppure l’ombra!

Il mondo non finì, le cose continuavano come prima, e alcuni cominciarono ad entrare in crisi. L’impegno cominciava a venir meno, l’entusiasmo si affievoliva.

Quelli che avevano aderito a Gesù con l’intenzione di seguirlo per accogliere la sua venuta, visto che questo ritorno non si realizzava, lasciavano perdere la vita cristiana.

L’evangelista Matteo usa questa parabola proprio per dire alla sua comunità cristiana di non scoraggiarsi se il Cristo non viene ancora, di non perdere la fiducia ma di continuare a vegliare, di non farsi mancare l’entusiasmo, di alimentare continuamente la gioia e l’impegno della vita cristiana, perché il Signore non verrà meno alla sua promessa.

La parabola, raccontata dal vangelo, parla dunque di dieci ragazze che con le lampade accese, attendono l’arrivo dello sposo.

Di queste, cinque sono dette sagge, perché insieme alle lampade, prendono anche dell’olio di scorta, mentre altre cinque sono dette stolte perché prendono solo le lampade, senza preoccuparsi dell’olio.

Succede che mentre sono in attesa, lo sposo tarda a venire e tutte si addormentano.

A mezzanotte si levò un grido: Ecco lo sposo, andategli incontro!  Allora tutte quelle vergini si destarono e prepararono le loro lampade”. VEGLIATE3

Ovviamente mentre le sagge avevano di che rabboccare le loro lampade, le stolte si resero conto che non avevano olio e furono costrette ad allontanarsi per procurarsene.

Ora, mentre quelle andavano a comprare l’olio, arrivò lo sposo e le vergini che erano pronte entrarono con lui alle nozze, e la porta fu chiusa. Più tardi arrivarono anche le altre vergini e incominciarono a dire: “Signore, signore, aprici!”. Ma egli rispose: “In verità vi dico, non vi conosco”.

Gesù conclude la parabola con un monito molto serio che lascia poco spazio alle interpretazioni: Vigilate, dunque, perché non sapete né il giorno né l’ora.

Il centro della parabola è occupato da una delle immagini più belle della Bibbia, l’immagine della lampada e dell’olio.

Due simboli molto presenti nel linguaggio biblico.

La lampada ci ricorda l’invito di Gesù a essere luce del mondo.

Ci ricorda la lampada che non può essere nascosta sotto il secchio, ci ricorda che non si può sprecare la vita, ma bisogna spenderla per realizzare il progetto di Dio su di noi.

La lampada però ha bisogno dell’olio per continuare a splendere: una lampada senza olio è inutile.

E l’olio di cui si parla è l’olio della fede, che alimenta la nostra vita in attesa dello sposo.

L’olio è anche quello che viene messo sulle ferite
di chi è stato bastonato dalla vita,
come nella parabola del Samaritano.
È l’olio della carità e della misericordia
.

Senza il tuo olio non funzioniamo né illuminiamo

Senza il tuo olio non funzioniamo né illuminiamo

Così come la lampada va alimentata dall’olio, allo stesso modo la nostra vita va alimentata di opere belle di carità e di misericordia.

La lampada è dunque la nostra vita quotidiana, fatta di incontri, di esperienze vissute, di relazioni, di responsabilità, di gioie e di sofferenze e di tutto quello che siamo.

Ma è una vita senza sapore se non viene accompagnata da quell’olio capace di dare significato ad ogni cosa.

Quest’olio è l’amore di Dio, quell’amore che il Figlio ci ha donato, affinché, con quello stesso amore, possiamo amare i fratelli.

Olio che ci fa luminosi, ci rende figli della luce, immagine del Padre.

Senza questo amore, invece, siamo stolti, andiamo contro la nostra stessa natura di figli di Dio.

Potremmo infatti avere la lampada più lucida, più bella, più preparata, ma se non ha olio non illumina e una lampada che non illumina, non serve a nulla.

Possiamo avere una lunga vita ma se non è alimentata dalla carità, dall’amore al prossimo, è una vita vuota, una vita che… non illumina.carità

L’olio è quindi il simbolo di gesti molto personali e profondi, insostituibili.

Ci sono gesti nella nostra vita che possiamo fare solo noi.

Che non possiamo né rimandare né delegare ad altri. Sono i gesti della carità e della misericordia.

Questo brano non vuole di certo spaventarci riguardo al futuro: vuole invece responsabilizzarci sull’importanza del momento presente, l’unico che ci è dato per vivere ed acquisire l’olio necessario alla nostra lampada.

Ed è un olio che nessuno ci può dare, è la nostra risposta all’amore di Dio per noi e, come tale, non può essere delegata ad altri: è la nostra identità.

Qui si comprende anche la risposta delle giovani sagge alla richiesta di olio da parte delle stolte: “No, perché non venga a mancare a noi e a voi; andate piuttosto dai venditori e compratevene”.

Una risposta che potrebbe sembrare egoistica, essa, invece, richiama l’aspetto della responsabilità personale che non si può sostituire, della fedeltà nell’amore, che si traduce in una vita perseverante; siamo chiamati a rispondere al Signore personalmente.

Nessuno può amare Dio al posto di un altro.

La conclusione dell’evangelista richiama l’attenzione su questo insegnamento pratico della parabola: vigilare nell’attesa del Signore.

61aca5ef49bff2f9be565298d6b5c855_XLMa che significa l’invito a vigilare?

Vivere forse col fiato sospeso, pensando notte e giorno alla morte, quasi paralizzati da questo pensiero? 

Certamente no! 

Significa pensare alla vita e a come riempirla di contenuti veri, autentici.
Significa operare, momento per momento, in conformità alla volontà di Dio!

Vigilare in attesa del Signore, che arriva in maniera improvvisa, vuol dire essere pronti, essere fedeli, cioè, alla volontà del Padre per mezzo di quelle opere di amore attivo su cui si baserà il discernimento finale.

Questa è la vera saggezza cristiana: cercare e realizzare, ogni giorno, con perseveranza, la volontà di Dio che il Signore Gesù Cristo ci ha rivelato.

 

Nola, 6 novembre 2020