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Il santo

di Giulia Di Nola

M’illumino d’immenso: una delle preghiere più soavi attraverso cui l’infinito dolcemente attracca nel finito che più verserà lacrime d’angoscia.

L’assolutamente altro, prono sull’esserci, lo invita a farsi contemplare, dipingere, scolpire, musicare: non capire, ma vedere; non ragionare ma sentire, udire, percepire in silenzio il silenzio.

In quell’alba l’incandescenza della vita, colta e filtrata dall’ artista, si trasforma in metafisica e il linguaggio senso-percettivo del “santo” in attimo estatico, in avvento artistico inteso come bisogno e legame simbiotico tra finitezza ed immensità, tra il desiderio di interpretare e quello di essere interpretato giacché nell’arte è essenziale al tempo l’eternità e a quest’ultima al tempo, sì come all’immensità la finitezza, alla complessità la semplicità.

La porta carraia si spalancherà se l’immensità saprà ancora stupirci, sospenderci e se l’uomo avrà ancora il tempo per quell’attimo, solo allora ogni artista, il santo, avrà il suo pennello, le sue note musicali, la sua penna, la sua mano in un olocausto liturgico, in un vangelo di suoni, odori, colori, parole e gli sarà “dolce naufragar in quel mare”!

Napoli, 25 settembre 2017