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Il Ricco Martirio del Fratacchione Fabiolo. 

di Carlo Gimmelli

Fabio Fazio lascia la RAI con una strategica uscita di scena preventiva e approda a Discovery  mentre la Rai continua ad essere campo di battaglia tra i partiti.

In questa stanca primavera che preannuncia una estate torrida tra funerei scenari di escalation nucleare tra Putin e Biden nel giardino di casa di una Europa mai cosi depressa e divisa dal dopoguerra, un clima impazzito tra siccità e alluvioni sempre più devastanti e una inflazione che sta mettendo in ginocchio il ceto medio, la polemica social politica che ha monopolizzato il dibattito pubblico riguarda “l’esilio” in prima classe di Fabio Fazio che lascia mamma rai dopo 40 anni (una sorta di impiegato pubblico ma con tariffe da fuoriclasse) e ascende agli altari di una certa sinistra piaciona ed esclusiva con le stimmate di San Fabio martire.

In realtà il non “affaire Fazio” appare nella sua banalità più una semplice e sacrosanta scelta professionale dettata da prosaici calcoli economici e di auto esilio che un dicktat politico partito dall’alto: la trattativa con il colosso statunitense, che porterà Fazio sul Nove dal prossimo autunno, presumibilmente andava avanti da tempo e il contrattone strappato dal potentissimo agente pigliatutto di Don Fabio (dieci milioni in cinque anni più la possibilità di ulteriori collaborazioni extra), in periodi di vacche magre come questi era un treno da prendere al volo, specie se c’era la ghiotta occasione di addossare la responsabilità della dipartita dalla TV di Stato ai veti presunti del centro destra: peccato che la non trattativa sia stata condotta da Carlo Fuortes, amministratore delegato uscente messo in Rai da papà Draghi con la benedizione proprio di PD e grillini e che il nuovo A.D. Roberto Sergio sia stato nominato tra le solite spaccature a divorzio avvenuto.

Ma la tenera narrazione di un Fazio uomo azienda RAI nella buona e nella cattiva sorte, glissa su un altro auto esilio che nel 2001 lo portò a scaricare mamma RAI per approdare a suon di miliardi nella nascente LA7 targata Telecom per un ambizioso programma stile Letterman in 180 puntate quotidiane, il Fab Show, affiancato da una emergente Littizzetto, lanciata dalle reti Mediaset, a fargli da spalla e il carrozzone di collaboratori fidati; purtroppo o per fortuna di Fazio, nel settembre 2011 ci fu il terremoto finanziario di Telecom-Seat con un buco di 150 miliardi di lire che provocò le dimissioni dell’A.D. e soffocò nella culla a pochi giorni dal debutto il (costoso) talk mandando a casa 80 persone della produzione ma risarcendo per il disturbo il felpato Savonarola con 28 miliardi di lire in penali, danari che il nostro ha investito sapientemente in una delle sue grandi passioni: il mattone. Eh già, pare che Fabiolo abbia un invidiabile patrimonio immobiliare tra la natia Savona, Milano e Parigi in appartamenti di pregio, terreni, uliveti e attività industriali.

Dopo la “disavventura” con la neonata La7 e una breve sosta ai box, le porte girevoli dell’ingrata mamma RAI accolsero di nuovo il figliol prodigo, in piena era berlusconiana, tra le proteste del sindacato dei giornalisti che non digerirono la disinvoltura da Grand hotel con cui il nostro entrava e usciva dall’azienda pubblica e nel 2003 Fazio confeziona la prima edizione di “Che tempo che fa” nel fortino rosso di Rai tre, un talk meteo politico che, però, nel primo anno non decolla negli ascolti e allora il vispo ligure si “inventa” la scrivania alla Letterman, rubacchiandola a Daniele Luttazzi, lui si epurato, che l’aveva introdotta nel suo “Satyricon” chiuso dopo l’editto bulgaro di Berlusconi del 2002 seguito alla bombastica intervista al giovane Marco Travaglio sull’origine delle fortune del Cavaliere.

In effetti Fazio si è sempre intrufolato negli editti altrui, anche nel 2002 si fece intervistare da Repubblica per denunciare di non essere gradito nella RAI berlusconiana, salvo poi partire con il nuovo programma pochi mesi dopo mentre Santoro, Luttazzi e Biagi ci rimisero le penne!

Che sia un autentico fuoriclasse dei ritorni pubblicitari e che la sua trasmissione sia la punta di diamante di Rai Tre è un fatto non discutibile, anche se la RAI non ha mai reso pubblici in modo chiaro i costi della trasmissione e gli introiti pubblicitari ma tant’è!

Di certo che Don Fabio è tanto brillante e accomodante con il suo cerchio magico di colleghi, artisti, potenti che condividono il suo recinto politico quanto spietato con i “nemici” con cui non interagisce, semplicemente non li invita a Palazzo.

Certamente la scelta editoriale di non confermare Fazio potrebbe essere considerata un errore di calcolo o un tentativo di proporre qualcosa di diverso da una messa cantata da venti anni con la stessa compagnia di giro che Fazio, da scaltro pretino, confezionava per lanciare lo stesso pensiero unico, senza voci dissonanti, ma senza esporsi personalmente: bastava sguinzagliare il Saviano di turno contro la destra a prendersi le querele o il vate Burioni a zittire qualsiasi opinione, ancorché autorevole, che disturbasse il manovratore.

Stupisce, ma non troppo, invece la levata di scudi a orologeria dei titolari morali del mainstream, di cui Fabiolo è un autorevole esponente, che ripropongono la solfa trita e ritrita della censura e del mancato pluralismo fingendo di ignorare che il pretino di Savona quasi mai ha invitato nel suo salottino privilegiato giornalisti o politici lontani dalla sua parrocchietta: una compagnia di giro di alfieri del pensiero conforme, del politically correct e del moralismo del “volemose bene” e se è vero che il santuario Faziano (o Fazioso?) del radical chic (in verità più chic che radical) ha ospitato i potenti della terra è altrettanto vero che le sue confortevoli interviste il più delle volte appaiono stucchevoli endorsement più che graffianti approfondimenti.

Un esempio su tutti: quando è entrato nella storia intervistando Papa Francesco è stato talmente accecato dall’emozione da sembrare più un chierichetto al confessionale che un giornalista di sinistra tanto da dimenticare anche solo di accennare agli attualissimi scandali sulla pedofilia che stanno imbarazzando il Cupolone o lo scandalo finanziario del palazzo di Londra comprato a 300 milioni di euro utilizzando le offerte dell’Obolo di San Pietro e svenduto a 186 in un complicato intrigo di broker, commissioni e mazzette.

Alla fine lo stesso Fazio, nella puntata di commiato, ha puntualizzato di non sentirsi un martire e di essere un fortunatissimo operatore della TV che continuerà a lavorare altrove; salvo poi attaccare nella sua rubrica su “Oggi”: «La politica tutta, che si sente legittimata dal risultato elettorale a comportarsi da proprietaria nei confronti della cosa pubblica con pochi riguardi per il bene comune e con una strabordante ingordigia”.

Ed in effetti è vero, come dargli torto, l’Italia è l’unica democrazia occidentale dove il Governo di turno è azionista di maggioranza della più grande azienda culturale del paese e da sessanta anni la maggioranza di turno attua senza eccezioni il consueto spoil system ridistribuendo cariche e prebende agli uomini di scuderia.

Il problema nasce quando chi è all’opposizione, come in questo caso la sinistra indignata speciale, sproloquia e vaneggia di una azienda autonoma, una fondazione libera dai partiti e poi quando entra nella stanza dei bottoni fa esattamente lo stesso repulisti del governo precedente come ci hanno plasticamente dimostrato tutti i pasionari dell’opposizione quando hanno avuto l’opportunità di cambiare le cose.

Così fan tutti.

Al prossimo martire.

Napoli, 24 maggio 2023