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Il mondo ha bisogno della scienza e la scienza ha bisogno delle donne

di Martina Tafuro

 

L’umanità è fatta di uomini e donne e deve essere rappresentata da entrambi i sessi.” io che, sono cresciuta in “un mondo vittoriano, nel quale dominava la figura maschile e la donna aveva poche possibilità“, ne ho “risentito, poiché sapevo che le nostre capacità mentali – uomo e donna - son le stesse: abbiamo uguali possibilità e differente approccio “. Rita Levi Montalcini

 

11 febbraio Giornata Mondiale delle donne e delle ragazze nella scienza.

In questa realtà, dove il narcolessico maschile nasconde pregiudizi e stereotipi ad ogni angolo, non è facile per una bambina, una ragazza dal 2015 l’Onu, con la Risoluzione A/70/474/Add.2, ha deciso di dedicare una giornata, l’11 febbraio, alle ragazze e alle donne nella scienza.
Donne che hanno deciso e sono riuscite a costruire una carriera in un ecosistema maschile e che si impegnano nella sensibilizzazione, per far sì che anche tra i talenti femminili cresca l’interesse per quei settori che racchiudono la maggior parte dei lavori del futuro.

Risultato immagini per international day of the girl child

La ricorrenza è stata proclamata, dalle Nazioni Unite e patrocinata dall’Unesco, per ricordare che la partecipazione delle donne nella scienza dovrebbe essere rafforzata e incoraggiata e che devono essere garantite pari opportunità nella carriera scientifica.

“Vogliamo incoraggiare una nuova generazione di donne scienziate per affrontare le principali sfide del nostro tempo. Sfruttando la creatività e l’innovazione di tutte le donne e ragazze nella scienza e investendo adeguatamente in educazione, ricerca e sviluppo abbiamo un’opportunità senza precedenti di sfruttare il potenziale della quarta rivoluzione industriale a beneficio della società”. Rimarcano in un messaggio congiunto Audrey Azoulay, direttore generale dell’Unesco e Phumzile Mlambo-Ngcuka, direttore esecutivo di Onu Women.

In questo contesto, sfida prioritaria è raggiungere la parità di genere nel mondo della scienza.

Le istituzioni devono farsi carico del problema e affrontarlo, non solo per una questione etica, ma perché conviene al sistema Paese e ai centri di ricerca stessi. è indispensabile non disperdere i talenti femminili per essere competitivi e raggiungere l’eccellenza

è necessario costruire percorsi di conciliazione tra laboratorio e casa: ancora oggi le donne devono fare salti mortali rispetto agli uomini per far valere e vedere riconosciuta la propria competenza e la qualità del proprio lavoro.

Negli ultimi decenni, sono stati fatti sforzi per coinvolgere le donne nella scienza, ma permangono pregiudizi e stereotipi di genere che continuano a tenere le ragazze e le donne lontane dal mondo scientifico. Le cifre traducono questa distanza in modo eloquente: sono donne meno del 30% dei ricercatori in tutto il mondo e solo il 30% delle ragazze sceglie un indirizzo scientifico nell’istruzione superiore.

Uno studio pubblicato su Genetics ha preso in esame 883 paper pubblicati, dal 1970 al 1990, sulla rivista Theoretical Population Biology, rilevando che tra gli autori degli studi per oltre il 90% sono nomi maschili. Se si guarda, però, alle note di ringraziamento il contributo femminile appare ben più consistente: nel 43,2% dei casi a essere ringraziate per l’organizzazione della ricerca sono delle donne, mentre tra gli autori sono il 7,4%. La differenza è ancora più marcata tra le pubblicazioni dell’anno 1970, dove il 58,6% delle persone ringraziate sono ricercatrici, e solo il 7% anche autrici. Eppure, si evidenzia nello studio pubblicato su Genetics, che alcune di queste scienziate, citate ripetutamente nei ringraziamenti, hanno contribuito in maniera creativa e importante alla realizzazione delle ricerche e alla messa in atto dei progetti.

 

Le donne scienziate venti.20 scelte dalla Voce del Quartiere

 

“Educa un bambino e creerai un uomo. Educa una bambina e creerai un popolo.”

 

Fatima al-Fihri: la madre di tutti i figli


Anno Domini 859 D.C., Fès, Marocco: una donna di nome Fatima al-Fihri fonda Al-Qarawiyyin, la più antica università del mondo.

La notizia può sembrare non eccezionale, ma pensate che Oxford è stata fondata intorno al 1096 e l’Università di Bologna nel 1088, ben duecento anni dopo.

Nata nel 800 D.C. a Qayrawan, Tunisi, Fatima conosciuta anche come oum al-banine (la madre di tutti i figli) e la sua famiglia migra (accidempoli già si faceva?), stabilendosi a Fès, città multiculturale, crocevia di tradizioni e nuovi interessi. Fatima e sua sorella Miriam frequentano le scuole, studiano diritto islamico, crescono in un ambiente cosmopolita e di ampie vedute.

Il padre, mercante, migliora continuamente la sua posizione economica finché, alla sua morte, lascia alle figlie una vera fortuna.

Da sempre attenta ai bisogni della comunità, Fatima individua la necessità di un luogo di incontro per la sempre più popolosa realtà in cui vive. Decide quindi di erigere una moschea, luogo di raccolta spirituale, ma anche di studio e di emancipazione.

Realizzata in stile andaluso sotto la diretta supervisione di Fatima, Al-Qarawiyyin diventa velocemente un polo di studi con corsi non solo di diritto islamico. Oltre alla cultura islamica si aggiungono le lingue orientali, matematica, storia, grammatica, medicina, astronomia, geografia.

I corsi sono aperti a studenti musulmani, cristiani, ebrei, non c’è alcuna limitazione di etnia o religione e, per tutto il tempo in cui Fatima finanzia l’università, i corsi sono gratuiti.

Al-Qarawuiyyin ha subito vari cambiamenti strutturali, è stata ampliata e migliorata lungo i secoli, ma funziona ininterrottamente da 1200 anni. Vi hanno studiato illustri nomi della storia, fra cui, si dice, anche Gerbert de Aurillac, meglio conosciuto come Papa Silvestro II. Secondo diverse fonti storiche dobbiamo infatti a lui l’introduzione europea dei numeri arabi, derivati a loro volta dall’India.

Fatima al-Fihri non è rimasta alla storia soltanto per aver fondato l’università, ma anche la biblioteca di Al-Qarawiyyin.

Henrietta Swan Leavitt: la donna delle stelle

Henrietta Leavitt c. 1898 at about 30 years old | Center for Astrophysics, Harvard & Smithsonian, Photographic Glass Plate Collection

Agli inizi del Novecento, presso l’Osservatorio dell’Università di Harvard (USA), per la determinazione degli oggetti presenti nelle lastre fotografiche venivano utilizzati dei computer umani. Naturalmente queste persone erano donne, pagate 25 cent l’ora, il cui compito era appunto quello di catalogare i cambiamenti delle posizioni delle stelle, fotografate dai telescopi.

Un lavoro simile era considerato noioso, e a chiedere il posto non erano molti uomini, ma soprattutto donne.

Tra queste Miss Leavitt, che impegnata a studiare una serie di fotografie relative alla Piccola Nube di Magellano, dalle quali si capiva chiaramente che si trattava di un gruppo di stelle situate al di fuori dalla Via Lattea. Questo sistema di stelle conteneva molte Cefeidi le quali presentavano un periodo di pulsazione tanto più lungo quanto più apparivano brillanti al massimo dello splendore. Come si ricorderà, questa regolarità non si riscontrava nelle cefeidi che si potevano osservare in altre zone del cielo. Come mai ciò accadeva proprio per quelle della Piccola Nube di Magellano?

La Leavitt comprese che ciò doveva dipendere dal fatto che le cefeidi presenti nella Nube di Magellano erano più o meno tutte situate alla stessa distanza da noi, ragione per cui la loro magnitudo apparente era in pratica una magnitudo assoluta: con la differenza che essa era riferita alla distanza a cui si trova la Piccola Nube di Magellano invece che a 10 parsec.

Questa distanza tuttavia non si conosceva, ma, se si fosse riusciti a misurarla, la magnitudo assoluta della stella si sarebbe potuta stabilire attraverso la durata del suo periodo di pulsazione, il quale appariva, come abbiamo detto, tanto più lungo quanto più intensa era la luminosità al massimo dello splendore.

Studiando con attenzione le foto della Piccola Nube di Magellano, scattate in tempi successivi, la Leavitt fu in grado di scrivere una relazione che legava la magnitudo assoluta delle cefeidi con la lunghezza del periodo di pulsazione.

Da questa relazione periodo-luminosità si poteva dedurre quale periodo avrebbe dovuto avere una cefeide che presentava una certa magnitudo assoluta, e viceversa a quale magnitudo assoluta doveva corrispondere una cefeide che presentava un certo periodo di pulsazione.

A questo punto non rimaneva altro che determinare la magnitudo assoluta di una sola cefeide per conoscere quella di tutte le altre. Con questo parametro fu possibile cominciare a misurare l’universo nelle grandi dimensioni.

Ma chi era in realtà Henrietta Swan Leavitt?

Nata a Cambridge nel Luglio 1868 (Massachusetts) si diplomò al Society for Collegiate Instruction of Women (ora Radcliff College).

Non era una sprovveduta e si era laureata brillantemente in astronomia. Quando nel 1893 si unì all’equipe dell’osservatorio a titolo di volontaria Henrietta Swan Leavitt aveva 25 anni.

Figlia di un pastore congregazionalista si era proposta di studiare l’astronomia. Nella sua brillante carriera universitaria gli unici problemi li ebbe con la storia e solo al quarto anno si iscrisse a un corso di astronomia e ne uscì con il massimo dei voti.

Nel 1892, poco prima del suo ventiquattresimo compleanno, Henrietta si laureò e l’anno seguente lo passò all’osservatorio lavorando come volontaria.

Ci lavorò con alcune interruzioni, durate anche un paio d’anni, sino a che non ci ritornò a tempo pieno nel 1902.

Trascorreva le sue giornate dedicandosi a quel lavoro scrupoloso, talmente assorta nelle sue misurazioni che uno dei colleghi in seguito l’avrebbe definita posseduta da “uno zelo quasi religioso”.

Hedy Lamarr: la donna del Wi-Fi e Bluetooth

Hedy Lamarr

Hedy Lamarr è stata attrice, scienziata e donna dalle mille vite. Hedwig Kieser, era questo il suo vero nome, era la figlia unica di un banchiere ebreo e di una pianista di origine ungherese. Era talmente bella che fu notata da Max Reinhardt, un regista tedesco che la portò a Berlino per farla lavorare in teatro.
Dopo aver recitato per il cinema in parti secondarie, nel 1933 approdò al ruolo da protagonista nel film Estasi, la prima pellicola in cui veniva messo in scena un nudo femminile. Quella scena contribuì alla sua fama ma la marchiò per gran parte della vita.
Il film fu accusato di pornografia, sottoposto a censure e tagli. Nello stesso 1933, Hedy sposò Fritz Mandl, tra gli uomini più ricchi in Austria, produttore di armi.
Dopo aver scoperto i piani nazisti per annettere l’Austria alla Germania, decise di scappare dal marito e dall’Europa, per iniziare una nuova vita oltreoceano. Travestita da cameriera, fuggì a Parigi e poi a Londra dove conobbe Louis B. Mayer, potente produttore della Metro Goldwyn Mayer, il più celebre Studio di Hollywood. Era il 1937.
Mayer le fece interpretare il film
Un’americana nella Casbah, una pellicola mediocre ma capace di esaltarne la bellezza fuori dal comune. La sua carriera hollywoodiana continuò fra alti e bassi finché, mortificata per le parti che le venivano affidate, diventò produttrice di se stessa. Senza grandi risultati peraltro.
Nel frattempo aveva avuto sei mariti e tre figli. Tra un film e l’altro, l’attrice si rinfrancava coltivando le sue passioni: leggeva libri di matematica, fisica, elettronica e creava invenzioni.
Allo scoppio della seconda guerra mondiale, fu sconvolta dalla notizia che una nave piena di bambini orfani – la U.S.S. Benares – era stata affondata dagli Uboat nazisti e decise di impegnarsi con tutte le forze per impedire che i siluri radiocomandati delle forze alleate fossero intercettati.
Riteneva che si potesse distribuire il loro segnale di guida su più frequenze, in modo che fosse protetto dalle interferenze generate dal nemico. L’intuizione era geniale, ma il progetto aveva un punto debole nelle modalità con cui realizzare la sincronizzazione della trasmittente e del ricevitore del segnale.
Quando conobbe il compositore d’avanguardia
George Antheil, gli descrisse la sua idea chiedendogli di aiutarla a costruire un dispositivo in grado di sincronizzare il segnale.
Antheil concepì un sistema basato su 88 frequenze, corrispondenti al numero dei tasti del pianoforte, utilizzando rulli di carta perforati che avrebbero ruotato in sincronia trasmettendo e ricevendo frequenze sempre diverse ed evitando in tal modo ogni tipo di intercettazione o disturbo.
Nel dicembre 1940 lo strumento per il “salto di frequenza” da loro congegnato, lo
Spread Spectrum, fu presentato al Consiglio Nazionale degli Inventori e nell’agosto del ‘42 l’invenzione ottenne il brevetto.
Ma l’idea venne ritenuta impraticabile dalla tecnologia del tempo che usava valvole termoioniche, troppo ingombranti. La tecnica dello
Spread Spectrum ideata con Anteuil (morto nel 1959) fu utilizzata, prima della scadenza del brevetto, su dispositivi per il collegamento tra un aereo e i “sonobuoys”, apparecchi cilindrici lanciati nell’oceano per individuare i sottomarini nemici.
La Marina militare la installò come sistema di comunicazione a bordo di tutte le navi impegnate nel blocco di Cuba del 1962.
Nel 1985, quando decadde il segreto militare sul brevetto e iniziò a diffondersi la nuova tecnologia per la comunicazione senza fili, l’invenzione fu recuperata e divenne la base della moderna tecnologia telefonica: applicata ai cellulari e alle connessioni Wi-Fi e Bluetooth, ne riduce le interferenze.
Fino ad allora nessuno si era mai chiesto chi l’avesse ideata. Solo David Hughe, un ex militare del Colorado, volle rintracciarne l’inventore e rimase scioccato quando scoprì che quella tecnologia era opera della stella del cinema che adorava fin da bambino.
Ottenne che l’attrice fosse risarcita per il suo brevetto e la segnalò alla
Electronic Frontier Foundation che nel 2000 le assegnò il “Premio per la miglior invenzione tecnologica”.
Come reagì alla notizia? “Era ora!” disse. Sarebbe morta poco dopo ad Altamonte Springs, in Florida, per un attacco cardiaco.

Napoli, 9 febbraio 2020