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Il Grande Rimpianto….

Tra Veleni, Vendette e Addii il Napoli Saluta INSIGNE…..
di Carlo Gimmelli

Sul palcoscenico di un Maradona Stadium tutto esaurito gli azzurri si congedano davanti ai propri tifosi con una prova convincente che manda in B gli ex gemellati amici genoani e, in un clima agrodolce, “festeggiano ” il terzo posto matematico e la ritrovata Champions dopo due anni di purgatorio in Europa League.

Il cinico calendario delega ai partenopei il compito di vidimare la serie B ai liguri che, proprio qui, nel 1982, grazie ad una “papera” del “giaguaro” Castellini ottennero una drammatica e insperata salvezza mandando il Milan tra i cadetti.

E’ la giornata di Lorenzo Insigne che in campo viene omaggiato dal presidente, forse per vendetta, di unakitchissima inguardabile Coppa da torneo del dopolavoro più alta di lui e, commosso, legge con difficoltà un messaggio di addio al tifosi partenopei che sa di riconciliazione dopo dodici anni di militanza azzurra spesso ombreggiata da incomprensioni e veleni.

Si è spesso favoleggiato della difficoltà dei giocatori napoletani di essere profeti in casa propria, sul modello di Totti alla Roma, e della attitudine della città, eterna Medea, di uccidere (professionalmente) i propri figli non perdonandogli nulla e costringendoli a cercare fortuna altrove.

La verità, al solito, è un po’ diversa: i precedenti giocatori bandiera nati a Napoli Juliano (17 stagioni), Ferrara (10 stagioni) e Fabio Cannavaro sono stati amati e simbolo della tifoseria almeno fin quando non hanno cambiato casacca; Insigne, al di là dell’irrisolto dilemma (giocatore fortissimo mai decisivo o campione?) paga soprattutto un carattere timido e riservato, migliorato negli ultimi anni, ma mai empatico e complice della tifoseria.

Basti pensare a Dries “Ciro” Mertens, un napoletano nato per caso in Belgio, e al suo rapporto allegro, spontaneo, “chiassoso” con la città.

Il ragazzo di Frattamaggiore ha sempre sofferto la pressione, le aspettative, le attese e soprattutto le feroci critiche di una parte della tifoseria e della stampa locale che non gli hanno fatto sconti, eternamente divisi sul valore e sulla personalità del ragazzo, tecnicamente eccezionale ma caratterialmente discontinuo e privo del carisma del leader.

Anche i suoi rapporti con gli allenatori non sono stati sempre idilliaci, soprattutto Benitez e Sarri non gli hanno risparmiato bocciature e sostituzioni : fatale, poi, l’ammutinamento che Lorenzo capeggiò nel novembre 2019, in piena crisi di risultati, rifiutando il ritiro deciso dalla società che costò la panchina ad Ancelotti e una infinita querelle legale tra calciatori e società ancora in corso; va detto, però, che anche nei momenti peggiori, quando si è chiuso in se stesso, Lorenzo non ha mai messo in dubbio la sua appartenenza ai colori azzurri preferendo il dorato esilio in un campionato semidilettantistico oltreoceano alla casacca di un’altra squadra italiana.

Ovviamente poco o nulla da dire sulla partita, il Napoli onora l’impegno ignorando il dramma sportivo dei genoani e chiude la stagione al Maradona con un perentorio 3 – 0, con gol di Osimhen e Lobotka ; gloria anche per il capitano che si accomiata segnando su rigore (come al solito fallito al primo tentativo!) fatto generosamente ripetere dall’arbitro.

Cerimoniale e addii a parte, la forte delusione del mancato scudetto per l’inspiegabile black out emotivo nel rush finale, concretizzatosi nell’harakiri casalingo contro Fiorentina e Roma e nella vergognosa trasferta di Empoli, si è manifestata fuori e dentro lo stadio con striscioni offensivi e cori ostili contro il solito obiettivo: De Laurentiis accusato di mancare volutamente i traguardi per evitare costi ulteriori alla Società.

Ormai la spaccatura tra il cinematografaro romano e la tifoseria organizzata appare insanabile, acuita da alcuni anni dall’acquisizione da parte della famiglia De Laurentiis del Bari Calcio che sta tentando la risalita in serie A e che distrarrebbe risorse e investimenti destinati al Napoli.

Difficile fare valutazioni esaustive: è innegabile che l’istrionico presidente non abbia mai fatto mistero che il Calcio Napoli debba essere un investimento economico redditizio con i conti in ordine e che non avesse intenzione di dissanguarsi e indebitare la società per vincere uno scudetto e magari portare i libri contabili in tribunale il giorno dopo.

Resta il dato che vincere non è mai facile, grossi investimenti non garantiscono i traguardi sportivi, basti pensare ai mostruosi indebitamenti di Juventus e Inter che, scudetti a parte, in Europa falliscono da anni o la Roma che, passando da una proprietà americana all’altra, nell’ultimo decennio ha raggiunto risultati sportivi assai inferiori ai partenopei: Napoli e Lazio restano le uniche società di alto livello europeo con capitale interamente italiano ed il gap economico con multinazionali o fondi fondi sovrani arabi dal budget illimitato è sproporzionato, almeno finché non si interverrà con una reale politica di fairplay finanziario e un tetto agli ingaggi.

Il Napoli riparte da Spalletti dunque, ma il mercato è tutto da definire: i soldi della Champion potrebbero non bastare, la certezza è una rivoluzione giovane con il monte ingaggi da abbattere del 30%, e, tutti sul mercato in caso di offerte concrete: sarà difficile trattenere i pezzi pregiati come Osimhen, Fabian Ruiz o Zielinsky se le big europee busseranno alla porta del patron.

Ci sarà comunque da onorare la prossima champions League e da ritentare l’impresa in campionato anche se resta l’amaro in bocca di una opportunità irripetibile.

Sursum corda.

Napoli, 17 maggio 2022