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Il genio in un cappello a cilindro, 10 canzoni di Rino Gaetano
di Emanuela Cristo

Rino Gaetano era un genio assoluto. E questo è un fatto. L’ironia e l’acutezza dei suoi testi hanno messo a nudo le contraddizioni e gli atavici mali del nostro paese, senza perdere mai di vista la poesia. E questo è un altro fatto. A distanza di decenni le sue canzoni sono tragicamente attuali e la sua visione del mondo ancora troppo avanti per noi comuni mortali. La prematura scomparsa di Rino Gaetano rappresenta una perdita di valore inestimabile per il panorama culturale italiano tutto. Questi sono i fatti. E non sono in discussione.

1 – Ad esempio a me piace il Sud – 1974

Incisa inizialmente da Nicola di Bari per Canzonissima, è contenuta nel primo album di Rino, Ingresso Libero. Testimonia il forte legame del cantautore con la propria terra d’origine. Il titolo stesso sta a demarcare la posizione controcorrente di Gaetano, il quale prova nostalgia per un mondo bucolico che segue i ritmi della natura e assegna ad ogni cosa un valore intrinseco che nulla ha a che fare col fittizio valore dettato dal mercato del cosiddetto progresso industriale. L’autore elenca una serie di piccoli grandi elementi di quotidiana autenticità, ancora al riparo dalle distruttive logiche monetarie e consumistiche. Pur non citando un luogo in particolare, il Sud della canzone è il Sud Italia, ma potrebbe essere un qualsiasi Sud del mondo. Uno di quei Sud tanto bistrattati perché ritenuti arretrati ed invece custodi di antichi e autentici valori.

2 – Ma il cielo è sempre più blu – 1975

Un brano pubblicato solo come singolo, inizialmente diviso in due parti, a causa della sua durata, e in seguito nella versione integrale di otto minuti e venti. È la canzone che inizia ad attirare l’attenzione su Rino Gaetano. Il testo gioca sulle contraddizioni della società italiana e ne è, di fatto, esplicita denuncia. La zelante censura dell’epoca si abbatté sul brano, in particolare su due versi: “chi tira la bomba, chi nasconde la mano. / Chi ascolta Baglioni, chi rompe i coglioni.”. Attraverso l’apparente atmosfera di leggerezza, l’autore pone l’attenzione sulle diseguaglianze e le ingiustizie sociali: “ho voluto sottolineare che al giorno d’oggi di cose allegre ce ne sono poche ed è per questo che io prendo in considerazione chi muore al lavoro, chi vuole l’aumento.” Il titolo del brano sta a significare che, nonostante tutto, il mondo va avanti, siamo tutti sotto lo stesso cielo ed è per tutti blu.

3 – Mio fratello è figlio unico – 1976

Un titolo apparentemente non sense per costruire un inno all’integrità morale. Alla forza che ci vuole per continuare a tenere la schiena dritta in una società malata che prova sempre più a piegarti. Spalle forti per reggere il peso delle conseguenze di questa coerenza personale, che sono emarginazione e solitudine, l’essere, appunto, figli unici. La condanna a sentirsi i soli in grado ancora di accorgersi delle ingiustizie profonde, rifiutare di seguire le mode come pecore il gregge e di scendere a patti con la propria coscienza. Mio fratello è talmente figlio unico che anche io, mentre ne parlo, mi distraggo e urlo “ti amo” alla mia fidanzata Mariù.

4 – Berta filava – 1976

Una canzone dall’apparente spensieratezza, sul filo del non sense. In realtà fa riferimento, ancora una volta, ad avvenimenti di politica italiana ben precisi. Sono gli anni del compromesso storico e, alla luce di questo, è facile individuare, nel personaggio di Berta, l’allora capo della DC, Aldo Moro, abile nel “tessere” rapporti fra i partiti. In quest’ottica, nella figura del Santo che va sul rogo vestito d’amianto individuiamo Enrico Berlinguer, a capo del PCI. Altre teorie vogliono la canzone alludere ai personaggi che ebbero ruoli attivi nell’ambito dello scandalo Lockheed. Quello che è certo è che i brani di Rino Gaetano che ad un primo ascolto danno un’impressione di leggerezza, nella quasi totalità dei casi, nascondono poi rimandi alla realtà specifica della società italiana.

5 – Cogli la mia rosa d’amore – 1976

Questa canzone è stupenda. Uno dei brani più belli di Rino in cui, ancora una volta, possiamo immaginare il suo immenso sentimento rivolto ad una donna, ma anche alla sua tanto odiata/amata Italia. Un testo che ha, fra le righe, istantanee di sofferenza: “cogli suo figlio in Germania, la miniera, il carbone, a Natale verrà”. Ma che tiene in primo piano un infinito amore, che è in realtà un amore universale, e promesse di attimi di felicità: “cogli il suo giorno di festa, quando l’estate promette di tutto; e quando ti mantiene un sorriso, cogli questo suo paradiso”.

6 – Aida – 1977

“Io ho cercato di scrivere… di portare in canzonetta, la storia dell’Italia, degli ultimi 70 anni italiani, partendo un po’ dalle guerre coloniali fino ad oggi. E allora mi sono servito, per fare questa canzone qui, di una donna, che ha vissuto attraverso i suoi amori e i suoi umori, e la sua cultura, la politica italiana. Questa donna si chiama Aida”. Naturalmente vi è un riferimento all’Aida di Verdi già nel titolo e lo strumentale finale cita lievemente la marcia trionfale. Aida è l’Italia e Rino Gaetano, con una serie di acute e brevi pennellate, ne restituisce uno dei ritratti più autentici. Un excursus storico che dipinge i contorni di un paese diviso tra l’amore per la libertà, quello per le proprie origini e quello per l’amante straniero. Con la Chiesa da sempre fra gli attori principali, un paese di santi e navigatori, sul quale incombe l’ombra di fascismi mai realmente vinti. Alalà era il grido di esultanza che i fascisti ripresero dagli antichi greci. Tutta la grandezza di Rino sta nella sintesi descrittiva dei versi “i suoi rosari, e mille mari e alalà”. Il cantautore si chiede se davvero dopo la Costituente si possa parlare di una reale democrazia e poi nel ritornello grida tutto il suo arrabbiato amore per il proprio paese.

7 – Escluso il cane – 1977

Una ballata che è in realtà un blues struggente in cui l’autore canta tutta la sua sofferenza di uomo rimasto solo, con nessun altro ad amarlo, se non il proprio cane. Colpiscono il tono sincero e spiazzante e l’immancabile ironia, l’essere controcorrente di Rino, anche nelle canzoni d’amore. Con disarmante onestà l’autore ammette di essere solo, mentre “tutti gli altri sono cattivi”, allargando anche qui la critica all’indifferenza e alla superficialità della “gente assurda, con facili soluzioni”. Nel ritornello la rabbia esplode e torna di nuovo sulla persona che ha lasciato che l’amore si spegnesse e lui restasse solo come un cane.

8 – Nuntereggae più – 1978

Title track dell’album della svolta di Rino, è un grande sberleffocontro tutto e tutti, a ritmo di raggae. Il cantautore non risparmia nessuno: dalla P2 a Gianni Agnelli, Gaetano ha l’ardire di includere nella lista persino l’allora intoccabile Berlinguer. Anche stavolta inserendo nel testo riferimenti precisi agli eventi di attualità e cronaca italiana, come lo scandalo del delitto della spiaggia di Capocotta. Si tratta di una lucidissima e irriverente denuncia sociale, un enorme calderone spietato che mette in fila politici, soubrette, programmi televisivi, artisti del tempo, giornalisti e imprenditori. Tutte le figure più influenti di quegli anni, di un’Italia di falsi miti e dinamiche sempre più mediocri, una cultura al ribasso denunciata con la solita ironia scanzonata.

9 – Ti ti ti ti – 1980

Da E Io Ci Sto del 1980, una delle canzoni più brevi di Rino, che sembra, però, contenere la summa del suo pensiero. Rino si rivolge direttamente dando del tu a chi, come lui, sogna di vivere in un paese in cui la politica non sia ridotta a mero servilismo di partito e volgare ostentazione dei propri privilegi. E ogni volta che prova a cambiare lo stato delle cose si ritrova a lottare da solo contro un muro. Per contro c’è la maggioranza che asseconda, più o meno consapevolmente, l’insano andamento delle cose e i giochi di potere del sistema. Una maggioranza che Rino non nomina ma indica nel ritornello: quel titititi che si rifà al verso che gli allevatori fanno per richiamare le galline quando è ora di fargli beccare il mangime. Galline che accorrono a ingurgitare qualsiasi cosa la mano del padrone gli faccia passare per buona.

10 – I miei sogni d’anarchia – 2009

Un brano che non fu mai inciso ufficialmente ma di cui fu pubblicata una demo casalinga nella raccolta Live & Rarities del 2009. Dal sapore agrodolce e nostalgico, ritorna con tenerezza ad un passato di grandi sogni condivisi, speranze di conquiste e prime disillusioni. La “lei” destinataria dei versi potrebbe essere una donna amata in giovinezza che “viveva nei suoi sogni e la sua voglia di imparare”, ma anche la patria Italia che “scopriva ogni giorno il valore del denaro e le conseguenze”. Così come potremmo ipotizzare che l’oggetto della dedica sia l’anarchia stessa: “io l’amavo e lei amava me / nei suoi sogni ritrovavo anche un po’ di me.”

Napoli, 30 gennaio 2024