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CHIUDERE LA PRIMA FASE, APRIRE LA SECONDA (V)     

di Don Giulio Cirignano

 

      Il titolo del capitolo pare enigmatico ma non lo è affatto. Mi piace chiamare fase tutto ciò che ha preso vita con Papa Francesco. Il popolo di Dio si è sentito rinascere. Molti fanno ancora orecchi da mercante, ma ciò conta poco. Una vera e propria fase ha preso corpo, piaccia o non piaccia. Quanti attendevano che sorgesse l’alba si sono entusiasmati. Abbiamo parlato di una costellazione di segni seminati in questi anni iniziali di pontificato. Non potremo tornare indietro. Ci sono ancora, è vero, molte resistenze al punto che possiamo riferire a noi una domanda ed un rimprovero che l’Apostolo Paolo rivolge ai tentennanti cristiani di Galazia: “ O stolti Galati, chi mai vi ha ammaliati, proprio voi agli occhi dei quali fu rappresentato al vivo Gesù Crosto crocifisso? Questo solo io vorrei sapere da voi: è per le opere della Legge che avete ricevuto lo Spirito o per aver creduto alla predicazione? Siete così privi di intelligenza che, dopo aver cominciato con lo Spirito ora volete finire con la carne?”(Gal.3,1-3). Rimprovero aspro, ma dobbiamo notare che la situazione di incertezza dei cristiani di Galazia si muoveva su questioni ben più difficili di quelle in cui si dibatte l’incertezza dei moderni conservatori. Lì era in gioco l’inizio di una nuova economia di salvezza, dalla Legge alla fede, qui solo una nuova modalità di comprensione ed attuazione della proposta cristiana. Solo la modalità. E dire che qualcuno ha avuto la lepidezza di accusarePapa Francesco di cambiare la religione solo perché invita a cercare modalità di vita ed espressione più idonee al tempo presente.

      Dunque la fase in cui molti di noi, giovani invecchiati con il sogno del Concilio hanno sentito esplodere nel cuore la gratitudine a Dio per aver intravisto, anzi toccato con mano il passare delle stagioni di Dio, questa fase, dunque è da considerare conclusa. Abbiamo gioito, abbiamo esultato, abbiamo sofferto nel vedere molti attardarsi su un passato che non c’è più. Ora basta. Insieme alla grazia di Dio raccogliamo l’invito a contribuire a costruire il nuovo. Per meglio dire, un nuovo che è tutto da costruire. Nessuna meraviglia, nessun spavento:  i cinque secoli passati sono tanti, molte cose belle e buone hanno prodotto, molte le hanno lasciato invecchiare. Niente paura,  non è l’uomo  il protagonista.Noi siamo solo i lieti servi di uno straordinario padrone. E’ lui che detta il passo, è lui che bussa al cuore del suo popolo, è lui il fantastico  suggeritore. A noi il compito di non deluderlo. Vengono a mente alcuni versi del padre Turoldo: “Può forse morire il fuoco in seno alla terra, e placarsi il mare , può non fiorire primavera ma questo cuore è impossibile che non si illuda ancora”. Questo cuore, il nostro cuore, è impossibile che non speri, che non buchi l’impossibile, che non sposi l’utopia del vangelo, l’utopia dello Spirito.

        Rimboccarsi le maniche e avanti per dar vita ad un nuovo modo di pensare, di parlare, di agire nel paradiso di Dio che è il Vangelo.

     Tenendo presente la vasta costellazione di provocazioni di Papa Francesco, del Concilio, soprattutto del Vangelo possiamo riassumere il futuro che ci spetta in alcuni termini: misericordia, dialogo, pace. Le parole non sono nuove, nuovo è il modo di declinarle.

      La misericordia è termine e valore antico. Oggi nondimeno richiede di essere declinato in modalità del tutto inedite. Termine antico, modalità di attuazione nuove. Non più solo atteggiamento spirituale caratterizzato dalla comprensione e premura ma anche e soprattutto azione politica in favore dei più svantaggiati. Il momento attuale presenta molteplici occasione di questo esercizio concreto della misericordia. I diversamente abili, i malati senza assistenza, gli anziani soli, i giovani soggetti e vittime di bullismo, vittime della droga, le vittime dei fallimenti matrimoniali, profughi in cerca di pane e pace, donne in cerca di dignità….

     Misericordia è accorgersi di queste numerose povertà, guardarle con gli occhi del Vangelo e con la premura di Gesù. E’ costruire un argine, dedicando risorse e tempo, per portare in giro gesti e parole come fiori, spargere frammenti di speranza, costruire luoghi di accoglienza e consolazione, luoghi di riparo.

     Dunque, misericordia non più solo buon sentimento ma cultura. La cultura della misericordia ha bisogno di mezzi per affermarsi, necessita di strutture idonee, di volontariato vasto e largamente condiviso, di motivazioni robuste. La misericordia non si promuove con leggi, tuttavia si può dar vita ad una politica che la protegga da ogni possibile fermento di egoismo.

      Poi, dialogo. Il termine è meno antico, almeno nel perimetro della esperienza religiosa. Talvolta lo si è guardato con sospetto, quasi premessa pericolosa di facile irenismo. Chi anche in tempi recenti ha preferito privilegiare l’identità al dialogo dovrà rivedere profondamente il proprio modo di pensare.

      Fortunatamente ora il termine ed il valore del dialogo sono tornati prepotentemente in alto. Fanno loro corona umiltà e rispetto. Umiltà per non sentirsi padroni assoluti della verità. Rispetto per riconoscere con gioia semi di bellezza e bontà ovunque abbiano la forza di germogliare.Il dialogo è la strada obbligata per la comunione. Anche in questo caso la parola non indica solo un metodo ma un modo di essere e pensare.

      Infine  la pace. Nel capitolo quarto di EvangeliiGaudium Papa Francesco ha offerto alla Chiesa percorsi di riflessione ed azione. Ha colto con lucidità il pericolo che oggi minaccia la pace. Ha parlato frequentemente di terza guerra mondiale a pezzi. Una trentina di anni fa sembrava che il tema della pace si fosse affermato nella coscienza moderna. Ma fu solo un breve sogno. Poi il linguaggio ed i gesti della guerra hanno ripreso indisturbati il loro cammino. Con un’aggravante in più: la superficialità con cui si volge il pensiero agli armamenti nucleari colloca il pianeta su un crinale spaventoso. Infantili capi di stato hanno nelle loro mani il nostro destino. Su questo punto, ogni minuto di incertezza è un piccolo passo verso la catastrofe nucleare. Dobbiamo riconoscere che la Chiesa ha fatto molto in questi ultimi decenni in favore della pace. Ma ciò dimostra, purtroppo, che la sua voce si è fatta flebile. Rimarrà tale se non viene raccolta dalla politica, dalla cultura, dalla educazione. Ad ogni livello. Ancora la comunità cristiana deve lavorare per inserire il valore della pace al centro della sua missione profetica.

       Questi sono solo alcuni esempi per dar vita alla fase due del pontificato di Papa Francesco. Dopo la gioia, l’impegno. Dopo lo stupore grato per la presenza dello Spirito nel cammino della sua Chiesa la scelta di inserirsi in un nuovo magnifico esodo, con decisioni appropriate e coraggiose. “ Sogno una scelta missionaria capace di trasformare ogni cosa, perché le consuetudini, gli stili, gli orari, il linguaggio ed ogni struttura ecclesiale diventino un canale adeguatoper l’evangelizzazione del mondo attuale, più che per l’autopreservazione” (Ev. Gau. n.27). Consuetudini, stili, orari: qui è già detto tutto quello che serve. La Chiesa Italiana ha capito? Da quanto si vede ancora in giro, forse poco. Desidero intensamente che un vero e serio progetto culturale parta finalmente da queste parole.

Napoli, 14 maggio 2018