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BASTA VINCERE, IL RESTO CONTA NIENTE
di Luigi Antonio Gambuti

A seguito delle elezioni regionali che hanno interessato i cittadini emiliano-romagnoli e quelli calabresi, si sono sentiti i tocchi di diverse campane per comunicare ciò che era venuto fuori dalle urne elettorali e per dare senso e significato alla volontà degli elettori.
Se ha vinto Renzi , per dirla in breve, e hanno perso coloro che rappresentavano la sua alternativa, non si può certo non sottolineare un dato di per sé allarmante: la bassissima, mai toccata prima, presenza nelle cabine elettorali che ha fatto registrare una astensione “storica” che ha sfiorato più del sessanta per cento degli aventi diritto al voto.
Come si legge questo risultato?
Come un forte rischio per la democrazia, come un segnale molto chiaro da non sottovalutare per ciò che vuole significare. Come un incubatore di collere e rancori; come un diffuso senso di sfiducia che azzera il dibattito politico e dà forza a chi punta solo alla conquista del potere?.
Se il cittadino non va a votare; se il cittadino rinuncia a esercitare quello che è un diritto fondamentale per l’esercizio della sua piena soggettività, qualcosa non va, o sta andando in malora, nelle dinamiche relazionali del tessuto sociale del Paese.
Se il cantiere della democrazia è la partecipazione; se il valore da attribuire alle relazioni che reggono i diversi soggetti che costituiscono ,col loro integrarsi, il sistema della convivenza, è quello della sovranità che fa capo ad ogni individuo titolare del diritto di scelta in ordine alla gestione dei propri destini, la mancata partecipazione al voto di milioni di elettori aventi diritto, rappresenta un brutto segnale: l’agonia della democrazia, il lamento angoscioso di una democrazia morente, una deriva pericolosa che, se non affrontata con urgenza e con strumenti adeguati e coraggiosi, porta alla distruzione di quelle residue garanzie che fanno di una persona-più di un individuo- un cittadino titolare di diritti fondamentali.
Dove andremo a finire?
Come interpretare lo slogan che fa eco alle “urne vuote e le piazze piene?”
Quale peso si può dare alle dichiarazioni del Presidente del Consiglio, contento di aver vinto la partita e poco attento alla deriva astensionistica che ha coinvolto milioni di persone?
E’, questo, un dato da non sottovalutare, se letto come prodromo di una situazione che mette a rischio il futuro degli assetti democratici. Già la storia ci ha dato la ventura di dover sperimentare qualcosa del genere.
Non basta, a nostro avviso, vincere la partita, “una” partita, e passare all’incasso per il risultato ottenuto.
Se non si porrà mano a cambiare direzione e strategie, si arriverà senza colpo ferire, alla morte del sistema democratico e alla nascita di un obbrobrio che nei casi gravi si definirà come dittatura del singolo o come un direttorio dei pochi alle leve del comando.
Non bisogna perdere tempo per disinnescare la bomba con la miccia accesa sotto la poltrona della marchesa, per dirla alla francese! Che fare allora? Quale strategia attivare per contrastare questa deriva che allo stato non palesa più di tanto il rischio che si porta in grembo?
Prima cosa,non sottovalutare il fenomeno renziano e il suo commento sul dato elettorale.
Seconda cosa, attivare, o riattivare, la “strategia” della partecipazione.
E dare il senso che si deve, o il peso che si porta addosso, al fenomeno dell’astensione.
Cosa non da poco per la vita di un sistema democratico.
Dunque la partecipazione, una parola ormai consunta, il colluttorio dei perdenti, nel raccogliere i cocci della sconfitta patita.
E il non senso dei vincenti, come ha detto Renzi. Ma cos’è la partecipazione? Quante volte se ne è parlato, e detto ed imputato?
Ci si consenta di fare qualche riflessione che potrà servire per le prossime tornate elettorali.
Anche. Partecipare significa prendere parte alla costruzione della casa comune ; condividere sinanche, farsi sentire, dare il proprio contributo nella fase progettuale, nella fase esecutiva e della verifica –valutazione di una qualsiasi impresa che richieda l’impegno in una situazione collettiva.
Partecipare può significare anche dare l’aiuto al singolo che ha responsabilità di governo, fargli sentire la vicinanza di un gruppo “decidente”, cosa che l’aiuta ad essere libero da condizionamenti che gli possano impedire di fare risultato.
La partecipazione è un impegno morale; un diritto dovere di ogni cittadino. Diritto, come proposizione e difesa dei propri interessi letti in prospettiva collettiva; dovere, come impegno per attingere quei risultati che interessano la salvaguardia e la tutela del bene comune.
E allora? Che fare per non morire dalle risate per lo stanchino del Grillino? Per l’Ubalda di Balzani, per il direttorio pentastellato, per la libido demolendi del cadente cavaliere, per il disagio delle periferie, per “l’obsolescenza programmata” delle persone e per riportare la gente a fare la fila per la spesa e non più la fila per la fame? Che fare per non morire di rabbia per Roma- Mafiacapitale, per l’allarme del Cencis- abbiamo rubato il futuro ai giovani – e per il declassamento dell’Agenzia Standard & Poor’s che posiziona il nostro Paese al limite prossimo alla “spazzatura”, per i titoli di Stato?
Ecco allora che bisogna partecipare, impegnarsi a fare a cominciare dai consigli circoscrizionali, a quelli ex provinciali, ora aree metropolitane; da quelli comunali a quelli regionali, sino ad arrivare ai consessi parlamentari, a farsi carico, il che è un impegno morale e fattuale da non sottovalutare.
E’, forse, la validazione più sensibile della funzione che fa capo al consigliere e all’assessore; al componente di un direttivo di partito, al membro di un consiglio associativo, a colui o a coloro che svolgono una pubblica funzione.
E’qualcosa, la partecipazione, che pesa e fa onore, che dà responsabilità e visibilità, quella “luce” che spesso si rincorre ,salvo poi ad oscurarla col disimpegno e con l’assenza.
Se questo vale per gli eletti di qualsiasi livello, vale anche per il cittadino che non ha carichi di pubblica responsabilità. Vale per tutti partecipare, ”sporcarsi le mani”, per contrastare il significato dell’espressione del nostro presidente quattrovolteventi: “basta vincere, il resto conta niente”.
Per noi non è così e ci permettiamo di obiettare che così non deve essere, non può essere, se vogliamo ancora risiedere in un sistema democratico.

Napoli, 6 dicembre 2014

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