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Wu Ming : L’ARMATA DEI SONNAMBULI.

di Aldo De Biase

“La rivoluzione non è che un sentimento” ( Pier Paolo Pasolini, da “L’alba meridionale”, 1964)

Dopo “Manituana” (2007) il collettivo di scrittori bolognesi che si manifesta ai lettori sotto il nome di Wu Ming (in cinese, “senza nome”, oppure – a seconda di come si pronunzia la prima sillaba – “cinque nomi”) continua la serie dei romanzi storici sulle rivoluzioni mancate, che aveva inaugurato – sotto il nome di Luther Blissett – con “Q” (1999).

Questa volta, sullo sfondo è la “Rivoluzione” per eccellenza: la Rivoluzione Francese, e precisamente, il periodo che va dalla decapitazione di Luigi XVI (“il cittadino Luigi Capeto”) nel 1793 al periodo post-Termidoro (1795), e dunque, dall’affermazione dell’ala rivoluzionaria radicale dei montagnardi e dei sanculotti all’ascesa del Direttorio e dei controrivoluzionari. Il romanzo è strutturato come una pièce teatrale, nelle quali si muovono i personaggi: la popolana rivoluzionaria radicale Marie Nozière che aderisce al movimento delle “Amazzoni” di Claire Lecombe, l’attore italiano Lèo Modonnet, che poi diventa – per caso e per necessità – Scaramouche, il difensore del popolo e dei deboli, il Barone d’ Yvers, aristocratico reazionario esperto di mesmerismo, che addestra un’armata di uomini-automi per combattere la rivoluzione, al quale si oppone il Dottor d’Amblanc, allievo di Anton Mesmer ed anch’egli esperto di magnetismo animale. Il tutto, interpolato da documenti ufficiali della Convenzione Nazionale, da estratti dai discorsi di Robespierre e Marat e da una scena decisamente “noir” che si svolge nella misteriosa Alvernia. Ancora un volta, come nella fallita rivolta degli anabattisti di Munster descritta in “Q” e nella impari lotta delle delle “sei nazioni” irochesi contro l’invasore europeo ed i coloni bianchi in “Manituana”, si prende atto amaramente della fine di un sogno, che poi, è la fine di tutti i sogni: quello di un potere che sia davvero espressione di un taglio radicale con l’ancient regime e che sia autenticamente del popolo e per il popolo. Molto acuta, al riguardo, è l’interpretazione di Enrico Manera, per il quale la metafora dei “sonnambuli” addestrati dal controrivoluzionario Barone d’Yvres, sta a dimostrare che “l’interpretazione dell’Illuminismo e della filosofia politica in genere, secondo cui l’agire politico si basa su scelte razionali compiute da agenti liberi, sia un’ingenua illusione”. Aggiungo che, in questo contesto, la frase che Napoleone pronunziò circa dieci anni dopo i fatti narrati nel romanzo, ossia “La rivoluzione è un’idea che ha trovato delle baionette”, suona davvero beffarda e stridente. Ma, dopo il disinganno e la delusione che traspaiono dalle pagine, il  romanzo si conclude con un’immagine bellissima e simbolica: Bastien, il ragazzino figlio di Marie Nozière, scrive su un muro “VIVA SCARAMOUCHE”; ossia : la rivoluzione non morrà ! Pia illusione ? Forse. Anzi, probabile. Il romanzo – al di là di tutte le accennate sovrastrutture politico-ideologico-culturali – benché di rilevante numero di pagine, è di scrittura piana e si lascia leggere senza eccessiva difficoltà e non mancherà di appassionare i cultori del genere “romanzo storico” (inteso alla “Wu Ming”, ovviamente).

Wu Ming : L’ARMATA DEI SONNAMBULI, 2014, Einaudi, Stile Libero Big, pp. 792

Napoli, 11 agosto 2014