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Vivere in Campania è a rischio …naturale, però. E non solo in Campania!
di Pasquale Falco

 

 

5La prima parte del titolo e la cronaca mediatica quotidiana farebbero andare immediatamente il pensiero del lettore al non elevato livello di vivibilità della nostra regione, in cui le difficili condizioni socio-economiche spesso generano più o meno diffuse forme di disagio.

Tutt’altro. Si vuole, invece, far focalizzare l’attenzione del lettore sulle problematiche connesse ai rischi naturali, che interessano in modo generalizzato tutti i territori abitati e che impattano su aspetti importanti per la vita e le attività umane.

Le anzidette problematiche, invero, sono fonte di preoccupazioni maggiori in Campania, in quanto statisticamente è dimostrato che, tra le venti regioni italiane, quella a più alto rischio naturale è senza dubbio la nostra.

Infatti, si calcola, che 176 Comuni sui 550 campani siano esposti ad alluvioni, 123 Comuni siano a rischio inondazioni, 3 milioni di abitanti su una popolazione totale di 5 milioni e passa di residenti convivano in aree a forte rischio sismico, 800 mila abitanti in zone ad alto rischio vulcanico.

Questo perchè due principali elementi che elevano la vulnerabilità di un territorio, vale a dire le7 caratteristiche geologico-morfologiche e la densità abitativa, oggettivamente fanno nella nostra Regione un territorio fra i più a rischio, essendo esposti, tra l’altro, a più tipologie di rischio naturale.

Ad analizzare i dati specifici nazionali, anche l’Italia si presenta come uno dei Paesi europei maggiormente soggetto ai rischi naturali.

Prima ancora, comunque, di affrontare le diverse e specifiche situazioni di rischio naturale per il territorio campano, che saranno necessariamente oggetto di più trattazioni successive, occorre preliminarmente illustrare il concetto di rischio naturale.

Presentare i diversi fattori che, interconnessi tra loro, lo determinano e descrivere le strategie progettuali per affrontarlo e mettere in atto le misure indirizzate alla sua mitigazione.

Il rischio naturale: cos’è, i fattori che lo determinano, le misure di mitigazione.

Le Scienze della Terra ci insegnano che il nostro è un pianeta dinamico grazie a straordinari fenomeni geologici: sia endogeni, cioè che avvengono al suo interno, sia esogeni, che si evidenziano sulla sua superficie.

1Alla cosiddetta scala dei tempi geologici (che è estremamente più lunga di quella che misura la vita di un uomo), vengono operate continue, lente, e a volte impercettibili ad una singola generazione umana, trasformazioni della superficie terrestre:

  • dal movimento reciproco delle placche continentali, che si allontanano o trascorrono (si spostano in senso opposto) o si scontrano,
  • dalle catene montuose che si innalzano,
  • dalle dorsali oceaniche che si ampliano, e
  • dalle aree vulcaniche che caratterizzano ampi territori di pertinenza.

Ancor più dinamica appare la terra considerando l’imprescindibile atmosfera che la circonda; all’interno di questa trova posto la miscela di aria che respiriamo e dove la circolazione atmosferica e l’acqua, sotto forma di vapore e nubi, determinano la meteorologia, nella sua ampissima gamma.

A scala locale, di conseguenza, l’uomo osserva e subisce, nella stragrande maggioranza quasi impotente:

  • terremoti,
  • eruzioni vulcaniche,
  • movimenti bradisismici del suolo,
  • maremoti,
  • precipitazioni liquide e solide ed eventi atmosferici intensi,
  • modellazione delle forme del territorio operata dall’erosione.

Tutti gli eventi naturali sopra citati sono evidenze fenomenologiche, e figlie, del pianeta che vive.

Separatore_007Spesso i media rimandano immagini di maremoti, di danni a cose e persone da terremoti, di inondazioni, di alluvioni, che accadono in ogni zona della terra. Sempre più spesso, però, negli ultimi tempi, si registra un’evidenza incontrovertibile: le stesse tipologie di eventi, sempre di matrice naturale (fanno eccezione gli incendi dolosi), si manifestano con frequenze notevolmente maggiori e con caratteristiche energetiche sempre più estreme e disastrose.

Quanto pesa la componente antropica, che si somma a quella naturale, nelle inondazioni e alluvioni che si2 sono succedute in un’ampia fascia intercontinentale, dal Belgio e dalla Germania, passando per la Turchia fino all’Estremo Oriente? E quanto incidono le attività umane che innescano e accelerano i cambiamenti climatici, inclusi gli incendi, altrettanto estesi e devastanti, che stanno interessando la Grecia, il Meridione d’Italia, l’Algeria, la California, l’Australia, già colpite da estesissimi incendi la scorsa estate?

Tantissimo, anzi troppo; tanto che gli assetti naturali veri sono sconvolti ed è messa a rischio la stessa sopravvivenza della specie umana; la scienza ha raccolto prove inconfutabili che concausa e catalizzatore delle aumentate frequenza e capacità distruttive di tali fenomeni naturali è ormai indiscutibilmente il riscaldamento globale, conseguenza delle emissioni di gas e sostanze clima-alteranti prodotte dalle attività antropiche.

A questo si aggiunge anche l’altrettanto deleteria azione modificatrice del territorio, operata dall’antropizzazione sistematica anche di zone impervie e meno sicure. Il punto di non ritorno sembra raggiunto.

6In questa sede, purtroppo si può solo rimarcare la speranza, per un ritorno alla naturalità originaria pre-industriale, attraverso una applicazione urgentissima e indifferibile di efficaci interventi; questi, condivisi a scala planetaria, devono conciliare le esigenze delle economie emergenti e la coscienza ambientalista a casa degli altri dei Paesi avanzati, riducendo l’azione disturbatrice degli equilibri a scala locale e planetaria.

Non c’è dubbio che il tutto deve passare attraverso un diverso modo dell’umanità di correlarsi con il pianeta che lo ospita, la sua attuale casa, prima che questa vada in rovina definitivamente.

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A sottolineare una ulteriore interconnessione tra il fattore antropico e gli assetti naturali, nella seguente tabella di classificazione generale dei rischi, oltre a quelli di genesi naturale sono stati elencati anche i rischi tecnologici e sociali. Individuata la genesi e i vari tipi di rischio, sono elencati, in maniera non esaustiva, i vari esempi dei rispettivi fenomeni.

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E’ chiaro che questi eventi rappresentano direttamente o indirettamente, prima di accadere, una minaccia, un pericolo e, quindi, un rischio per la vita, la salute e gli interessi della popolazione del territorio che ne è eventualmente interessato.

Una volta avvenuti, poi, la catastrofe, il disastro, la calamità costringono la comunità a pagare un caro prezzo in termini di vite4 umane, di manufatti e infrastrutture danneggiate o perse, tanto più quando si verificano con una connotazione eccezionale.

Un tempo le istituzioni intervenivano esclusivamente dopo che si era verificato l’evento disastroso, per soccorrere le popolazioni colpite e per ricostruire; pian piano si è andata affermando il concetto che la salvaguardia della vita umana, dei beni, risorse economiche e dell’ambiente può essere ottenuta studiando e approfondendo i territori esposti a rischio naturale.

Oggi si può affermare che l’unico strumento a disposizione in grado di diminuire l’entità dei danni e di tutelare la sicurezza individuale e collettiva consiste nella conoscenza stessa del territorio e delle situazioni di pericolo cui è esposto. Solo dopo sarà possibile adottare strategie ed azioni di mitigazione del rischio.

Per chi si approccia alla tematica rischio, una difficoltà iniziale è rappresentata dall’utilizzo ambiguo, nel linguaggio comune, di termini che nel linguaggio scientifico hanno ciascuno un significato preciso; rischio (risk in inglese), pericolosità (hazard, in inglese), probabilità, vulnerabilità, frequentemente vengono scambiati o utilizzati come sinonimi.

Invece pericolosità, vulnerabilità, danno, rischio indicano concetti precisi e diversi, pur essendo aspetti tra loro complementari dello stesso problema.

L’equazione che consente di stimare il rischio, basata su tre diversi fattori, permette di ricavare anche la definizione generale di rischio stesso, R = P x V x D, dove il rischio, R, è un concetto, qualitativo e/o quantitativo, che è la combinazione delle seguenti componenti:

  • P = pericolosità di un evento, che è data dalla probabilità che un fenomeno di determinata intensità energetica al di sopra di una certa soglia, e quindi in grado di causare impatti che vanno dal disagio lieve all’impatto distruttivo, si possa verificare in un certo intervallo di tempo in un certo territorio;
  • V = vulnerabilità del territorio esposto, che è data dal valore complessivo degli elementi, come vite umane o case, insediamenti, infrastrutture, localizzati o presenti nell’area presumibilmente interessata dall’evento, e quindi a rischio;
  • D = danno presumibile a seguito dell’evento, che è dato dal valore degli elementi, cioè persone, edifici, infrastrutture, attività economiche, che subiscono un danneggiamento in conseguenza dell’evento in funzione della propensione a subire danneggiamenti di ciascuno di essi.

Nel grafico riportato nel seguito, è proposto l’esempio di come sia valutabile il rischio per un territorio esposto, nel caso specifico, ad una fenomenologia vulcanica.

Innanzitutto occorre valutare la pericolosità dell’area definendo un probabile scenario a seguito di un evento di attività vulcanica.

Vanno esaminate le attentamente le possibili manifestazioni (fuoriuscita di colate laviche, formazione di una colonna pliniana con la caratteristica forma a pino, il suo collasso, lo scorrimento sui fianchi del vulcano di flussi piroclastici e nubi ardenti) che possono interessare l’area in studio.

Il secondo passaggio richiede la determinazione del valore complessivo degli elementi a rischio; si stima, quindi, il valore delle case, insediamenti, infrastrutture, la popolazione residente, cioè di tutti quegli elementi che ricadono all’interno dell’area che potrebbe essere interessata dall’evento ritenuto probabile nel primo passaggio.

Infine, è necessario determinare il danno presumibile arrecato a seguito dell’evento a quegli elementi che, per una serie di fattori intrinseci ed estrinseci, subiscono un danneggiamento parziale, o che addirittura periscono totalmente.

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L’equazione del rischio è generalmente valida per tutte le diverse tipologie di rischio, non solo per quelle di genesi naturale.

Napoli, 7 settembre 2021