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Un’unica strada.
di don Giulio Cirignano

La nostra riflessione su Papa Francesco deve continuare, approfondirsi, farsi più lucida con il passare dei mesi, così da impedire qualunque processo di ridimensionamento di questo che, a buon diritto, può essere definito un vero e proprio dono dello spirito. Questa non è affermazione celebrativa, ma espressione di profonda gratitudine a Dio.
Desidero allora, riguardo a Papa Francesco, richiamare l’attenzione su un aspetto che stenta ad imporsi, ma che è, forse, l’aspetto più solido e importante . Questo: Papa Francesco ha in sé una carica di straordinaria novità. Novità, come dire: non vista prima. E’ nuovo il suo modo di pensare e di parlare di Dio e del Vangelo. E’ nuova la sua maniera di rapportarsi al popolo di Dio. Nuovo il suo modo di pensare il ruolo petrino. Nuovo il modo di rappresentare l’esperienza religiosa. E’ francescano nel cuore, gesuita nella mente ma, soprattutto, è uomo, uomo vero nel suo essere discepolo. Nuove sono le priorità che sceglie di adottare. Nuovi sia i suoi gesti semplici come le scelte di fondo.
Quale può essere, allora, la reazione davanti a un tale dato di fatto? Tutti,probabilmente, ci sentiamo messi a nudo nella nostra povertà. Ma, in alcuni, questa sensazione è vissuta con gioia e riconoscenza. Come una grazia. Da altri, forse, è vissuta con timore, se non con vero e proprio disagio. Ogni persona gestisce in maniera originale il proprio percorso evangelico e le provocazioni della grazia di Dio, i richiami dello spirito. Ma questa felice novità non può generare giudizi e contrasti. Solo preghiera, per sé e per gli altri.
Ma, detto questo, con altrettanta forza e chiarezza, deve essere affermata la impossibilità, per chi avverte disagio, a trovare scampo nella fragile categoria della continuità. E’ un modo infantile di proteggersi. Certo, in molti aspetti, si può registrare continuità. Tuttavia molti altri non sono addomesticabili con questo comodo paravento. La novità è un dono dello Spirito da guardare e salvaguardare con l’animo pieno di speranza.
Che fare, allora, in concreto? Dobbiamo constatare che Papa Francesco, in una molteplicità di occasioni, e soprattutto nella esortazione “Evangelii gaudium”, ha già detto quanto basta.
Ma ora voglio richiamare l’attenzione su un punto fondamentale:” no alla mondanità spirituale” (cfr n° 93). Questo passaggio, va esplicitato e portato fino in fondo cominciando a dire che In questo siamo tutti peccatori e in tutti agisce il tarlo della vanità. Ciò non va dimenticato.
Ma ci sono alcuni aspetti di mondanità spirituale che vanno denunziati con forza perché particolarmente evidenti. Aspetti da riferirsi in primo luogo non tanto alla responsabilità dei singoli , quanto piuttosto al pesante fardello di eredità storiche che, tuttavia, dobbiamo avere il coraggio di deporre.E’ la luminosa verità del Vangelo che ci guida, senza sconti, in questa non facile impresa. La mondanità, infatti, affonda le sue radici nell’animo umano e solo lo Spirito può sradicarla.
E’ mondanità il vasto complesso di titoli, segni, privilegi di potere ecclesiastico.Anche per Papa Francesco non c’è altra strada che questa: chiudere definitivamente il patetico,difficilediscorso sui titoli, i segni, i vantaggi del potere ecclesiastico. Egli non può sperare che sia la natura a risolvere il problema.
E allora è venuto il momento di dare attuazione ad una intenzione che si affacciò nel periodo conciliare, ma che poi non ebbe seguito. Via tutti i titoli, dai più banali come quello di Monsignore, a quelli più altisonanti quali quelli di Eccellenza e Eminenza. E’ mai possibile pensare che il Signore che non riteneva un privilegio neppure essere alla pari con Dio, al punto da “azzerare” se stesso fino a farsi servo, abbia pensato a dar vita all’interno della sua comunità ad un tale rosario di titoli?
No, non è possibile.
Poi i segni. Come sarebbe bello l’invito a liberarsi di tutti gli abiti con i bottoni rossi, le ampie fasce rosso- porpora, le mantelline di vari e cangianti colori, i cappellini anch’essi di varie tonalità di rosso, quei buffi copricapi che chiamiamo mitre e via elencando.Tutto ciò che ha sapore di clericalismo abbassa il livello della fraternità.
Infine i privilegi. Non in primo luogo quelli materiali, quanto piuttosto quelli morali. Un ecclesiastico, circonfuso dei suoi titoli e segni, acquista rilievo particolare nella comunità, a prescindere. A prescindere dalla sua qualità intellettuale e spirituale, circondato dai soliti noti “sempre pronti a fargli i complimenti” (Ev.G. n. 31). No, il Signore non può aver inventato una cosa simile.
Quando, infatti, i due discepoli gli chiesero di sedere uno a destra e uno a sinistra nel suo regno né li accontentò né si adoperò a dare loro buoni consigli. Semplicemente disse loro che non sapevano cosa chiedevano. Poi, a tutti gli altri discepoli ricordò, a nostro perenne insegnamento: “Voi sapete che coloro che sono ritenuti capi delle nazioni, le dominano, e i loro grandi esercitano su di esse il potere. Fra voi, però, non è così” (Mc 10, 42-43).
Fra voi non è così: è tutto. Degerarchizzare la Chiesa non significa sminuire il grande valore del sacerdozio ministeriale, ma allontanare la tentazione della mondanità.

5 luglio 2014