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Tradizioni e rituali
di Giulia Di Nola

Negli ultimi cinquant’anni la nostra visione del cibo è cambiata e un tempo le trattorie, i ristoranti si potevano contare sulle dita d’una sola mano.

Il mangiare a casa, come lo stare insieme la domenica, erano consuetudine e le donne, instancabili, preparavano lunghi pranzi. Ad esse, infatti, spettava il sapere culinario, il più delle volte tramandato di mamma in figlia, sapere che rispecchiava le tradizioni del luogo in cui si abitava.

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Spesso, oggi, si mangia fuori casa e la lievitazione di fast food, pizzerie e pub, lo dimostra.

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Così, ogni orario è buono per mangiucchiare e la cultura gastronomica s’è trasferita dalle donne, sempre più inserite nel mondo del lavoro, agli uomini.

Lo dicono i ricettari degli chef come i programmi televisivi o gli spot pubblicitari ove le mamme e le nonne sono le maggiori consumatrici di cibi pronti all’uso, in scatola o surgelati rinunciando a cucinare anche per le feste cosiddette comandate e sacre, il Natale o la Pasqua.

Ed è in questi giorni, ormai secolarizzati, che, sovente, si ricorre ai ristoranti un tempo chiusi, dal momento che la stragrande maggioranza delle famiglie li viveva in casa tra amici e parenti, tra luculliane tavolate, tra tombolate e giochi di carte, tra pizze rustiche e pastiere.

In tal modo, il rituale delle tavole apparecchiate e straripanti di convivialità, accoglienza e gioia, è tracollato così come il valore simbolico dello stesso; siamo giunti, quindi, a un disintegrarsi dei legami che univano i membri d’una famiglia per diventare autentico consumismo per cui il referente più importante è il denaro, non l’amore.

Napoli, 28 luglio 2018