Qualcuno fermerà la mano di Caino?
Qualcuno fermerà la mano di Caino?
di Luigi Antonio Gambuti
La domanda può sembrare retorica e più retorica rischia di sembrare la risposta.
Quel qualcuno posso essere io, puoi essere tu, possiamo essere noi. Ma, principalmente, dovremmo coniugare un altro verbo. Non più potere, come esercizio della facoltà di scegliere se agire o meno per un certo fine, ma dovere, come segno di responsabilità che ricade in capo a tutti coloro che hanno riconosciuto il diritto alla libertà come segno assoluto del loro statuto di uomini e di cittadini. Dovere, dunque, che si fa onere su di me, su di te, su tutti noi, come collettività organizzata.
Di caini e del cainismo che ne è derivato è piena la storia scritta dalle mani dell’uomo. Sullo scenario della cosiddetta modernità – post, per chi corre più del passo che riesce a fare -; nello sconforto che violenta le coscienze e modula a suo favore la scrittura e le parole, il gesto e l’apparire, esplode in tutta la sua fragilità il grido di dolore di papa Francesco che invita alla preghiera e definisce maledetti tutti coloro che, caini postmoderni, spargono spavaldi il sangue dei fratelli.
Il pellegrino d’amore che si fa cantore della fratellanza universale, il coraggioso testimone del libero pensiero-chi più’ di lui ha sdoganato i tabù della chiesa – apparato?-incita il popolo più al rispetto che all’offesa, nel momento in cui si pone con tutta la sua forza la necessità di prendere le distanze dal terrorismo, comunque esso si presenti senza distinzione alcuna.
Bisogna venire fuori dall’atmosfera del terrore e fare della speranza del riuscire la leva per superare la drammaticità dell’ora che viviamo e rigettare il clima di paura che circonda il nostro quotidiano.
Si è plurali nella convivenza e nella pluralità vanno considerati come elementi inscindibili –diremmo non negoziabili- i tratti distintivi delle tante identità che, al di là di essere elementi di conflitto, dovrebbero essere motivo di rispetto delle identità “diverse”, nel riconoscimento della diversità come valore.
Di caini la storia si è alimentata nei millenni.
Dal progenitore del male, da quel gesto che dà l’avvio alla storia della fragilità dell’uomo come archetipo del sacrificio che vede soccombere il fratello per mano del fratello, una lunga sequela di tradimento del bene si è snodata come una catena sanguinosa sino ad arrivare ai nostri giorni, laddove sembra tutto più fragile e tutto da mettere in discussione, lo stesso diritto alla vita, da come si può dedurre dalle vicende di Parigi e Bruxelles e poi di Bamako, capitale del Mali.
Non bisogna mai rimuovere dalla memoria collettiva il male assoluto dei lager nazisti e dei gulag sovietici; più vicini a noi il genocidio dei tutsi da parte dei fratelli hutu; il genocidio degli Armeni e il Darfour; la strage di Srebrenica e l’infinita guerra fratricida tra sunniti e sciiti.
Non bisogna mistificare la storia del dolore per vivere il presente con la leggerezza della moda che non vuole essere investita di questioni che ne disturbano la quiete.
No, bisogna essere presenti nella sconvolgente narrazione di questi giorni convulsi dove tutto è messo in discussione ,dove i caini si affacciano sempre più arroganti ed agguerrirti sulla scena mondiale .
Da parte nostra, vale a dire dalla parte di coloro che non hanno nella disponibilità alcuna leva del comando e della decisione, non ci resta che evocare l’ardire del perdono e del rispetto, sole virtù che possono affossare l’odio e il rancore.
E’, questo, il tempo più propizio per sostenere e praticare l’amore universale.
Grosse parole?
Forse parole grosse, siamo d’accordo, ma non tanto da scalfire l’acciaio degli armamenti e la durezza della coscienza.
E far cadere le ragioni dell’odio, forse tribale, forse razziale, che viene individuato come elemento motore delle attuali sconvolgenti vicende che dal vicino oriente si vanno estendendo verso le frontiere europee e giù giù sino ai paesi centroafricani.
La terra che sostiene i passi di milioni di innocenti; la terra che sconta secoli di sopraffazione e di violenza non può non deve essere ancora il teatro di scenari sanguinosi, per dare sfogo ad atti di violenza in nome di Dio che, se Dio deve essere considerato, non può e non dovrebbe mai essere invocato come destinatario di sacrifici che si realizzano con la morte dell’uomo di qualunque colore, cultura e costumi esso sia.
Tra le ragioni che muovono la mano di Caino ve ne sono alcune che non possono essere giustificate da motivi di carattere etnico-religioso. (Se ne fa testimone la scritta not in my name, dettata come presa di distanza dagli autori delle stragi di queste ultime ore.).
Tra queste la produzione e il commercio delle armi, esploso in questi giorni; lo smercio incontrollato del petrolio, il mercato mondiale della droga e dei reperti archeologici, il traffico orrendo di organi umani sempre più richiesti dalle opulente malaticce società del mondo occidentale.
Se non si bloccano queste attività criminose che danno senso solo al mero valore economico dell’esistenza non si realizzerà mai la pace in terra e la tanto invocata fratellanza universale, quella fratellanza di valori per la quale papa Francesco rischia la vita e calpesta con piede leggero i sentieri del mondo come testimone del bene, moderno Abele che richiama tutti al rispetto della vita.
Piangere non serve, si è sentito da più voci.
Nel deserto dell’anima, prima di scrivere la fine della storia -il rischio c’è e non da poco- bisogna squarciare il silenzio della morte con l’istinto della vita e al posto delle bombe che “fanno bollire la terra”, bisogna far risuonare il verbo dell’amore coniugato non tanto col rimpianto del passato e con il dolore e la paura del presente, quanto anche e soprattutto con la voglia irrefrenabile di viverlo al futuro.
Napoli, 28 novembre 2015