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Perdersi per ritrovarsi. Il vero amore è premio a sé stesso

di frate Valentino Parente

 


 

Affidiamo l’esistenza all’Amore di Dio e dei fratelli
perché possiamo imparare a giocare in perdita
e così consegnare la vita per ritrovarla
nei gesti della condivisione, del servizio,
della preghiera e della relazione.

 

 

XIII domenica del Tempo Ordinario – 28 giugno 2020

2Re 4,8-11.14-16a   Matteo 10,37-42

VeritatisSp In questa domenica, XIII del tempo ordinario, la Liturgia della Parola ci propone ancora un brano del cap. 10 del vangelo di Matteo, precisamente preso dal discorso missionario.

È una antologia di versetti con i quali Gesù ci offre una serie di consigli, perle di sapienza, che rivelano una realtà profonda e spingono ad un particolare comportamento.

I primi loghia, cioè i primi detti sapienziali di Gesù, sono caratterizzati dal concetto di dignità, ripetuto per ben tre volte: “chi ama padre o madre più di me non è degno di me; chi ama figlio o figlia più di me, non è degno di me; chi non prende la sua croce e non mi segue, non è degno di me”.

Intende dire Gesù: non può essere mio discepolo, non è adatto ad essere mio discepolo, chi mette prima di me:

- gli affetti del passato, padre e madre,

- gli affetti del futuro, figlio o figlia o l’attaccamento a sé stesso,

- nel presente: chi non prende la propria croce, cioè chi non è disposto a rischiare anche la vita per seguirmi, non è adatto a fare il discepolo.

Gesù vuole sottolineare che l’adesione a Lui deve essere totalizzante, deve venire prima di ogni altro amore, così come il Suo amore per noi è venuto prima della sua stessa vita.

Solamente Dio merita di essere amato in modo assoluto.

Tutto il resto deve essere amato nella misura in cui è amato da Dio.

Il Signore ci addita l’amore autentico e ci chiede di amare la famiglia e il prossimo, ma mai dobbiamo anteporre questi amori all’amore di Dio, che deve sempre occupare il primo posto.

Quando si ama Dio, gli altri amori acquistano risonanze più profonde e ampie, si purificano, il cuore si dilata e diventa davvero capace di amare la famiglia e il prossimo con l’amore stesso di Dio.

E ancora: Chi avrà tenuto per sé la propria vita, la perderà.

È paradossale: chi cerca di salvare sé stesso, si rovina; al contrario: chi avrà perduto la propria vita per causa mia, la troverà.

Chi invece ha il coraggio di spendere la propria vita per il Signore, di donarla, mettendola al servizio degli altri, si accorgerà di trovare la propria vita, si accorgerà di avere, cioè di vivere, una vita piena.

Un’altra serie di detti, è centrata sull’accoglienza.

Questo tema è preparato dalla prima lettura.

È un brano preso dal secondo libro dei Re e ha come protagonista Eliseo, un grande profeta del regno di Israele, vissuto circa 800 annisunem2prima di Cristo.

Eliseo è un uomo itinerante che, ogni volta che passa per la città di Sunem, viene accolto da una illustre donna, la quale lo rifocilla e lo fa riposare.

Non solo lo accoglie, ma insieme al marito ha in progetto di costruirgli una stanza, in modo tale da accogliere abitualmente il profeta quando passa.

Un giorno il profeta si domanda come avrebbe potuto ricompensare la generosità di quella donna e il servo gli suggerisce: “purtroppo lei non ha un figlio e suo marito è vecchio”, sicuramente desidera avere un bambino.

E il profeta, con la sua capacità di intercessore, ottiene da Dio il dono della maternità: “L’anno prossimo, in questa stessa stagione, tu stringerai un figlio tra le tue braccia”.

La donna è ricompensata per la sua accoglienza con la promessa di una discendenza.

Questo brano ci ricorda un altro episodio simile.

L’episodio di Abramo che aveva accolto i tre divini Ospiti alle querce di Mamre, come racconta il libro della Genesi al cap. 18.

L’antico patriarca, ospitale nei confronti di Dio, sente rinnovare, con una scadenza precisa, “fra un anno a questa data”, la promessa di un figlio. E l’anno dopo Abramo tiene tra le braccia il figlio Isacco.

L’accoglienza, la disponibilità, l’amore per il prossimo, fa fiorire la vita.

Quando il tema è ripreso da Gesù nel Vangelo, troviamo ancora l’idea di una ricompensa, ma questa volta la ricompensa è spiritualizzata. 

Gesù promette sé stesso: Chi accoglie voi, accoglie me”.

mamreDi più, promette il Padre: Chi accoglie me accoglie colui che mi ha mandato.

Fare buona accoglienza al fratello significa uscire dal nostro egoismo per interessarci attivamente all’altro per dargli un po’ del nostro tempo, della nostra solidarietà e, prima ancora, per ascoltarlo con pazienza.

Anche un solo bicchiere di acqua fresca dato a uno di questi piccoli, a una persona semplice, perché discepolo di Gesù, non perde la sua ricompensa.

Un bicchiere d’acqua, dice Gesù, un gesto così piccolo che anche il più povero può permettersi.

E tuttavia un gesto non banale, un gesto vivo, significato da quell’aggettivo che Gesù aggiunge, così evangelico e fragrante: acqua fresca.

Un bicchiere d’acqua è poca cosa, ma un bicchiere di acqua fresca è un segno di cortesia, di gentilezza, di attenzione all’altro, quasi un’acqua affettuosa con dentro l’eco del cuore.

Un bicchiere d’acqua fresca se dato con tutto il cuore ha dentro tutto l’amore necessario.

Nulla è troppo piccolo per il Signore, perché ogni gesto compiuto con il cuore ci avvicina a Dio.

Sono formule sapienziali con cui Gesù invita ad essere coraggiosi, coerenti, generosi nel dare.la vocazione del bicchiereAmare nel Vangelo non equivale ad emozionarsi o trepidare per una creatura, ma si traduce sempre con un altro verbo, il verbo dare. Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo unico Figlio.

Non cè amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici.

Napoli, 26 giugno 2020