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Orfani, Guitti e Compagnia Cantando
di Luigi Antonio Gambuti

Riprendere il colloquio a distanza con i miei lettori, dopo la sospensione estiva, risulta non solo difficile, quanto anche piacevole per riaccendere il “fuoco” del rapporto, riaccordare gli strumenti della comunicazione e ri-conquistare, se mai potesse servire a qualcosa, il riconoscimento degli interlocutori e quella fiducia che mai può venir meno tra chi scrive e chi legge.

Aspirando il primo ad essere compreso e condiviso e restando, il secondo, soddisfatto e incuriosito per quanto gli è stato comunicato.

Così, per cominciare, bisogna fare la tara di tutti gli avvenimenti tristi, tanti e lieti, pochi, che hanno tratteggiato il tempo delle nostre ferie.

Via, dunque, le catastrofi umane e le miserie conseguenti-le guerre, il terrorismo; via le catastrofi naturali – i terremoti e le alluvioni, cerchiamo di riflettere, pur nei limiti che ci riconosciamo,  su quanto l’oggi ci interpella e ci confonde.

Non c’è dubbio che stiamo vivendo una stagione “provvisoria”,  sotto il profilo politico.

Se d’oltreoceano ci arrivano le dispute barnumiane dell’Hillary e del Trump; se dalle lontane terre degli Urali ci angosciano notizie di rappresaglie e di guerriglie che stendono morti e ammassano macerie, qui da noi, balcone sul Mediterraneo ridotto a cimitero, se non si muore di tritolo, si muore di miserie umane e valoriali. Si dirà. Che c’entrano le miserie valoriali? Se di quelle materiali siamo testimoni e sofferenti, se non protagonisti e produttori, dalle miserie valoriali si è sommersi fino al collo. Nessuno escluso.

Si tratta della corruzione sempre dilagante, delle diseguaglianze sempre piu accentuate, delle scandalose cronache di delinquenza minorile che terrorizza intere popolazioni e interi settori di mercato (oggi le “stese” rappresentano il nuovo lemma della violenza napoletana); si tratta dello sdoganamento del sesso esibito e contrabbandato come liberà di espressione (sexting è la parola che copre la vergogna); si tratta della messa in discussione di quei comportamenti (derivati concreti dei valori!) che hanno per millenni costituito il tessuto connettivo di una civiltà che nei secoli si è evoluta,nel rispetto costante e continuato della dignità della persona umana.

E d’altro ancora.

E la politica, allora? Il terreno della discussione, là dove si confrontano culture, mode ed abitudini, dove si costruisce l’agire quotidiano, si danno indirizzi e soluzioni e non solo spazi alle diversità meno opportune, cosa che, se anche rispettate, non devono esaltare più di tanto comportamenti ed occasioni.

La politica come ha risposto al grido di dolore che risale dalle piazze e dalle valli , si scioglie nei vicoli e nei fondaci, riecheggia dalle colonne dei giornali e nelle più scontate comparsate televisive?

Sempre le stesse facce, sempre le stesse supponenze, per sostenere e riaffermare il nulla e solo il nulla, perchè di questo si nutrono coloro i quali hanno nelle mani il destino dei nostri giorni a venire.

Un nulla per gli amministrati che fa da contraltare al tanto, troppo degli amministratori e politici, tanto per capire. Il partito che una volta fu il primo e il più prestigioso movimento politico organizzato, vive la sua dialettica interna senza più sorprese-ognuno recita bene la sua parte, non c’è che dire!-, tutto teso all’esito della consultazione referendaria per il rinnovo dell’assetto istituzionale del Paese.

Da poche ore se ne è ufficializzata la data. Fino al 4 dicembre non avremo altro da vedere se non l’arrotolarsi attorno a quest’asse “riformista”; ci accapiglieremo nelle solite manfrine, tra il sì e il no, come se la fame e le miserie che rendono difficili i giorni della gente si dovessero risolvere con un più o meno consistente numero di “onorevoli” di diversa caratura.

Del resto tutto tace, come nel greve silenzio d’un cielo che prepara un temporale.

Dal partito democratico vengono brontolii che a malapena scuotono la soglia d’attenzione.

Ci si attrezza per il grande botto, un tuono che farà rumore, ma, ne siamo convinti, poca pioggia ristoratrice scenderà sulle secche contrade del paese. Renzi, il presidente tuttofare quattrovolteventi, ha ammorbidito le aspettative legate alla posta in gioco. Tra il sì e il no referendario sta cercando di tirarsi fuori, visto che non può giocarsi la poltrona sulla scommessa che riguarda più il futuro che il presente, quest’ultimo tempo sapientemente gestito con buona raccolta di consensi.  A destra e a destra-centro si è in cerca di qualcosa che stenta a venir fuori.

L’ ottantenne cavaliere (auguri!) muove i fili di uno scenario deserto e senza primi attori. Sbucano anime, tra le quinte; voci scomposte recitano a soggetto il canovaccio di una storia che ha il sapore di una orfanità mai del tutto elaborata.

Solo le stelle del comico ricciuto fanno luccicare ogni tanto qualche lembo di cielo levantino.

Oggi a Palermo, domani chissà dove o forse no, da nesssuna parte, visto quel bailamme di rapporti che dà senso e colore a quattro gatti e qualche oca che si giocano l’ennesima partita.

Non vi è altro, in questa tarda stagione settembrina. Non si riesce a trovare posizione in questa temperie di incertezze e di paure. Non si è attrezzati più di tanto (da quale scuola politica proviene l’attuale classe dirigente? La Camilluccia e le Botteghe Oscure hanno da tempo chiuso i battenti e nessuno le rimpiange..) per capire.

Guai a farlo, si rischia di impazzire nel labirintico paesaggio di una stagione politica che mal si addice ad un popolo una volta re, oggi ridotto a posta da giocare.

Napoli, 7 ottobre 2016