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Lungo la via della sostenibilità tra salute, economia ed etica.

di Pasquale Falco

 

 

Il più antico libro di guerra è l’Arte della guerra, di Sun
Tzu, del quinto secolo avanti Cristo. Il volume, indica
l’accordo tra il popolo e l’autorità come uno dei cinque
elementi che definiscono chi vincerà la guerra. Ora, più
che mai, c’è bisogno di integrazione tra popolo e autorità.

 

Il virus si è fatto più buono?

Sembrerebbe proprio di sì. COVID-19 sta perdendo virulenza.

L’Italia, dopo il doloroso periodo di diffusione del contagio, dove ha fornito prove di sacrifici, solidarietà, dovere e rispetto delle regole, ha necessità di rimettersi in moto.

Tutti noi siamo consapevoli che il Sars-CoV-2 ha colpito duro sulla salute e sull’economia e la sensazione che la ripresa sarà difficoltosa è palese.

È stato fatto tutto quello che si poteva fare?

Si poteva fare di più?

Perché non abbiamo potuto fare di più?

È ora di tirare le somme e cercare risposte.

pasquale 2COVID-19, ha picchiato duro negli ospedali, la sanità pubblica ha sostenuto una vera e propria onda d’urto.

Ha subito l’assalto di un numero di malati, ben oltre la disponibilità di posti letto in rianimazione e nelle corsie.

Per ovviare alle carenze sono stati allestiti in tutta fretta nuovi ospedali, nelle ex-fiere, nelle ex-grandi officine, nei container, la priorità era limitare le vittime e continuare a garantire le cure anche ai ricoverati per altre malattie.

Per mancanza di posti, molti malati, a seguito di una decisione tragica, sono stati inviati nelle residenze per anziani, con gli effetti drammatici che abbiamo ancora nella mente.

Abbiamo avuto la netta percezione che la Sanità, abbia pagato le conseguenze dei tagli operati da qualche decennio a questa parte.

Tagli indiscriminati dettati dall’eccessivo indebitamento del Paese e dai continui richiami europei al rispetto dei vincoli economici imposti.

In assenza di una cura e/o di un vaccino prontamente disponibili, è stato necessario decretare il blocco di tutte le attività non essenziali e il distanziamento sociale.

Gli scienziati e gli esperti ci hanno convinti che senza l’adozione di queste misure le stime delle perdite sarebbero stati quattro, cinque, dieci volte tanto.

Alle perdite in vite umane e alle sofferenze dei contagiati, però, si sono aggiunti danni e distruzioni materiali per la chiusura delle attività commerciali non indispensabili e le conseguenti perdite di posti di lavoro.

A distanza di oltre due mesi, dopo tante morti e tanti contagiati, la terapia sta funzionando e i numeri della pandemia stanno sensibilmente calando.

Dal punto di vista economico, però, le conseguenze negative della chiusura non hanno tardato a farsi sentire.

Già nelle prime settimane di lockdown, il tessuto economico, fatto di tante attività, ormai inattive e prive di entrate, ha cominciato ad avvertire le prime difficoltà.

Queste sono cresciute a dismisura, fino a creare quasi una paradossale antitesi tra il dover garantire la salute pubblica e garantire il sostentamento economico di tutti i cittadini, e delle loro famiglie, rimasti senza un introito.

“Non siamo morti per il corona virus, ma stiamo morendo per la chiusura”, si sentiva dire spesso.

Il Governo già a inizio aprile aveva cercato di venire incontro alle difficoltà degli imprenditori e di quelli restati senza lavoro con una manovra che alleviasse queste difficoltà.

Si è parlato di finanziamenti a tasso agevolato, di somme a fondo perduto, di cassa integrazione, di sostegno di cittadinanza.

Ma, i soldi promessi non sono ancora arrivati nelle tasche di quelli che ne avevano bisogno.

Nel mese di maggio, così, sono emerse le evidenze, in tutta la loro gravità, di un sistema produttivo fortemente compromesso e di una prospettiva di fame e miseria.

Gli aiuti sono apparsi chiaramente insufficienti e tardivi. Ancora oggi le possibilità di immissione di liquidità da parte del governo nell’economia reale del Paese appaiono scarse.

Altrettanto oggettiva è l’opinione che non si possa fare di più, a causa delle regole europee di austerità finanziaria.

A questo punto sorge una domanda: “Come mai il nostro Paese si trova in tali difficoltà economiche?”.

La mente va subito a quelle situazioni critiche che da sempre affliggono le nostre finanze: l’evasione fiscale, il sommerso, il lavoro nero, lo sperpero di denaro pubblico e la corruzione.

Sono questi dei mostri che limitano fortemente le possibilità economiche del nostro Paese, perché sottraggono risorse importanti fondamentali in determinate situazioni, all’intera collettività.

Immaginiamo per un attimo quanto minore sarebbe potuto essere il bilancio delle vittime, se gli ospedali non avessero subito tagli indiscriminati, se la disponibilità di posti letto non avesse costretto a ricorrere all’infausto trasferimento di contagiati nelle RSA, se la ricerca scientifica italiana avesse potuto contare su finanziamenti robusti, tali da metterla al pari di quelle dei Paesi più avanti negli studi sulle cure.

Allo stesso modo, possiamo immaginare che gli aiuti robusti e adeguati che lo Stato sarebbe stato in grado di erogare alle attività economiche ferme, ai lavoratori senza stipendio, alle famiglie in difficoltà, sarebbero stati molto più rapidi ed efficaci.

E allora, in conclusione, volendo dare delle risposte agli interrogativi che ci siamo posti all’inizio, non possiamo che convenire che abbiamo fatto il massimo per poterci contrapporre ai danni provocati dal corona virus.

Ovviamente, facendo conto solo su quel potenziale che avevamo a disposizione.

Dobbiamo, però, ammettere che potevamo fare molto di più, se solo avessimo potuto contare su quelle risorse economiche che quei mostri ci sottraggono.

Sono proprio quelle risorse mancanti che hanno causato tanti guasti.

Paradossalmente, il virus ha lasciato alle sue spalle una eredità positiva: l’occasione per il sistema economico di ripartire con l’opportunità di far fare un salto di qualità al nostro futuro vivere quotidiano.

È indubbio che Covid-19 ci dà la possibilità di riflettere su questi aspetti, dando il giusto valore a dei cittadini veri in una società etica.

La crisi ha reso evidente le fragilità della nostra economia, ma anche l’inadeguatezza delle nostre istituzioni che dovrebbero fungere da regolatore.

Voglio pensarla come a una prova di resilienza della nostra società, che invita a cambiamenti radicali. 

La ricostruzione impone di investire nella capacità di autoripararsi
della nostra società.
Le priorità: infrastrutture per la protezione della
salute, riconversione economica coerente con una strategia verde e
investimento nella scuola per implementare una vera etica pubblica.
 

Trasparenza, rigore e governo del sistema decisionale saranno fondamentali.

Lavorare sulla qualità delle istituzioni è importante, perché il pubblico avrà un ruolo maggiore nell’economia.

Molti soldi sono stati messi sul tavolo per far fronte all’urgente bisogno di liquidità di imprese e famiglie. Altri arriveranno dall’Europa per la ricostruzione, bisognerà saperli spendere, perché è importante ragionare su strumenti che permettano investimenti in strumenti finanziari etici da parte dello Stato.

Lavorare a una società più resiliente significa dare priorità a tre pilastri: protezione della salute, riconversione produttiva con unapasquale 3 strategia verde, investimento nella scuola per combattere la fragilità sociale e la bassa competitività del Paese dettata dall’ineguaglianza educativa.

In questo percorso è lo Stato che deve riappropriarsi della leadership.

La pandemia ha lasciato sul terreno avversione al rischio, tutti preferiscono il risparmio perché c’è incertezza sui rendimenti futuri.

Per porre un argine a questa deriva nichilista, servono non solo strumenti finanziari, ma la capacità di iniettare fiducia su un progetto che coinvolga tutta la società civile.

Cambiamenti di questa ampiezza non si fanno senza la gente!

Capisco bene che questi equilibri sono resi fragili da una società italiana che si sente tradita dalle promesse della globalizzazione.

Si avverte una società ripiegata sull’illusione che populismo e nazionalismo forniranno le risposte.

Qui sta forse la sfida più difficile, in un mondo iper-connesso non bisogna combattere i vecchi mali della globalizzazione, ma saperli governare.

Napoli, 21 maggio 2019

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