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Lingua DOCG

di Giulia Di Nola

Sin troppo fascista, sin troppo elitaria, votata ai migliori ma soprattutto una Riforma, quella del filosofo Gentile, fondatore del Liceo classico, che dava, senza ombra di dubbio, priorità alle materie umanistiche.

Considerata aristocratica, varata in Italia nel 1923 e rielaborata dal Radice, essa rappresentava una sequela di atti normativi che restò in vigore anche dopo l’avvento della Repubblica.

Gramsci la definì classista; niente di più vero! Come niente di più vero è il fatto che, oggi, la centralità delle discipline matematiche ha creato, non senza conseguenze negative, una massa di cervelli asfittici soggiogati dal rigore scientifico, tramortiti da un’imbavagliante tecnocrazia.

Quest’ultima, in linea con la classe dirigente politica, ci vuole uniformi e piatti, privi di creatività, ingessati culturalmente e in ultima analisi, acefali.

Il dominio dei cellulari, delle immagini e della virtualità, ha ridotto non solo i nostri istinti primordiali a un lontano ricordo, ma ha altresì modificato, sino alla quasi o totale eliminazione, la fluidità linguistica cioè il potere dinamico della parola intesa come ponte o possibilità sociale di interconnettersi all’altro da noi, l’importanza antropologica della PAROLA.

Di qui al mutismo, il passo sarà breve!

Lo dimostra un sapere sempre più nozionistico, lo dimostrano i temi svolti in classe dai ragazzi: sempre più atrofizzati, sempre meno fantasiosi; sempre più stilizzati, sempre meno umani. E lo dimostra anche il sempre meno interesse per la lettura in genere, per la filosofia, per il latino e per il greco nello specifico; lo dimostra il sempre più acceso amore per le lingue internazionali come l’inglese, lo spagnolo giustificando e finalizzando il tutto al futuro impiego lavorativo.

Fatto, a dir poco, disonesto. Di che lavoro parliamo, infatti?

Le lamentele dei professori, a volte a sproposito, fuori luogo e contraddittorie, partite dalla constatazione che le lacune, se vogliamo le lesioni linguistiche dei discenti innumerevoli e imbarazzanti, sono giunte al Ministro dell’istruzione tra l’altro squalificato da noi italiani per non essere in possesso d’una laurea. Che disastro! Ma fa nulla perché tra una “e” ed una “è” non c’è differenza alcuna!!

Ecco che, forse, ritornare un po’ al rigore gentiliano, la vera “buona scuola”, a noi italiani, non farebbe per niente male.

Napoli, 2 marzo 2017