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Libero come un uomo, 10 canzoni di Giorgio Gaber
di Emanuela Cristo

Si autodefiniva il “filosofo ignorante”. Evidentemente con un eccesso di modestia, vista la vastissima cultura che possedeva e alla quale faceva spesso riferimento. Giorgio Gaber è stato cantautore, chitarrista, regista, commediografo, attore, precursore del teatro-canzone, ma soprattutto uno degli artisti più influenti ed originali del secondo dopoguerra italiano. Attraverso l’ironia, il disincanto, la descrizione delle nevrosi dell’uomo comune, ma anche l’entusiasmo per la vita e l’impegno civile, Gaber ha cercato di scardinare il conformismo ideologico. Per questo è rimasto sempre sfuggente a qualsiasi tentativo di etichettatura. A lui dedichiamo quindi la playlist di 10 canzoni di questa settimana.

Ci ha lasciati prematuramente pochi giorni prima di compiere 64  anni, nel 2003. L’anno successivo, la Fondazione a lui intitolata ha creato il Festival Teatro Canzone Giorgio Gaber.

1 – Lo shampoo (1972)

Uno degli esempi migliori di teatro canzone di Gaber. Un brano di cui, negli anni, sono state fatte molte cover e reinterpretazioni. “La schiuma è una cosa pura come il latte: purifica di dentro. La schiuma è una cosa sacra che pulisce la persona meschina, abbattuta, oppressa. È una cosa sacra. Come la Santa Messa.”

2 – La libertà (1973)

Scritta a quattro mani con il sodale Luporini, trae spunto da una nuova idea di democrazia diretta sperimentata da alcune comunità in Piemonte e in Emilia sul finire degli anni ’60. “La libertà non è star sopra un albero. Non è neanche il volo di un moscone. La libertà non è uno spazio libero. Libertà è partecipazione.”

3 – Io se fossi Dio (1980)

Un brano che racchiude tutta l’ideologia di Gaber. Una lucida e polemica accusa nei confronti dell’intera classe politica italiana, dalla quale bisogna inevitabilmente allontanarsi. “Io se fossi Dio non avrei proprio più pazienza, inventerei di nuovo una morale e farei suonare le trombe per il giudizio universale.”

4 – L’illogica allegria (1981)

In questa canzone Gaber rivendica il diritto a trovare la propria allegria nelle piccole cose e nei gesti che appaiono insignificanti, e il diritto a provare anche emozioni non razionali. Il diritto a trovare l’allegria anche nella solitudine. “È come un’illogica allegria di cui non so il motivo, non so che cosa sia.”

5 – Qualcuno era comunista (1992)

Un’analisi lunga e di nuovo estremamente lucida sull’ideale comunista, le sue speranze, le illusioni ma anche le frustrazioni. “Qualcuno era comunista perché era ricco ma amava il popolo. Era comunista perché beveva il vino e si commuoveva alle feste popolari. Qualcuno era comunista perché era così ateo che aveva bisogno di un altro Dio.”

6 – Quando sarò capace d’amare (1994)

Una canzone che canta il desiderio di trovare la purezza del sentimento d’amore, totalmente slegato da forzature e aspettative. “Quando sarò capace d’amare mi piacerebbe un amore che non avesse alcun appuntamento col dovere.”

7 – Destra-Sinistra (1994)

Con la sua caratteristica ironia, Gaber elenca le presunte differenze politiche tra la destra e la sinistra, dimostrandone in realtà l’inutilità, perchè si tratta ormai più che altro di luoghi comuni. “Tutti noi ce la prendiamo con la storia ma io dico che la colpa è nostra. È evidente che la gente è poco seria quando parla di sinistra o destra.”

8 – La razza in estinzione (2001)

Non si può dire che sia un edificante giudizio delle nuove generazioni. Al contrario, in questo brano Gaber dipinge una generazione senza più alcuna passione o desiderio di cambiare le cose. “Senza alcun rimorso, ma la mia generazione ha perso.”

9 – Non insegnate ai bambini (2003)

Gaber della generazione di giovani non ha una visione ottimista, ma sembra comunque riporre fiducia nei bambini, ai quali riconosce di avere gli occhi puri, e necessari per desiderare di cambiare il mondo. Ricorda, quindi a chi mette al mondo dei figli, di lasciare che siano sé stessi. “Date fiducia all’amore: il resto è niente.”

10 – Io non mi sento italiano (2003)

Title track dell’album uscito postumo, a meno di un mese dalla sua scomparsa. Anche questo pezzo che era stato scritto con Luporini, è probabilmente il brano con cui maggiormente identifichiamo Giorgio Gaber. Ancora una volta era lucido e aveva uno spirito critico verso la realtà italiana e delle sue contraddizioni, ma nonostante tutto si intravede forse ancora un barlume di speranza. “Io non mi sento italiano, ma per fortuna purtroppo lo sono.”

Ascolta la playlist su Spotyfy!

Napoli, 6 novembre 2023