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Le palle del castoro

di Enrico Tomaselli

 

Secondo Bankitalia, l’Italia quasi affoga nei beni culturali. Dice il suo ultimo rapporto sulle economie regionali che abbiamo 4800 musei, quasi 8 ogni 100.000 abitanti; e li frequentiamo anche spesso, secondi in questo solo ai tedeschi. Purtroppo, ne ricaviamo molto poco: 260 milioni dallo sbigliettamento, e 45 dai servizi connessi (bookshop, guide e ristorazione), laddove il Louvre o la Tate Gallery di Londra, solo da questi, incassano 20 milioni l’anno ciascuno; per non parlare degli Stati Uniti, dove il Metropolitan ne ricava 70 milioni, e lo Smithsonian addirittura 130. Se i beni culturali sono il petrolio d’Italia, stanno nelle mani sbagliate!
Ovviamente la questione non si può liquidare semplicisticamente. Quella del patrimonio culturale italiano è una delle questioni cardine del paese, e non c’è modo di affrontarla e risolverla senza un approccio rivoluzionario.
Occorre modificare profondamente l’idea che abbiamo di questo patrimonio, e conseguentemente tutto ciò – leggi, strutture, competenze – che ne caratterizza la gestione. Cominciando col riconoscere che proprio la vastità di questo patrimonio è il primo elemento da considerare, poiché ciò comporta non solo enormi potenzialità, ma anche grandi oneri. Oneri che, a loro volta, non sono soltanto economici, ma anche culturali e sociali. Perchè – ça va sans dire – questo patrimonio appartiene non solo alle generazioni viventi, ma anche a quelle future, e delle une come delle altre è fondamentale elemento costitutivo dell’identità.
Ugualmente, non si può pensare ai beni culturali come ad una risorsa separata dal tessuto vivo e reale del paese, racchiusa in contenitori museali e/o archeologici. Non si può pensare di preservarli senza fare lo stesso, e contemporaneamente, con il paesaggio. La difesa del suolo, il consumo del territorio, sono parte integrante di una politica di difesa del patrimonio culturale. Che non è possibile mettere in atto senza un ribaltamento culturale del modo in cui gli italiani si relazionano al territorio. Una relazione, va detto, troppo spesso egoistica, predatoria, miope. Cambiare una legge o una sovrintendenza non sarà mai sufficiente, se non si mette mano alla cultura generale del paese.
I beni culturali sono un tassello del territorio

I beni culturali sono un tassello del territorio

Dobbiamo uscire al più presto dalla dicotomia conservazione/saccheggio.
Il conflitto continuo tra chi vorrebbe preservare uno stato di cose ingessato, e chi smania per farne uso, va superato al più presto. Occorre andare oltre, e trovare una ragionevole sintesi tra queste visioni contrapposte.
E chiaramente le allusioni alle cronache napoletane di un passato recente e non, sono volute.
Quando il gioco si fa duro i duri cominciano a giocare, diceva John Belushi in Blues Brother; ma non basta pensare di essere duri, bisogna esserlo davvero. Fuor di metafora cinematografica, per affrontare situazioni difficili ci vogliono grandi capacità. Le palle, insomma.
Adesso, tra l’incertezza ed il ridicolo, la macchina del Forum delle Culture sembra avviarsi – non si sa bene come, né per andare dove. Ma in città c’è ancora chi coltiva illusioni in merito, e chi (più pragmaticamente) spera in quel po’ di finanziamenti a pioggia che – nella migliore tradizione partenopea… – prima o poi cadranno a dissetare un milieu artistico-culturale alla canna del gas. Purtroppo, ed è questo uno degli aspetti più sconfortanti, le grandi battaglie di principio finiscono sempre con l’arenarsi nell’italico tengo famiglia. Ed è così che si perpetua all’infinito un meccanismo di servilistica dipendenza.

Personalmente, e non da oggi, preferisco essere (coerentemente) un non-cooperante; a questo sfascio, e di queste amministrazioni. É una questione di rispetto per me stesso. Etica – se posso dire.
Del resto, come si fa a dar ancora fiducia a queste amministrazioni? Se non bastasse la monumentale prova di incapacità data sino ad oggi proprio sulla gestione del Forum, adesso altri nodi cominciano ad arrivare al pettine. Ve la ricordate la Coppa America? Ricordate tutte le fantasmagoriche promesse di Caldoro e De Magistris? Bene, dopo la notizia che le regate erano taroccate, ecco – prevedibilissima – la pietra tombale: l’ACN, la società di scopo costituita appositamente da Comune Provincia e Regione, dapprima insieme all’Unione Industriali, poi con la Camera di Commercio, non solo ha chiuso i suoi due bilanci in passivo, ma è anche oggetto di un’indagine penale per truffa e turbativa d’asta. La cosa più sorprendente (?) è che, pur avendo chiuso in passivo la gestione 2011, ed annoverando tra i soci un soggetto privato scelto senza evidenza pubblica, nel 2012 ha usufruito di ben 7.2 milioni di finanziamenti europei!
Quello scherzetto * ci è costato la bellezza di 12.2 milioni di euro, ed alla fine l’ACN chiude il bilancio 2012 con un esposizione per 2.2 milioni verso le banche…
Ragion per cui, e considerando che la Fondazione Forum (ovvero Regione Campania e Comune di Napoli) a distanza di anni deve ancora saldare le fatture emesse per le attività pregresse, qualsiasi forma di collaborazione con questo Forum delle Culture non solo mi appare inaccettabile in linea di principio, ma ha tutti i tratti della folle avventura anche sotto il profilo pratico.

Dicevo all’inizio di quanto sia importante, a mio avviso, che il radicale cambiamento di prospettiva (la rivoluzione) di cui il paese ha bisogno, debba necessariamente partire da ciascuno di noi. Come diceva il Presidente Mao, “la rivoluzione non è un pranzo di gala”. Comporta rinunce, sacrifici. Che si affrontano per uscire da una situazione ritenuta non più tollerabile. E per cambiare lo stato delle cose.
Non basta aver trasferito il settimanale sfogo verbale dal bar ai social-network; né tanto meno organizzare un flash-mob per assaltare la Bastiglia (sempre che il Napoli quel giorno non giochi in Champions!…). Ci vogliono comportamenti coerenti, giorno per giorno. Occorre saper dire dei NO.
Altrimenti continueremo a fare come i castori di Gramsci: poiché un tempo erano molto ricercati dai cacciatori, perché dai testicoli si traeva una sostanza considerata miracolosa, quando si vedevano in trappola si strappavano i testicoli e li gettavano via, nella speranza di salvare la vita.
Ecco, possiamo continuare a strapparceli da soli, all’infinito, o possiamo cominciare a dire no.
Sta a noi la scelta.

* cfr. Sfrattata e in perdita: il destino di ACN, di Alessandra Filice, MediaXpress, 5/12/2013

8/12/2013

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