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In Italia la parità di genere è di là da venire
di Matteo Tafuro

 

L’autodeterminazione e l’uguaglianza di genere è uno degli obiettivi da raggiungere dell’Agenda 2030. Esattamente è il quinto dei 17 obiettivi di sviluppo sostenibile da concretizzare nei prossimi otto anni.

La realtà è ben diversa! Servono 286 anni, a livello mondiale, per l’attuazione di una piena e vera uguaglianza di genere. È la stessa Organizzazione delle Nazioni Unite nel suo The gender snapshot, a dirlo.

In Europa, la situazione è analizzata attraverso l’indice sull’uguaglianza di genere, messo a punto dall’EIGE, l’ European Institute for Gender Equality, fondato dall’Unione Europea nel 2010 per rafforzare e promuovere la parità di genere in tutta l’Unione europea.

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L’istituto, ha attestato che, anche nell’ Unione Europea, il percorso per il raggiungimento della totale uguaglianza di genere va molto a rilento.

Su una scala da 1 a 100, laddove 100 descrive la piena uguaglianza tra uomo e donna, l’Italia raggiunge 65 punti, 3,6 punti inferiori alla media dell’UE, e si colloca al 14° posto tra gli Stati membri dell’Unione.

La posizione dell’Italia, dal 2010 ad oggi, ha guadagnato ben sette posizioni, con un punteggio aumentato di ben 11,7 punti.

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Dal 2010, il punteggio dell’Italia è aumentato di ben 11,7 punti, facendo salire la sua posizione in classifica di sette posizioni e registrando dunque uno dei maggiori miglioramenti a lungo termine rispetto agli altri Stati membri.

In Italia, da un lato è stata acquisita un elevato grado di parità nell’ambito dell’accesso ai servizi sanitari, dall’altro trascurabili progressi si registrano nel dominio della conoscenza e nella gestione del potere.

Nota dolente è il lavoro, dal 2019 il punteggio dell’Italia è diminuito di 0,5 punti e, con 63,2 punti, si colloca costantemente all’ultimo posto tra tutti gli Stati membri dell’Unione Europea. Sul tema lavoro parte la solita fuffa dei soloni di turno, l’occupazione a tempo pieno delle donne che si concilia difficilmente con la gestione familiare, la durata della vita lavorativa e la partecipazione delle donne al lavoro secondo forme di segregazione settoriale in specifici settori dell’istruzione, della sanità e delle attività sociali”.

Le migliori condizioni di uguaglianza di genere si vivono in Svezia, Danimarca e Paesi Bassi, mentre Grecia, Ungheria e Romania hanno difficoltà a sostenere la parità di genere.

Rispetto all’edizione 2021, gli aumenti più significativi sono stati riscontrati in Lituania, Belgio, Croazia e nei Paesi Bassi.

Altra nota dolente da rilevare è che  è la prima volta da dal 2010, quando l’Indice è stato realizzato che vi è una diminuzione dei punteggi in diversi settori dei domini principali considerati nell’indice.

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Il punteggio di partecipazione al mercato del lavoro, registrando una forte flessione negativa, indica che le donne trascorrono meno anni di vita nel mondo del lavoro, bloccando, così, le prospettive di carriera e pensionistiche.

Per di più, nel 2020 le donne, rispetto agli uomini, hanno partecipato in modo molto inferiore ad attività di istruzione formale e informale.

Il Covid-19 ha creato una pressione senza precedenti sul settore sanitario, generando una forte riduzione sul tema  della parità di genere, nel campo della salute e nell’accesso ai servizi sanitari.

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Progressi ve ne sono stati nel settore potere, principalmente dovuti a una più rilevante partecipazione femminile al processo decisionale economico e politico legata, a sua volta, all’introduzione di quote stabilite per legge in un numero limitato di Stati membri dell’UE.

L’importante accordo politico raggiunto nel giugno 2022 dal Parlamento europeo e dal Consiglio dell’UE sulla direttiva volta a migliorare l’equilibrio di genere nei consigli di amministrazione delle società, ha dato i suoi frutti. In Italia, colossi come ENI, Leonardo e Poste Italiane, dal Gender Equality Index dell’agenzia Bloomberg sono state valutate positivamente, sia per la composizione dell’organico, che per la presenza di specifiche politiche di genere.

Nola, 15 febbraio 2022