lun 9 DICEMBRE 2024 ore 21.40
Home Politica Il Portaborse….

Il portaborse….
di Carlo Gimmelli

Diciamocelo: che il Parlamento Italiano, in nome dell’antico e moderno privilegio dell’Autodichia*, sia considerato l’inviolabile Tempio di odiose prerogative ai limiti dell’illegalità e viepiù negate al cittadino suddito, è pensiero dominante dagli albori della Repubblica.

Epperò, manco a dirlo, l’endemica crisi di sistema dell’ex Belpaese ha esacerbato il sentimento antipolitico dell’uomo comune incazzato e depresso da una crisi economica interminabile.
Ormai il rappresentante di quella che da anni viene definita “la casta” viene visto semplicemente come uno che ha lanciato i dadi e l’ha sfangata: si è sistemato a vita e la sua famiglia pure!

Il problema è che Grillo, uno che ha fatto dell’ideologia anticasta la propria fortuna politica, è rimasto, novello Cesare, quasi fatto fuori dalla propria creatura.

Già già, in effetti i suoi eletti Carneade, molti presi dalla strada, per dimostrare che in Politica chiunque possa fare la qualunque, uno vale uno, ci hanno preso gusto a smanettare nella stanza dei bottoni e, in troppi casi, da Frati Trappisti si sono reinventati Gesuiti.

Ma questa è un’altra storia…

Il recente affaire Boldrini, relativo ai presunti maltrattamenti dell’icona della sinistra piaciona e Salottiera verso i suoi collaboratori ha rilanciato l’irrisolto scandalo degli assistenti parlamentari (un tempo portaborse o galoppini), preziosi factotum, molti laureati e preparatissimi, degli Eletti dal popolo.
Una questione che riemerge di tanto in tanto, giusto il tempo di una breve alzata di scudi dei Moralizzatori un tanto al chilo e poi di nuovo sopita fino alla prossima eco di cronaca.

E dire che proprio la Boldrini, questione di karma, si era fatta paladina dei diritti dei portaborse, tirata per la giacca dai giornalisti guastatori delle “Iene” che portarono alla luce la storia di Federica B., la collaboratrice, laureata, che denunciò di lavorare gratis e subire molestie sessuali dal senatore Caruso; in quella occasione la Presidente della Camera sotto i riflettori dichiarò che entro la fine del suo mandato finalmente avrebbe visto la luce la riforma delle assunzioni dei collaboratori parlamentari.

Se ne sarà dimenticata!

Invero la stessa pantomima è stata messa in scena dall’attuale Presidente della Camera, Fico, da sempre sensibile ai temi anticasta che a pochi giorni dalla nomina, dichiarò in tv e sui social, strumento mediatico preferito dai grillini, che, sì, questa volta non si scherzava, occorreva inquadrare e dare dignità lavorativa ai portaborse, ne andava della immagine delle Istituzioni.

Se ne sarebbe fatto carico egli stesso, portando la materia all’attenzione della Presidenza della Camera.

Sono trascorsi quasi tre anni: sembra la classica foglia di Fico.

La teoria vuole che a ogni parlamentare siano attribuiti tra i 3.600 e i 4.100 euro al mese da destinare allo stipendio dei propri portaborse, che dovrebbero essere assunti con un contratto regolare. Ma quando dalla teoria passiamo alla pratica emerge una realtà completamente diversa, tra co.co.co, contrattini privati, e altre forme di collaborazione vagamente in nero, quelli che possono vantare un vero contratto di lavoro sono pochissimi ed è inutile chiedere i numeri reali perché le Camere rispondono picche.

Anzi non rispondono proprio.

La casa di vetro, baluardo della legalità e della trasparenza in realtà è un mare magnum di opacità, omertà e silenzi complici con buona pace dei pentastellati e del loro apriscatole, ormai più impegnati a regolare i conti interni e a salvare lo scranno.

E i nostri beneamati eletti (?), non essendoci obbligo di rendicontazione, intascano e portano a casa.

Inoltre, in un paese da sempre ispirato al “mi manda papà”, c’è la fila di aspiranti “badanti” per I nostri “onorevoli” parlamentari: cene, conoscenze, ambienti felpati, aderenze, valgono bene un contratto in nero. E l’omertà regna sovrana.

D’altra parte, l’eterna emergenza Covid serve anche a distrarre l’opinione pubblica dai piccoli e grandi Vizi e Vitalizi dei nostri Parlamentari che vantano due poco invidiabili record Europei, forse mondiali, sono quelli che lavorano meno e incassano di più in un paese che veleggia orgogliosamente verso i tremila miliardi di debito pubblico.

E’ l’autodichia.. bellezza.

Napoli, 17 aprile 2021

Autodichia :

Prerogativa di alcuni organi costituzionali di giudicare sulle controversie relative allo stato giuridico ed economico dei loro dipendenti

ETIMOLOGIA composto dal greco auto- ‘stesso’ (o più propriamente, nei composti di questo genere ‘di sé stesso’) e dìke giustizia.

È la tipica parola oscura appartenente al gergo del diritto, usata sui giornali e alla televisione senza che nessuno si prenda la briga di spiegare di che cosa si parla.

L’autodichìa è un istituto controverso. Si tratta di una prerogativa che hanno alcuni organi costituzionali – solitamente ci si riferisce ai due rami del Parlamento, che sono il caso più chiaro e scottante – di risolvere controversie attinenti ai propri dipendenti attraverso propri organi giurisdizionali appositamente costituiti, senza ricorrere ai tribunali esterni che solitamente giudicano su queste vicende. Quindi, se l’impiegato o il funzionario di una Camera viene illegittimamente licenziato, non potrà ricorrere al giudice del lavoro, ma dovrà ricorrere al preposto organo di ‘giustizia domestica’.

Originariamente era intesa come una prerogativa necessaria a mantenere intatta quella separazione di poteri su cui si fonda lo Stato: nel caso delle Camere, semplice declinazione di quella massima autonomia di cui deve godere il Parlamento quale legislatore eletto dal popolo. Ma – incredibile sorpresa! – è stato pervertito in uno strumento abusivo, capace di coprire una quantità di rapporti giuridici ed economici che non hanno praticamente alcun nesso funzionale con l’attività svolta dal Parlamento, estendendosi anche ai fornitori di beni e servizi. Insomma, se è il Senato a giudicare su una controversia sulle forniture di carta igienica a Palazzo Madama, c’è un problema.

Ora la prerogativa dell’autodichia parlamentare, nonostante abbia un nocciolo giustificabile, sta scricchiolando sotto spinte diverse: si sono espresse a riguardo la Corte Europea per i Diritti dell’Uomo e la Corte Costituzionale, rendendo sentenze prudenti ma con chiari inviti a riconsiderare l’istituto; e soprattutto, per il sentire comune non è più ammissibile che il Parlamento sia uno Stato indipendente nello Stato.

Testo originale pubblicato su: https://unaparolaalgiorno.it/significato/autodichia