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Il Mainstream e la Esportazione della Democrazia….
di Carlo Gimmelli

“Io non lo so chi c’ha ragione e chi no, se è una questione di etnia, di economia, oppure solo pazzia: difficile saperlo. Quello che so è che non è fantasia e che nessuno c’ha ragione e così sia, a pochi mesi ad un giro di boa per voi così moderno …”

Questa è la intro de “Il mio nome è mai più” scritta da Luciano Ligabue con Piero Pelù e Jovanotti per denunciare il No alle guerre e alla guerra in Kosovo e alla esportazione della democrazia della Nato.

Nonostante il governo avesse invitato gli artisti alla mobilitazione contro il regime serbo, il brano non soddisfa le aspettative politiche e viene più volte censurato; ciononostante vende più di 500.000 copie e con il ricavato, donato a Emergency, vengono costruiti due ospedali.

E’ il 1999, in Italia c’è un governo di sinistra presieduto da D’Alema che delibera la partecipazione attiva al conflitto contro la Serbia, appoggiando la Nato, garantendo numerose forze militari, basi logistiche e aerei bombardieri.

Le forze Nato (come sempre lo ammetteranno anni dopo) fanno largo uso di bombe e proiettili con uranio impoverito, usati massicciamente nelle zone sotto controllo italiano, che causeranno micidiali forme cancerogene che negli anni successivi colpiranno quasi ottomila militari con quattrocento decessi accertati e un numero imprecisato di civili.

La “Sindrome dei Balcani” verrà per lunghi anni silenziata e censurata dai vertici militari e politici e solo dal 2002 le prime Procure, tra mille intralci, cominceranno a squarciare il muro di omertà imposto sugli “omicidi di stato”.

La stesse patologie verranno riscontrate dopo le “missioni di pace” (?) in Afghanistan e Iraq, su civili e militari colpiti dal “fuoco amico” di duemila tonnellate di bombe “arricchite” all’uranio, spesso su obiettivi civili nei centri abitati.

Le fallimentari esportazioni della democrazia in Iraq, Afghanistan, Siria, Libia sono la punta dell’iceberg di una discutibile politica espansionistica trentennale della N.A.T.O che ha prodotto un costo di milioni di vittime civili e militari e di migliaia di miliardi di dollari che hanno arricchito poche decine di plutocrati e demolito stati sovrani, seppur dittatoriali, producendo macerie, anarchia e sanguinolente guerre tribali.

L’odierno teatro di guerra in Ucraina, pare essere un ultimo regolamento di conti tra la “democratura “ dello zar Putin e il neoimperialismo socio-economico americano, il tutto, manco a dirlo, sulla pelle di 40 milioni di ucraini diasporati nella pilatesca Europa e sull’orlo di una guerra civile sotto le bombe, tra l’Ovest borghese filo europeista e l’Est dimenticato e russofono che guarda a Mosca.

All’origine i disattesi accordi di Bonn del 1991 all’indomani del crollo sovietico, che prevedevano la neutralità delle ex repubbliche del patto di Varsavia.

Di fatto, ad oggi, la N.A.T.O., nata nel 1949 su scenari profondamenti diversi è passata da 12 a 30 membri, senza contare i partenariati, molti nelle ex aree di influenza sovietica, trasformandosi dall’originale unione difensiva prevista dal trattato ab origine, in una potente macchina politica, quindi economica, utilizzata dalle lobbies dell’industria bellica ed energetica.

L’Europa, al solito divisa e immobile, al di là delle dichiarazioni di facciata, assiste perplessa allo scontro tra le due superpotenze in casa propria, combattuta tra il patto di fedeltà alla N.A.T.O. (cioè agli U.S.A.) e gli storici rapporti territoriali, storico culturali ma, soprattutto, economici con la Russia, da cui dipende energeticamente, e verso la quale è (era) diretta una sostanziosa fetta dell’export commerciale.

La spaccatura, ovviamente, più che politica è economica: le pesanti sanzioni imposte da Biden (consenso ai minimi storici del 30%, uno che sta facendo rimpiangere persino Trump), stanno creando pesanti contraccolpi soprattutto in Europa alla vigilia di una imminente e pesante recessione alimentata dai timori di un conflitto lungo e stabilizzato.

Ora il tentativo di analizzare le ragioni storico economiche di un’aggressione ad un paese sovrano, né più nè meno di quanto fatto in passato dalla N.A.T.O. (nel 2003 Bush invase l’Iraq senza l’avallo del Consiglio di sicurezza O.N.U e, disattendendo le norme del diritto internazionale, producendo prove false inerenti la detenzione irachena di gas e armi di distruzione di massa) è stato vidimato dal mainstream come propaganda anti-occidentale dei “pifferai di Putin”.

Da qui una prevedibile caccia all’untore estesa dai social ai media tradizionali che denunciano la censura putiniana contro il dissenso, attuando, seppur in forme diverse lo stesso principio.

Uno dei bersagli preferiti dalle Vestali della Verità è stato il Professor Orsini, docente di “Sociologia del terrorismo internazionale” presso la Università Luiss, che fin dall’inizio ha proposto una chiave di lettura diversa in merito alle cause del conflitto ucraino, giudicata dalla politica, di fatto padrona della RAI tramite il braccio armato della Commissione di vigilanza, eccessivamente filoputiniana e non meritevole di essere ospitata nei salotti della “TV di stato”.

Uno dei “pasionari” più attivi è stato tale Andrea Romano, deputato dem e membro della commissione di vigilanza RAI che parlando a “nome degli italiani” ha chiesto all’azienda di bloccare un contratto che legava Orsini alla trasmissione “Carta Bianca” con un gettone di duemila euro a puntata, in quanto megafono di teorie anti occidentali, definendolo “pifferaio di Putin”; da qui una querelle infinita di botte e risposte conclusasi con la partecipazione gratuita del professore alla trasmissione e una querela per diffamazione contro il Piddino che, ovviamente, si è rifugiato dietro il paracadute dell’immunità parlamentare.

Morale della favola, quasi certa la chiusura del talk della Berlinguer, trombata dai vertici RAI con la scusa che il talk politico ha fatto il suo tempo, ovviamente con la esclusione dell’ecumenico e allineato Vespa.

Il secondo episodio che ha scatenato i guardiani del tempio è stato lo scoop delle dichiarazioni del ministro degli esteri russo Lavrov intervistato dal giornalista di Zona Bianca Giuseppe Brindisi, finito anch’egli nella black list per aver concesso troppo spazio alle “fandonie e farneticazioni” del ministro.

Da qui la bufera politica agitata, lancia in resta, dall’invisibile abatino, capo del PD, Enrico Letta che ha parlato di “vergogna nazionale e onta per l’Italia” annunciando interrogazioni parlamentari.

Il top lo ha raggiunto Adolfo (!) Urso, presidente del Co.pa.sir. , comitato per la sicurezza nazionale, annunciando una istruttoria per verificare la presenza di spie russe in Tv, veicolo di propaganda putiniana, e se persino l’Illuminato prescelto Supermario Draghi è sceso in campo per stigmatizzare non le discutibili argomentazioni dell’intervistato ma le domande dell’intervistatore è segno che dobbiamo prepararci al ritorno del Min.cul.pop. versione 3.0.

Stupisce che tale candore provenga da rappresentanti della classe politica italiana che, abitualmente, prima di una intervista pretendono di conoscere anticipatamente le domande che gli verranno poste e i competitors dell’arena televisiva e lo stesso Draghi pochi mesi fa, in una conferenza stampa ammonì i giornalisti a non porgli domande inerenti le elezioni quirinalizie e quelli obbedirono.

Questo a proposito di censura.

Insomma nelle sue infinite capriole il PD, un tempo culla del pacifismo, nella sua ultima versione si erge a paladino del pensiero unico e stila liste di proscrizione di elementi da non invitare nei talk politici per non disturbare la narrazione buonista ufficiale.

Si è dovuto scomodare il vecchio guastatore Michele Santoro, un tempo totem della sinistra anti berlusconiana per rimettere in riga i peones piddini più realisti del re e ridare fiato al pensiero non omologato contro la deriva della guerra santa dei valori dell’occidente contro i cattivoni dell’est.

E per farlo ha organizzato, alla sua maniera quasi carbonara, una trasmissione di contro informazione pluralista, “Pace proibita” dal teatro Ghione in Roma, dando voce a numerosi volti del cinema, della letteratura, dell’arte, della società, in onda su piattaforme mediatiche alternative (Sky, Byoblu) contro l’ingerenza della politica nelle scelte editoriali dell’informazione.

Insomma c’è voluto il più militante dei giornalisti di sinistra per lanciare il grido d’allarme contro la “normalizzazione” della opinione pubblica richiamando gli organi di informazione a riappropriarsi del ruolo di cani da guardia della democrazia e del pluralismo contro i cani da riporto della politica.

Napoli, 9 maggio 2022