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Festival dell’Oriente: Bilancio Agrodolce!
di Carlo Gimmelli

Chiude con un buon successo di pubblico il Festival dell’Oriente a Napoli dopo tre anni di assenza causa pandemia.

La giornata di Domenica 18 settembre ha toccato il record di presenze delle quattro date di apertura con lunghe file ai botteghini fino al tardo pomeriggio.

Napoli, da sempre crocevia e ponte tra la mille culture orientali e l’occidente, ha accolto con curiosità e interesse il lifestyle, la storia, la medicina, le tradizioni delle variegate facce del Sol Levante.

Grande interesse, manco a dirlo, per il “food” orientale: presi d’assalto i ristoranti e i gazebo di street food presenti nelle sale espositive e lungo il suggestivo Viale delle Palme: offerte per tutti i palati, dall’immancabile e trendy Sushi giapponese, all’iconico pollo al curry indiano con riso o gli spaghetti fritti cinesi; particolarmente apprezzati i ristoranti Thailandesi con gli audaci accostamenti dell’immancabile riso a spezie e frutti tropicali e quelli Vietnamiti, custodi di una cucina antichissima arricchita dalla contaminazione di quella francese che miscela il riso, piatto nazionale, ad una notevole quantità di erbe aromatiche e spezie.

Grande spazio alla parte artistica: sui quattro palchi (uno esterno e gli altri nei padiglioni) si sono esibiti no stop, gruppi di ballo, danzatrici Mongole, Uiguri (antichissima minoranza cinese, vittima di un silente genocidio in Cina) con la danza delle ciotole in testa, indiane di Bollywood, la nuova Mecca del cinema orientale, ma anche musicisti internazionali, comici, incredibili trasformisti, campioni di art marziali, illusionisti del teatro d’ombra.

Numerosissimi gli stand espositivi di venditori di prodotti tipici, dai gioielli alle armi, dalle mille spezie alle erbe curative, massaggi e ed esperienze corporali e spirituali per tutti i gusti.

Più di centomila visitatori e buongustai delle cucine orientali hanno affollato i padiglioni e i viali della Mostra fino a tarda sera, confermando la ascesa di Napoli come snodo imprescindibile della filiera congressistica, culturale e gastronomica del Centro Sud Italia.

Resta, però. L’amara constatazione delle condizioni fatiscenti di ampi segmenti della Mostra d’Oltremare che tenta di riproporsi come Polo Congressuale cittadino e campano, ma le condizioni di sciatteria e abbandono della megastruttura, inaugurata nel maggio del 1940 come Mostra Triennale delle terra italiane d’Oltremare appaiono evidenti.

Durante il festival dell’Oriente le aiuole a prato inglese dello scenografico Viale delle 28 fontane che si protende verso il teatro Mediterraneo sono state utilizzate come supporto per vecchi tavolacci e panche dedicate al food mentre le suggestive fontane sono da tempo spente e malamente interdette con un improbabile nastro bicolore da infortunistica stradale.

La meravigliosa fontana dell’Esedra, ricordo e simbolo delle passeggiata domenicali delle famiglie napoletane, a secco da tempo, è ridotta ad un maleodorante acquitrino verdastro, rifugio a 5 stelle per sciami di insetti voraci e rane.

I 60 ettari di aree a verde che l’Ente da pochi mesi ha riaperto al pubblico al costo di 1 Euro presentano ampi settori inibiti all’accesso e in condizioni di abbandono.

I pochi padiglioni in attività versano in condizioni precarie da troppo tempo e numerosi sono quelli in annosa ristrutturazione, tra cui, il glorioso Caboto ed è doveroso chiedersi in che modo l’Ente Fiera riesca a gestire ed ospitare eventi internazionali e numericamente impegnativi proposti dall’Amministrazione.

La mostra d’Oltremare ha da poco compito 82 anni e, ahimè, li dimostra tutti, ma potenzialmente è un polmone scenografico di verde e fauna e un Polo Congressuale di grande potenzialità, ma, al solito, basterebbe crederci!

Napoli, 25 settembre 2022