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Lettera aperta sulla questione del Biodigestore di Alife dell’Ing. Filippo Mercorio

Ultimamente mi capita sempre più spesso che qualche amico o conoscente, dopo avermi sentito spiegare il funzionamento dell’impianto del BIODIGESTORE che per conto della General Construction S.p.A. unitamente a docenti Universitari ho contribuito a progettare, mi rimprovera dicendo : “….. ma perché non lo avete spiegato bene alla gente ? sentito come lo dici tu sembra un bene e non un male ! ….”

Premesso che in più occasioni si è tentato di spiegarlo, e che però non è mai stato accolto dal Comitato Salute & Ambiente l’invito sia mio che dell’azienda ad un confronto tecnico democratico e sereno sull’argomento, mi sono allora deciso a scrivere questa lettera aperta, perché dopo tanta distorta informazione e strumentalizzazione, avverto il dovere ed il diritto, di dire anche io qualcosa in qualità di cittadino e quindi abitante di questo territorio.

L’argomento in questione soprattutto nella ns. Regione viene visto con pregiudizio e diffidenza considerato il cronico stato di “emergenza rifiuti” (da oltre 20 anni) ed il continuo Commissariamento della ns. Regione per assenza di azioni concrete poste in essere per la gestione “ordinaria” dei rifiuti. Ma proprio questi pregiudizi verso impianti di trattamento rifiuti hanno favorito la tendenza a far sorgere le tanto inquinanti discariche a cielo aperto, il deposito incontrollati di rifiuti per strada (in casi estremi a fenomeni tipo Terra dei Fuochi) e soprattutto a favorire lo smaltimento dei rifiuti non solo fuori Regione ma addirittura all’estero a danno di tutti noi cittadini campani che ci troviamo a doverci far carico degli elevati costi connessi allo smaltimento, e che alimentano di conseguenza una cattiva gestione del ciclo integrale dei rifiuti !

Orbene, come cittadino, vorrei far notare che il drammatico fenomeno della “Terra Fuochi” si continua ad alimentare proprio nello stato di non ordinarietà della gestione del ciclo dei rifiuti e nella conseguente giustificazione di tutte le procedure “di emergenza” che mirano a tamponare il problema a costi esorbitanti, senza voler comprendere che per una corretta gestione i rifiuti devono essere smaltiti intorno a dove si producono e non altrove !
In altre regioni d’Italia, e nei paesi civili, il fatto che la gestione dei rifiuti sia “ordinaria” non lascia spazio a tali criticità.
Quindi, a mio sommesso parere, il non affrontare il problema agevola una cattiva gestione dei rifiuti e quindi pratiche improprie (in alcuni casi illegali) nonché esorbitanti costi di smaltimento !
Non è affatto un caso che i Piani Regionali prima, e Provinciali dopo, prevedono di dover realizzare degli impianti (naturalmente costruiti a norma di legge e non nocivi per la salute) con i quali gestire – finalmente – nell’ordinario il ciclo dei rifiuti, così come si fa da sempre in altre regioni più virtuose e civili d’Italia.
Peraltro, alcune domande sorgono spontanee: nelle altri parti d’Italia e d’Europa, dove i rifiuti non costituiscono né un “problema” né una “emergenza”, gli impianti così realizzati sono nocivi e nessuno se ne accorge e li contesta? Allora loro sono gli incoscienti e noi (in Campania) gli intelligenti che non li vogliamo ? …. Le risposte mi sembrano scontate …..
Chi parla e scrive “contro a prescindere”, con preconcetto e senza dare la possibilità del confronto democratico, lo sa che nei Paesi civili queste tipologie di impianti sono normalmente tenute e gestite, e che le associazioni ambientali considerano i biodigestori la soluzione al problema dello smaltimento “green” della Forsu ?
Ma si sa …. : non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire .

Tanto detto, passiamo all’impianto vero e proprio, facendo prima di tutto una distinzione nella sua valutazione:
- di compatibilità con l’ambiente e la salute;
- di dimensione .
Mentre sulla dimensione mi sembra più che plausibile poterne discutere cercando anche punti di equilibrio, quello che non dovrebbe essere posta in discussione è la sua compatibilità con l’ambiente e la salute, e ciò per il semplice fatto che l’approvazione tecnico-scientifica di tali tipi di progetti ed impianti è di esclusiva competenza di una serie di Enti preposti a tali tipi di valutazioni, in conformità alle vigenti normative nazionali e comunitarie, peraltro molto vincolanti.
All’inizio della discussione di “popolo” se ne sono dette e sentite di tutti i colori : “è una discarica”, “è un impianto a biomassa” , “è un termovalorizzatore” !
Ebbene, solo da qualche giorno sembra che, forse, sia chiaro almeno come si chiama : BIODIGESTORE.
Quindi, l’impianto di cui si parla NON è una discarica, NON è un impianto a biomassa, NON è un termovalorizzatore, ragion per cui in questa tipologia di progetto l’unico materiale che può essere trattato è la frazione organica dei rifiuti.
Tanto per parlare apertamente di quello che si paventa, e cioè della preoccupazione che la gestione dell’impianto possa dar atto a mal pratiche è bene fare, serenamente, qualche riflessione:
- in una discarica a cielo aperto si potrebbe di giorno lavorare normalmente, mentre di notte si potrebbe scavare e interrare di tutto;
- in un impianto a biomassa o in un termovalorizzatore si potrebbero bruciare normalmente i materiali per cui sono stati autorizzati, ma vi si potrebbero bruciare illegalmente anche tante altre cose; addirittura, un impianto di biomassa potrebbe anche essere “requisito” in nome dell’emergenza da un Commissario Governativo e potrebbe essere usato, impropriamente, come termovalorizzatore di emergenza per bruciare le “eco-balle”;
- in un impianto di digestione anaerobica e aerobica come quello di cui si parla, cosa si potrebbe trattare di diverso dal materiale umido organico, di scarti di industrie alimentari, da sfalci di siepi e similari ? Praticamente nulla altro, perché altrimenti si bloccherebbe nel suo funzionamento !
E allora? E’ evidente che un siffatto impianto non si presta ad usi diversi per i quali è autorizzato.
Per comprenderlo meglio è bene accennare al suo funzionamento:
- la Frazione Organica dei Rifiuti viene conferita all’impianto, con un costo di conferimento a carico delle Amministrazioni Comunali che sarà certamente più basso rispetto a quello dello smaltimento fuori regione (basterebbe a ciò solo l’incidenza dei trasporti);
- i prodotti organici, dopo essere stati attentamente selezionati e preparati, vengono chiusi ermeticamente in ambienti depressurizzati a tenuta stagna, al buio e al caldo per circa 30 giorni. In queste condizioni si avvia il processo di digestione anaerobica, cioè in assenza di ossigeno e completamente al chiuso; questo processo genera il biogas ;
- alla fine del processo di digestione il materiale viene spostato in corsie areate dove inizia una fase di stabilizzazione aerobica, comunque sempre all’interno dei capannoni del complesso e sigillati rispetto all’ambiente esterno. In tali ambienti areati si avvia l’altro processo biologico naturale durante il quale il materiale viene vagliato e trasformato in compost di alta qualità (certificabile dal Consorzio Italiano Compostatori) per le colture biologiche.

Da questo sintetico schema di processo appare evidente che il gestore dell’impianto non ha alcuna convenienza ad accettare del materiale differente da trattare, perché altrimenti la “digestione e con essa la funzionalità dell’impianto stesso sarebbe compromessa (il digestore si bloccherebbe) traducendosi di conseguenza in rilevanti perdite economiche per la società. La salvaguardia della tecnologia è basata sulla bontà del materiale in ingresso: una “dieta” non buona compromette il funzionamento con danni irreparabili e gravi perdite.
E allora resta di tutta evidenza che un impianto del genere concorrerebbe anche a creare un circuito virtuoso per far migliorare la raccolta differenziata, perché non accetterebbe di trattare frazione organica che non sia veramente differenziata da altri materiali inorganici (plastiche, metalli, etc.).
Peraltro, tanto per fare un parallelismo, questo tipo di impianto è simile a quelli che da alcuni anni si stanno diffondendo nelle medie/grandi aziende zootecniche dove, per favorire lo smaltimento a norma dei letami animali, si utilizzano “digestori” che producono anche energia elettrica (un impianto del genere, ovviamente del tutto innocuo, è stato da poco realizzato da una azienda zootecnica privata nel territorio del Comune di Dragoni). La differenza sta nella materia prima che alimenta gli impianti: in quelli zootecnici è il letame e in quelli che trattano rifiuti organici è essenzialmente la Forsu e gli scarti di industrie agroalimentari.

Chiarito il funzionamento e la non pericolosità (che dovrà essere valutata e certificata da Enti tecnico-scientifici competenti in materia ai sensi della normativa vigente), resterebbe in discussione la sola questione della dimensione.

A questo punto è utile riportare qualche numero sintetico.
Il Piano provinciale dei rifiuti conteggia “attualmente” per la sola Forsu circa 100mila tonnellate/anno.
Nell’impianto di Alife non entreranno 75.000 tonnellate/annue di rifiuti organici, ma la “dieta” del digestore ne prevede al massimo solo circa 30.000 tonnellate annue di Frazione Organica dei Rifiuti Solidi Urbani proveniente dalla raccolta differenziata delle utenze domestiche private e commerciali dei Comuni dell’area e dell’Alto Casertano, mentre la restante parte sarà costituita da prodotti provenienti da attività agroindustriali e da materiale proveniente da sfalci di erba, potature e scarti della manutenzione del verde, dei giardini pubblici e privati e delle strade pubbliche.
Inoltre, è bene evidenziare che la taglia di 75.000 ton/anno dell’impianto rappresenta il valore massimo da autorizzare da parte della Regione Campania.
Il conferimento del materiale organico in impianto avverrà tramite la circolazione di veicoli in conformità al piano di viabilità vigente che, francamente, non penso possa mettere in crisi il sistema viario. Peraltro, la zona più interessata al traffico veicolare sarebbe quella nei pressi delle uscite della superstrada (Dragoni o Alvignano), lontana dalla zona urbana. E, per inciso, tanto per fare un paragone a noi molto vicino, si può facilmente immaginare che di autoarticolati dell’acqua minerale (che per tipologia di prodotto richiede un veicolo di autotrasporto molto più grosso) ne passano a Pratella molti di più senza che per ciò vi sia un impatto insopportabile.

In conclusione, spero di aver contribuito con questo scritto a fare un poco di chiarezza sull’argomento, che finora è stato solo “strillato” perché si sa: è molto più facile disfare che fare.
Il fare presuppone impegno, perseveranza e convinzione, mentre per il disfare è sufficiente insinuare dubbi e alimentare polemiche senza cercare il confronto.
Io sono sempre convinto di quel che faccio e, anche a costo di andare controcorrente, ritengo sia doveroso che le Istituzioni della zona in cui viviamo, il Comitato e Tutti i cittadini si chiedano, senza preconcetti : quale è il modo di contribuire per cominciare a mettere in ordine la disastrosa gestione “emergenziale” del ciclo dei rifiuti in Campania, e nella fattispecie in provincia di Caserta ?
Io non credo che il giusto modo sia quello di “strillare” i no senza discutere; perché sinora, su questa vicenda, così è stato fatto dal Comitato.

Alife lì, 23.02.2015
Ing. Filippo Mercorio

General Construction S.P.A.

Dopo settimane di disinformazione tecnico scientifica riteniamo doveroso chiarire alcuni aspetti fondamentali al fine di sgomberare il campo dalle inesattezze diffuse.
Creare allarmismo attraverso una disinformazione che risulta essere priva di ogni fondamento scientifico, oltre che priva di un sereno contraddittorio, significa rinnegare un sistema democratico basato sul dialogo e sul rispetto delle parti disciplinato dalle leggi italiane ed europee.
Le inesattezze divulgate di certo non giovano ai cittadini di Alife e dell’intera provincia di Caserta che meritano, di conoscere la verità oggettiva e scevra da ogni condizionamento di specie e, soprattutto, di essere trattati con rispetto.
Ciò detto, riteniamo prioritario ribadire che l’impianto progettato da General Construction S.p.A. è perfettamente coerente con la programmazione settoriale dei rifiuti della Provincia di Caserta (PPGR CE), e della Regione Campania (PRGRU, relativamente ai rifiuti urbani e PRGRS, relativamente ai rifiuti speciali).
Tutti gli strumenti di programmazione indicano l’area ASI di Alife, nell’ambito dei cui confini ricade il progetto, tra quelle perfettamente esenti dal sistema dei 15 vincoli cogenti, individuati comunemente sia a livello provinciale che a livello regionale, e come una delle aree della provincia di Caserta a connotazione e vocazione industriale nelle quali è preferibile, per motivazioni ambientali e di utilità collettiva, allocare impianti industriali per il trattamento dei rifiuti.
Analizzando con attenzione le “ragioni del NO” circolate finora, emergono evidenti inesattezze.
Innanzitutto perché i tre piani citati sono corredati da rapporto ambientale ai sensi della V.A.S. (Valutazione Ambientale Strategica ai sensi della direttiva 2001/42/CE). In secondo luogo perché in nessuno dei Rapporti Ambientali dei tre strumenti di pianificazione vi è fatto nemmeno il più timido cenno alla mole di “enormità scientifiche” addotte recentemente dai contestatori.
Ad onor del vero e prima ancora di entrare nel merito degli argomenti, va anche detto che né nella fase preliminare, né in quella consultiva, immediatamente precedente a quella dell’adozione di ciascuno dei Piani citati, sono state presentate osservazioni, nemmeno in forma generica, di opposizione o contrasto alla localizzazione di impianti industriali di trattamento rifiuti all’interno dell’ASI di Alife.
Eppure le comunità locali, se fossero state forti delle proprie ragioni tecnico scientifiche, avrebbero potuto tempestivamente opporsi nelle sedi istituzionali ufficiali di consultazione e partecipazione, garantite dal diritto comunitario e nazionale, all’indicazione dell’ASI di Alife come una delle localizzazioni prioritarie per l’ubicazione di impianti industriali di trattamento dei rifiuti con processi ecosostenibili riconosciuti dai Ministeri dell’Ambiente e dello Sviluppo Economico.
Sempre a livello di pianificazione regionale e provinciale, i rapporti ambientali a corredo e supporto dei piani, descrivono uno scenario catastrofico. In assenza di impianti di trattamento in Campania e, in specie, in provincia di Caserta, si garantiscono strade sicure alle discariche a cielo aperto e all’abbandono, che contribuiscono a creare il triste fenomeno della “Terra dei Fuochi”, ed alimentano il lucro sul trasporto di rifiuti che finiscono per essere smaltiti oltre confine ed a costi esorbitanti per i cittadini.
Insomma, per usare una frase ricorrente, siamo ancora una volta, di fronte alla sindrome del va bene dovunque ma “non nel mio giardino”. Tra non molto la Commissione Europea comminerà ulteriori pesanti sanzioni che graveranno ancora di più sull’economia disagiata della nostra Regione solo che questa volta non ci sarà lo Stato o il Commissario Straordinario ai rifiuti a pagare. No, stavolta pagheremo tutti Noi cittadini campani. Pertanto, si rende necessario che noi “Cittadini” comprendiamo, una volta e per tutte, che i rifiuti devono essere smaltiti nella propria Regione.
Ciò detto, entriamo nello specifico dicendo una prima, oggettiva, verità: gli impianti di digestione anaerobica e aerobica non sono pericolosi e non esistono controindicazioni derivanti dalla produzione di biogas e biometano che, giusto per essere chiari, non sono la stessa cosa. Tutti gli studi e le analisi di campo effettuate per valutare gli effetti delle emissioni in atmosfera dell’impianto e le concentrazioni delle ricadute al suolo sono state “sintetizzate” in oltre centocinquanta pagine di documentazione a corredo della Valutazione di Impatto Ambientale.
Dallo studio è evidente che non si formano diossine, né altri composti pericolosi così come è stato scongiurato qualsiasi effetto misurabile sulla salute umana e sull’ambiente, sia in caso di rilascio a breve termine che di lunga durata (climatologico), sia all’interno dell’impianto, che al suo esterno. Gli studi sono stati effettuati in una scala che arriva a studiare gli effetti spingendosi fino a decine di chilometri dall’impianto, il quale è dotato di tutte le migliori tecnologie prescritte a livello europeo e fa proprie tutte le raccomandazioni della pianificazione di livello provinciale, regionale e ministeriale finalizzate all’ottimizzazione della localizzazione e alla minimizzazione degli effetti indesiderabili.
Inoltre, si ricorda che il compost che deriva dall’esercizio dell’impianto, viene adoperato nell’agricoltura biologica in larga scala e fa crescere rigogliosi fiori nei nostri giardini. Da anni si ripete che “biologico” è sinonimo di “sana alimentazione”. Dunque se il compost presentasse rischi per la salute, avrebbe già prodotto danni incalcolabili e sarebbe già stato bandito. I dati scientifici confermano, invece, che è esattamente il contrario di quanto sin qui sostenuto senza contraddittorio e senza fondamento scientifico e che il suo utilizzo è in costante aumento.
Infine, per quanto sin qui esposto, si ribadisce la disponibilità a fornire, in un confronto serio, sereno e costruttivo con le parti, tutte le delucidazioni utili a far meglio comprendere, a tutti, di cosa stiamo parlando.