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A diciotto anni.

di Giulia Di Nola.

Le unioni tra minori di diciotto anni, formalizzate o non, sono una melanconica realtà che tocca, nel mondo, un’infinità di giovani.

In particolare, settecento milioni di ragazze si sono sposate ancor prima di compiere il quindicesimo anno d’età. Questa deplorevole condizione è molto diffusa in Asia come in Africa, continenti già provati da altre problematiche: l’analfabetismo e la malnutrizione.

Sposarsi precocemente comporta conseguenze negative per la salute della sposa-bambina e per lo sviluppo fisico e mentale del figlio.

La violazione dei diritti dei minori e i pregiudizi di genere sono le basi d’una tale spregevole cultura e le spose-bambine sono più soggette, delle maggiorenni, ad abusi, violenze e sfruttamenti, oltre al fatto che esse vengono totalmente sradicate dall’ambiente affettivo-protettivo delle famiglie.

Di conseguenza una maggiore sensibilizzazione nel mondo, sui diritti delle minori, rivolta ai capi etnici e religiosi, è quello che l’UNICEF s’è riproposto di fare da anni.

Il governo del Bangladesh, per l’appunto, sta valutando l’ipotesi di innalzare l’età minima dei matrimoni a diciotto anni per le donne, e a ventuno per gli uomini, contro i sedici e i diciotto attuali, senza disgustarsi l’Islam conservatore che è, poi, la religione di Stato.

Insomma, i risultati sono abbastanza soddisfacenti anche se c’è ancora molto da fare; l’importante è che, rispetto alle generazioni addietro, ci sia stato un inizio che ha segnato un forte decremento dell’oltraggioso fenomeno.

Napoli, 17 aprile 2018