ven 17 MAGGIO 2024 ore 10.35
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Democraticamente, fate ciò che dico Io.
di Luigi Antonio Gambuti

Sì, però.
Sì, perché bisogna decidere per fare. E fare per cambiare.
Però, perché così facendo, si mette in discussione il sistema democratico, con una presa di posizione autoritaria che sa di imposizione e velatamente di ricatto.
O fate come dico io o tutti a casa, lontano dalle sedi parlamentari.
Dove chi più e chi meno coltiva con indubbi ”ritorni” personali il proprio orticello.
Prendere o lasciare, dunque, facendo leva sulla forza di resistere di alcuni e sulla paura di annullarsi di altri.
Senza che ci si ponga una riflessione. Se pure dovesse passare la legge costituzionale di riforma elettorale, se tutto dovesse accadere in parlamento -come ha progettato ed ora imposto il presidente quattrovolteventi- tutto si può rimettere in gioco nelle sedi dei partiti, là dove si dovrà necessariamente procedere alla compilazione delle liste e dove si potrà giocare il capitale per evitare di assistere all’assopigliatutto, con l’accaparramento dei posti di sicuro successo elettorale.
Se Renzi l’ha messa così-e forte del suo ricatto elettorale arriverà sicuramente a portare a casa la partita-lasciamolo fare.
Il gioco verrà riaperto, come abbiamo detto, in sede di partito, quando si dovrà necessariamente procedere alla compilazione delle liste, capilista compresi.
Qualcuno ricorderà -e gli darà ragione- la denuncia di Eugenio Scalfari che tempo fa definì l’attuale quadro politico come una sorta di “democratura”.
Una parola forte costituita dalla sintesi di due lemmi. La radice democratica e la desinenza dittatura sembrano disegnare la parabola renziana: nata democratica, curvata dittatura.
Del resto -a nostro avviso e pur non condividendo appieno questo atteggiamento- l ’attuale momento di debolezza del sistema, di caos dei partiti e di crisi economico-sociale non può non giustificare il comportamento politico dei Renzi e i suoi sodali.
Mettiamoli alla prova non oggi ma domani, quando sarà il momento delle scelte nella cabina elettorale e tutti avremo la possibilità di scegliere quale via percorrere per dare senso e significato alle nostre legittime ragioni.
A cominciare dalla prossima tornata per la elezione dei consigli regionali e dei governatori cui affidare la guida dell’istituzione.
Di qui si vedrà quanto vale il consenso della gente e quanto peso si darà alle scelte e alle indicazioni di chi tiene in mano la barra del timone.
Mi va, in questo senso, di ricordare un’esperienza personale, vissuta nel corso della mia carriera di operatore della pubblica istruzione.
A “capo ”di un affollatissimo collegio dei docenti, mi fu imputato di essere spesso costretto a invitare i miei interlocutori “contestatori resistenti a fare” democraticamente come dico io per affrontare e risolvere, al meglio e nei tempi giusti, le numerose questioni che in una comunità scolastica di oltre duemila soggetti, tra allievi e personale, non erano che di cadenza quotidiana e di articolata responsabile importanza.
Il detto “fate democraticamente come dico io  “era l’invito-richiesta” rivolto a tutti, dopo averlo concordato con i delegati dei gruppi rappresentativi delle varie categorie, a rendersi conto che certe scelte andavano fatte senza troppi indugi e senza inutili sofismi, per dare risposte urgenti a legittime domande espresse dalle varie componenti del sistema scuola che si aveva in conduzione.
Fu pure “democratura” la mia condizione di governo della scuola?
Devo confessare di no,  se a distanza di parecchi anni, ancora oggi certi risultati mi danno conforto e ragione delle scelte effettuate.
Allora Renzi ha ragione ed ha ragione anche chi gli si pone contro e lo contesta.
Ma la ragione di entrambi, o il torto di ciascuno, devono trovare sintesi nel “benessere”  della comunità amministrata che, al di fuori dei giochi di potere, aspetta le risposte dovute alle domande e ai bisogni manifestati.
Specialmente in una condizione, come quella attuale, dove non serve e non paga tergiversare con bizantinismi e rivendicazioni di consueta e stantia memoria, al fine di evitare ritardi ed omissioni in un contesto di problemi che non consentono dilazioni per la loro soluzione.
E‘ questo che fa il presidente del Consiglio e capo dell’Esecutivo.
E‘ questo che si gioca in queste ore e che fa da tema della discussione che forse che sì, forse che no,porterà alla crisi di Governo.
E alle elezioni anticipate, sventolate come deterrente per i peones attaccati alle poltrone.
Siamo precipitati nel pantano e ci muoviamo in un ambiente in cui, come già scriveva Platone nel 370 a.C., “tutto si mescola e si confonde, in cui chi comanda finge, per comandare sempre di più, di mettersi al servizio di chi è comandato, in cui i rapporti tra gli uni e gli altri sono regolati soltanto dalle reciproche convenienze nella reciproca tolleranza; in cui l’unico rimedio contro il favoritismo consiste nella molteplicità e moltiplicazione dei favori; in un ambiente siffatto dico-pensi tu-che il cittadino accorrerebbe a difendere la libertà, quella libertà? Quando la democrazia, per sete di libertà e per l’inettitudine dei suoi capi precipita nella corruzione e nella paralisi essa stessa muore.”
E quando la democrazia muore genera un tiranno che “democraticamente” mette a posto le cose a modo suo.
Se Platone fosse, così come è stato l’allievo che di Socrate ha preso in mano la lanterna per “cercare l’uomo” e fosse il leopardiano pastore errante impegnato ad arrampicarsi sulle montagne irte della modernità lacerata e controversa dei tempi attuali, per evitare come costui di precipitare nell’abisso orrido e profondo in cui tutto si annulla e si confonde  -in res l’attuale crisi esistenziale-  colui che ha colto nel segno per le sue riflessioni, si potrebbe pure dare ragione a qualche smania autoritaria del nostro presidente del Consiglio – Pisistrato moderno-  e valutare quanto mai azzeccata la definizione coniata da Eugenio Scalfari come segno di una conduzione politica necessitata dai tempi e dalle sfide che ne provengono.

Napoli, 2 maggio 2015