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De Luca e il Dovere dell’Agire

di Luigi Antonio Gambuti

Chi non agisce non sbaglia. E, se non agisce per evitare di sbagliare, viene meno al dovere dell’agire.
Il dovere dell’agire, a sua volta, è definito e imposto dai motivi per i quali si è costituito.
Fuori dal concerto di parole, si tratta di porre l’attenzione ai compiti che vengono assegnati a chi è chiamato a svolgerli, o per scelta, o per dovere d’ufficio, o per mandato elettorale.
Chi non agisce, ne deriva, viene meno ad un impegno che si è impegnato a mantenere.
E, siccome l’agire si costituisce anche dell’elemento della responsabilità, ne discende che chi non agisce diventa irresponsabile, come colui che non svolge il compito che si aspetta di essere svolto dal titolare dell’azione dell’agire che si traduce in omissione di quegli atti o di quelle azioni demandati, a monte, dalle ragioni stesse dell’agire “comandato”.
Perché questa “strana”riflessione? Perché in queste ore residuali di campagna elettorale si fa tanto rumore su quanto si è fatto e su quanto non si doveva fare, per metter sotto accusa gli avversari e portare il consenso alle proprie aspettative.
Si pone sotto i riflettori l’agire del politico, determinato dal dovere della responsabilità che viene prima di ogni altra motivazione che, nel farsi della vicenda politica, può essere elusa per tutta una serie di ragioni.
Tra queste va rimarcata quella che fa capo all’onestà, una parola troppo ricorrente, reclamata spesso dall’attore dell’agire, che può essere giocata a favore della rendicontazione dell’agire compiuto -ho fatto il mio dovere!- o, per alcuni casi di omissione, definita come paravento dell’incapacità, vale a dire il venir meno al compimento di un dovere la cui omissione determina gravi conseguenze sui destinatari dell’azione non realizzata.
Può, allora, definirsi responsabile chi non agisce nel compimento di un dovere che, per mandato, deve essere realizzato? Per dirne alcune, di chi perde risorse destinate dai fondi europei per inerzia dell’agire-ci, sono ben otto miliardi da spendere e la fine dell’anno si avvicina!; di chi gestisce una sanità taroccata, di chi “organizza “trasporti deragliati; lascia il porto affondato e le risorse culturali marginalizzate assieme ad una formazione professionale inesistente e a una politica del turismo improvvisata?
O di chi blocca un processo di rinnovamento perché l’agire potrebbe determinare il rischio di “giocarsi“ l’onestà in situazioni e condizioni che richiedono particolari capacità di tenuta consensuale o di dirittura morale? O si teme di giocarsi la vita, se per il coraggio dell’agire si compie responsabilmente il proprio dovere?
Risulta difficile capire quanto di Caldoro c’è in questa riflessione? Di quanta responsabilità si è caricato? Certamente poca, perché l’omissione non contribuisce alla realizzazione del piano generale, non solo, ma rende il soggetto “irresposabile”, che non può in alcun modo reclamare la sua onestà che resta, in taluni casi, soltanto una patetica dichiarazione di principio perchè non è stata messa alla prova per essere riconosciuta come tale.
Per converso, non può definirsi disonesto chi agisce in nome dell’assunzione di una responsabilità determinata dall’esercizio di un potere assegnato o per ufficio o per elezione, sino a sfatare il detto che la politica è una “cosa sporca”.
Siamo giunti, quindi, alla domanda che oggi si fa sempre più frequente nel dibattito pre-elettorale, tenutosi acceso almeno fino a ieri.
Siamo stati investiti da notizie che macchiano di disonestà gran parte degli aspiranti alle cariche di consigliere regionale e comunale.
Al di là dei fattori chiari di impresentabilità determinata da questioni che attengono la sfera personale, ci sono elementi di disonestà connessi in gran parte all’esercizio dell’agire politico-amministrativo già praticato e , si badi bene, nell’assunzione di responsabilità caricata dal mandato ricevuto.
Diventa, allora, non più sostenibile dire: io non agisco perché sono onesto e, quindi , non rischio di sbagliare.
Sarebbe più corretto dire: io agisco perché devo agire per mandato ricevuto e per quel senso del dovere che mi richiama alla responsabilità che resta in capo alla mia elezione, avvenuta per assolvere ad un compito preciso: servire l’istituzione. Senza paventare il rischio della corruzione, per preservare il presunto tasso di valore della propria onestà.
In uno scenario politico in continuo mutamento, che si sostanzia di temi attorno ai quali si accende un dibattito sempre più datato e recitato; in una vigilia elettorale che si consuma sulle note di un accentuato disegno di protagonismo che attira l’attenzione degli elettori più sulle persone che sui programmi elettorali; più sul carisma dei singoli che non sul gruppo che li sostiene, fare questa riflessione non lo si ritiene fuori luogo.
Tra i contendenti governatori della Campania, il candidato del Partito Democratico Vincenzo De Luca ha da rivendicare dalla sua l’esercizio dell’agire vissuto come impegno etico-sociale più che politico, messo in atto come segno di responsabilità per contribuire, in esecuzione del suo mandato, alla crescita e allo sviluppo della sua comunità. E ci è riuscito.
Una garanzia per le sorti di una Regione, la Campania, per troppo tempo ”ultima “per l’irresponsabile inazione, sostenuta dalla mancata attivazione dell’agire come dovere.

Napoli, 27 maggio 2015