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Dal 1 gennaio cambiamo le regole per la raccolta differenziata

 

mondoPasquale Falco. Napoli, 11 gennaio 2022. Dal 1 gennaio 2022 gli italiani sono diventati virtuosi per legge. Con l’articolo 182 ter del Decreto Legislativo 152/2006, che recepisce la direttiva europea 2018/851 in materia di rifiuti, da quest’anno in tutti i Comuni italiani vige l’obbligo della raccolta differenziata e compostabile (certificati EN 13432).

L’ultimo report Ispra (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) sui rifiuti evidenzia che, per quanto riguarda la frazione umida, ma anche per gli imballaggi in plastica biodegradabile, la qualità della raccolta è in costante peggioramento causata anche dagli errati conferimenti da parte dei cittadini.

Insomma, non basta solo raccogliere, serve anche raccoglierlo bene.

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Dal 1 gennaio: “insieme all’organico ora possono essere conferiti nell’umido i sacchetti della spesa, le cialde del caffè realizzate e i nuovi imballaggi realizzati in materiale compostabile”, sottolinea Marco Versari, presidente di Biorepack, consorzio che si occupa degli imballaggi3 in bioplastica compostabile, implementato, nel 2020, all’interno del Conai (Consorzio nazionale imballaggi). 

D’altra parte, il riciclo delle bioplastiche è alquanto problematico, perché richiede impianti specifici che operino con caratteristiche particolari per condizioni di temperatura, umidità e tempo di trattamento, ancor di più se si tratta di plastiche rigide, come quelle di piatti e bicchieri, invece che di sacchetti.

Inoltre, sempre dal 1 gennaio, il Decreto Legislativo n.116/2020, impone di raccogliere separatamente i rifiuti tessili.

La raccolta differenziata del tessile è organizzata solo limitatamente sul territorio.

Secondo le stime di Ispra il 5,7% dei rifiuti indifferenziati è composto da rifiuti tessili, si tratta di circa 663.000 tonnellate/anno destinate allo smaltimento in discarica o nell’inceneritore e che potrebbero essere, in grande parte, riutilizzate o riciclate. 

fashionAttualmente la media nazionale pro capite di raccolta di rifiuti tessili è di 2,6 chili per abitante, un dato che per Ispra, così identifica territorialmente: “al nord raggiunge la quota di 2,88 kg, al centro di 2,95 kg, quantità che si abbassa a 2 kg al sud. Veneto, Emilia-Romagna, Toscana e Marche hanno già superato la soglia dei 3 chilogrammi per abitante, mentre Valle d’Aosta e Basilicata sono vicine alla soglia dei 4 kg, quota superata solo dal virtuoso Trentino Alto-Adige. Al contrario, Umbria e Sicilia raccolgono in modo differenziato meno di 1 Kg di tessile per abitante”.

Dal 1 gennaio, i Comuni e i gestori, che non hanno ancora attivato questo servizio di raccolta, dovranno realizzarlo quanto prima e regolamentarlo al meglio, comprendendo sia gli indumenti che altri materiali tessili, come ad esempio la tappezzeria, le lenzuola, gli asciugamani ed altri prodotti tessili che si trovano nelle abitazioni. 

Questo comporterà un aumento della presenza di frazioni non facilmente valorizzabili, dei costi di cernita e di smaltimento, oltreché la mancanza di una rete infrastrutturale di impianti in grado di riciclare gli scarti tessili. 

Da più parti è stata chiesta, nella fase iniziale, l’applicazione della normativa ai soli abiti usati, in attesa che l’Europa definisca la propria strategia sull’economia circolare nel tessile.  

Per riconvertire il sistema e avviare una vera economia circolare nel tessile-moda sono stati previsti cospicui investimenti nel PNRR (Piano nazionale ripresa resilienza).fashion2

Il Piano ha stanziato 150 milioni di euro per l’istituzione di textile hubs, a cui si aggiunge una parte del miliardo e mezzo destinato alle amministrazioni pubbliche, ai fini dell’efficientamento dei sistemi di raccolta differenziata e riciclo. 

Infatti, il rapporto Global Fashion Agenda, Scaling circularity, evidenzia che investire nelle tecnologie per il riciclo del tessile garantirebbe di gestire l’80% dei materiali tessili, pre e post consumo, nonché il 75% di quanto riciclato rimarrebbe nel sistema tessile, mentre solo un 5% interesserebbe altri settori industriali. 

In conclusione, l’economia circolare made in Italy si trova davanti a due sfide: la gestione dei rifiuti tessili e quelli organici.