Non Logorate Papa Francesco
Non Logorate Papa Francesco
di don Giulio Cirignano biblista
Qualcuno ritiene di notare segni di stanchezza in Papa Francesco, un certo logorio del suo smalto originario. Ma queste, probabilmente, sono solo labili impressioni provocate per lo più dalla costatazione di quanto sia complesso il compito che si è assunto, per Grazia di Dio e impulso dello Spirito. Sono impaurite deduzioni, non costatazioni di realtà. In questi anni del suo pontificato Papa Bergoglio ha esibito energie spirituali ed umane assolutamente straordinarie. Si rassegnino i mesti custodi del passato che amano farsi passare per inossidabili difensori della tradizione. Sono solo anacronistici abitanti di un mondo che non c’è più.
Dopo l’appassionato discorso alla Chiesa italiana durante il convegno tenuto a Firenze potevamo sperare in un maggiore riconoscimento da parte di qualcuno della propria estraneità. Non è successo. Potevamo sperarlo, ma non è successo. Sia chiaro: l’invito alla conversione riguardava tutti e nessuno può sentirsene esentato. Ma chi, in questo momento ha, nelle Chiesa, un più alto livello di responsabilità non può non sentirsi fortemente provocato dallo “stile Bergoglio”.
D’altra parte non possiamo aspettarci dal Papa interventi di natura autoritaria. Non sono, per fortuna, nelle sue corde. Non li compirà: sarebbero controproducenti. Dobbiamo essergliene grati.
Papa Francesco, a nostro conforto, ha già seminato una quantità impressionante di segni di cambiamento. Non sarà più possibile tornare indietro. Sono sotto gli occhi di tutti ed è inutile richiamarli. Può essere più importante, proprio per mettere in sicurezza quanto ha già detto e fatto, indicare alcune innovazioni di carattere strutturale che non sembra più possibile rinviare. Possiamo farne rapida elencazione, attenendoci a quelle che riteniamo più urgenti.
Nessuno può pensare di insegnare a Papa Bergoglio a fare il Papa. Lo sa fare benissimo da solo. La indicazione delle più necessarie innovazioni strutturali non serve al Papa. Serve a quanti non si sono accorti che il tempo passa per tutto, anche per le più consolidate convinzioni, soprattutto in un campo così complesso e delicato come quello religioso.
Siamo sicuri, sulla scorta di quanto il Papa ha già detto e fatto, che buona parte delle prospettive innovative che consideriamo importanti albergano già nel suo cuore. Aspettano solo il tempo della sua saggezza per esprimersi. C’è un appuntamento che sicuramente agita il suo animo, in maniera altamente positiva: il quinto centenario della Riforma, 1517- 2017. Non vorremo mica presentarci a questo appuntamento addobbati con gli orpelli di quel potere ecclesiastico che dette origine alla protesta luterana? A partire da questa elementare osservazione non pare difficile indicare il perimetro del cambiamento. Dunque non aspettiamoci da Papa Francesco interventi autoritari riferiti a singole persone. Possiamo solo sperare che promuova innovazioni a largo raggio in grado di ridare alla Chiesa la configurazione che si merita e che il Signore si è guadagnato con il proprio sangue.
Al primo posto, in assoluto: abolizione dei titoli, segni, privilegi del potere ecclesiastico. E’ opportuno fermarsi a riflettere. Più volte ne abbiamo parlato. Vale la pena ripetersi. Essi sono negativi a doppio titolo. In primo luogo perché rappresentano una contro-testimonianza. In una comunità che si riconosce discepola del Signore del servizio non hanno ragion d’essere, per esempio, titoli quali eccellenza o eminenza. Come pure non hanno alcuna plausibilità quei segni di distinzione tipici di una moda ecclesiastica ridicola e fuori tempo quali talari, in aggiunta talari di vare sfumature di rosso, svolazzanti mozzette colorate, zuccotti monelli sempre bisognosi di essere messi a posto da vigili mani , ridicole mitre vecchie di secoli e così via. In secondo luogo perché, oltre che non riconducibili alla logica evangelica sono pure pericolosi. Assai pericolosi: impediscono la fraternità. A prescindere dalla qualità di chi li porta, danno spesso alla persona che li indossa con più o meno malcelata compiacenza, una autorevolezza senza reale fondamento. Insomma, sotto la tiara spesso non c’è quello che ci si aspetterebbe. Non si può certo generalizzare.
Conosciamo tutti persone di grande qualità. E’ l’insieme che non abbellisce il popolo di Dio. E’ la mentalità castale che non è più giustifcabile. Nell’insieme, scompaiono anche i migliori. Cosa può pensare il Signore dall’alto della croce guardando la sua comunità radicalmente mutilata nella parte femminile per quanto riguarda la responsabilità evangelizzatrice e poi, ulteriormente ridotta anche in quella maschile ad essere una esile minoranza con la pretesa di essere illuminata su tutte le questioni?
A questo proposito una parola va detta circa il cerimoniale di ordinazione sacerdotale, in tutti i suoi gradi. Soprattutto nella liturgia di ordinazione episcopale si è messo in piedi qualcosa che fa impressione. Le domande relative al candidato e le sue risposte, poi la prostrazione per terra, poi l’imposizione delle mani da parte di uno o più vescovi, poi l’unzione, poi l’anello al dito, poi gli abiti del nuovo rango, tiara e zuccotto rosso, poi in questo tripudio di sacralità la croce pettorale. L’insieme del rito sembra pensato per creare un nuovo essere, una nuova identità del candidato. Qualcosa di fascinoso e sacrale. Ma tutto ciò è in linea con la semplicità e la povertà dell’unico vero sacerdote? Abbiamo voglia poi a parlare di popolo di Dio!
Davanti ai faraoni c’erano servi, non uomini liberi.
Allora, per semplice decreto papale, dall’oggi al domani, tutti in giacca e cravatta, come persone normali. E’ lecito pensare che Il Signore si aprirebbe, finalmente, ad un sorriso tanto ampio quanto compiaciuto.
Da qui la seconda grande riforma: riconoscere ormai esaurito il compito delle conferenze episcopali. La questione è assai delicata essendo le conferenze episcopali strutture consolidate e lontanissime dal dubitare della loro indispensabilità. Non si tratta di abolirle ma di trasformarle. Renderle cioè organismi più ricchi e più in grado di rispettare la connotazione di chiesa quale popolo di Dio. Per dirla in termini essenziali, occorre passare dalle conferenze episcopali alle conferenze ecclesiali.
In esse, i pastori potranno trovare il loro posto, ma accanto a laici, sia uomini che donne, religiosi, religiose, sacerdoti. Conferenze cioè nelle quali, proprio per la loro composizione, il sacerdozio ministeriale troverebbe feconda interazione con il sacerdozio comune. Quante risorse nella parte femminile del popolo di Dio aspettano di essere liberate! Non è più tempo di aspettare. D’altra parte il Papa l’ha già detto e scritto. Concludendo i numeri della “Evangelii Gaudium “sull’indispensabile apporto della donna” (102-104), afferma: “Qui si presenta una grande sfida per i pastori e per i teologi, che potrebbero aiutare a meglio riconoscere ciò che questo implica rispetto al possibile ruolo della donna lì dove si prendono decisioni importanti, nei diversi ambiti della Chiesa”. Decisioni importanti, prese sinodalmente, sul serio. Il ruolo, preziosissimo, di pulizia e decoro degli ambienti parrocchiali, per lo più affidato a donne, non può essere annoverato quale luogo dove si prendono decisioni importanti!
Una terza riforma a largo raggio, ma limitatamente all’area italiana riguarda la trasformazione di quella specie di vasto ministero costituito dagli uffici C.E.I. Tali uffici sono strumenti preziosi di pastorale. Su questo non si discute. Ma perché affidarne la direzione a sacerdoti? Chiamati dalle varie diocesi ad un ruolo impiegatizio, in quanto sacerdoti formati per compiti pastorali, non possono sentirsene appagati. E’ inevitabile che si sentano in attesa di promozione. Insomma quegli uffici sono normali luoghi di coltura delle ambizioni. Ciò non sempre è a vantaggio della comunità ecclesiale. Come correggere questa anomalia ecclesiastica che è andata consolidandosi nel tempo? Semplicemente affidandone la direzione a laici e laiche responsabili, a religiose intelligenti e veramente innamorate del Signore. Non sarebbe difficile trovarne. Cosi, quei sacerdoti potrebbero essere destinati alle diocesi di appartenenza per esercitare il ministero sacerdotale, se ne hanno voglia.
Lo stesso discorso vale per le suntuose congregazioni della curia romana. Papa Francesco sta già muovendosi in questa direzione, accorpandone alcune. Saggio primo passo. Non abbia paura di una più radicale riforma. Una domanda: cosa ci sta ancora a fare la sacra Congregazione per la dottrina cattolica, un tempo denominata Santo Uffizio?
La sola esistenza di questa arcaica struttura di controllo era un oltraggio alla libertà e alla intelligenza del popolo di Dio, ed in particolare di quella parte del popolo del Signore chiamata a guidarlo nella verità e nell’amore del Vangelo. Un tempo c’era perfino l’Indice dei libri proibiti, che non si potevano né diffondere né leggere. Per ogni pubblicazione fatta da credenti era necessario il “nulla obstat” da parte della autorità ecclesiastica. Da qualche decennio tutto ciò è stata riconosciuto nella sua inutilità e quindi abolito. La situazione di profondi cambiamenti come pure il clima di polemica verso il mondo percepito come nemico avevano tolto alla comunità ecclesiale la gioia della libertà, la tenerezza e la premura, la fiducia nello Spirito e la disponibilità alla speranza. Era diventata arcigna, permanentemente in assetto di guerra, dimentica del suo Signore, mite ed umile di cuore. Aver rimesso al centro della vita e della esperienza credente il gaudio evangelico è stata come un sogno di primavera. Niente di ciò che costituisce l’essenza del credere viene scalfito, ma tutto viene profondamente riammesso alla freschezza della sua divina origine.
Dunque, eliminazione di ogni orpello di potere, riforma di molte strutture ecclesiali quali le conferenze episcopali e le congregazioni centrali della curia. Ma non è tutto. C’è ancora una cosa più importante: ci riferiamo alla creazione di una nuova classe di sacerdoti capaci di entrare in profonda sintonia con il sacerdozio comune di tutti i battezzati. Il sogno di Papa Francesco trova proprio qui i motivi della sua fragilità o forza. Alto e basso clero totalmente da ripensare nella loro formazione e nel loro ruolo. Liberi, finalmente dai molti lasciti della cultura della Controriforma.
Forse anche per la Chiesa cattolica è giunto il momento di rivedere il secolare legame tra sacerdozio ministeriale e celibato. La chiesa orientale e le chiese riformate lo hanno fatto. Gesù, da buon ebreo e laico, non ci aveva pensato neppure lontanamente. Non ci sono più ragioni spirituali o teologiche che giustifichino questa prassi. Sacerdoti nuovi dunque, prolungamento dell’unico vero sommo sacerdote, con un compito specifico, in felice interazione con gli altri doni e carismi che lo Spirito non fa mancare alla Chiesa che non è a proprio agio né nei panni della monarchia né in quelli della democrazia.
Queste forme della convivenza civile che si sono alternate nel tempo mal si adattano al mistero della chiesa. Essa è comunità di fratelli, discepoli del Signore del servizio e del dono di sé. E se alcuni sono chiamati da Dio a svolgere un compito di responsabilità, lo svolgeranno come dice l’Apostolo Paolo “en Kyrìo”. Per citare integralmente: faticano, sono preposti ma nel Signore, sua speciale trasparenza, ministri della armonia e della pace( cfr ITess. 5,12). Quell’ “en kyrio” è una formidabile protezione nei confronti di qualsiasi umana ambizione. Ma anche su questo, Papa Francesco ha già detto quanto serve: “ La configurazione del sacerdote con Cristo capo- vale a dir come fonte principale della grazia- non implica un’esaltazione che lo collochi in cima a tutto il resto. Nella Chiesa le funzioni non danno luogo alla superiorità degli uni sugli altri.”. Nella Chiesa cattolica le cose stanno così? Purtroppo una coltre spessa di polvere che viene dal passato rende tutto più opaco. Più stantio.
Una domanda è inevitabile. Come mai nessuno di coloro che si trovano in postazione di potere denunzia questo stato di cose? Come mai si trova così facile e allettante volgere lo sguardo al passato e come la moglie di Lot rischiare di essere trasformati in statue di sale? La sedia forma il sedente, si dice tra noi, scherzando. Come mai abbiamo riposto nel cassetto per secoli la Parola di Dio e non troviamo il coraggio e la forza di deporre la logica delle abitudini e del “si è sempre fatto così”? Non è vero che nessuno abbia alzato la voce. Uno lo ha fatto, con coraggio. Facendo eco alle parole del Signore ed alle consegne conciliari. Papa Francesco, in lieta continuità con i suoi predecessori e, nello stesso tempo, in novità ha detto quanto serve.
A noi non resta che pregare, ringraziare, indignarsi. Tutte e tre le cose sono importanti. E che nessuno pensi di logorare Papa Francesco. Anzi, che nessuno si illuda di logorare Papa Francesco.
Forse ci sarebbero molte altre feconde prospettive da mettere in agenda: centralità della Parola, nuovo modo di abitare la liturgia, diversa impostazione etica, passione per i poveri e per la pace, cura per la casa comune. Ma questi sono aspetti di una maturazione inevitabilmente lenta. Anche riguardo a tutto ciò gli insegnamenti e i gesti di Papa Francesco hanno dato impulso formidabile. Si tratta non solo di non ostacolarlo ma di innamorarsene, per la gioia di tutti.
Napoli, 13 settembre 2016