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Gaudio evangelico, misericordia: due termini fondativi.

di don Giulio Cirignano-biblista

“Gaudio evangelico” e “misericordia” sono i due termini che, al momento attuale, definiscono l’esistenza cristiana, descrivono e riassumono in maniera efficace come vivere la proposta evangelica in questa difficile ed esaltante stagione di ripresa delle consegne conciliari. Non sono solo due termini di generica spiritualità. Possono essere definiti due termini fondativi. A prescindere da essi niente si può costruire di valido e duraturo.

Due parole che, come amiamo ripetere, segnano la fine della cultura cattolica della controriforma che può essere così riassunta nei suoi tratti meno brillanti: rigorismo sul piano morale con conseguente propensione per la condanna; eccessiva sicurezza sulfronte dottrinale, devozionalismo faticoso e triste anziché frequentazione amorosa della Parola, clericalismo al posto della visione serena di popolo di Dio, arcigno maschilismo invece di lieta sequela evangelica alternativa alla logica mondana.

Certo la cultura cattolica della controriforma, vale a dire la sintesi teologico-vitale operata in quel periodo storico non può essere definita solo dai suoi aspetti negativi. Anzi, anch’essa ha avuto grandi meriti che non stiamo ad elencare. Ma sono gli aspetti negativi quelli che al momento fanno sentire il loro peso ed impediscono il volo.“Gaudio evangelico” e “misericordia”, all’opposto, sono i due principi essenziali per ridonare vita al cammino ecclesiale e nuova freschezza alle stesse comunità parrocchiali rese ormai senza forza di attrazione dalla insulsa logica del “si è sempre fatto così”.

Senza la pretesa di generalizzare, possiamo nondimeno riassumerne a grandi linee lo stato attuale: ripetizione abitudinaria di pratiche e appuntamenti religiosi riproposti senza fantasia, sacramentalismo privo di reale sbocco nella vita, percorsi modesti di catechesi dei ragazzi in vista della prima comunione senza respiro di futuro, totale assenza di adeguata educazione degli adulti, ripetitivo svolgimento dell’anno liturgico. Che ne è della riforma liturgica e soprattutto della sua anima? Che ne è della immagine di Chiesa proposta dalla “Lumen Gentium”? Che fine ha fatto la preziosa integrazione tra sacerdozio ministeriale e sacerdozio comune dei fedeli” ? Dov’è finito il rapporto fede e vita? Che ne è della lodevole preoccupazione dei lontani?

Forse, proprio per queste ragioni anche l’anno giubilare si consuma senza dignità. Devozionalmente, nella pietà individuale, utile ma fragile. Non è, non è stato e probabilmente non saràoccasione per accostare il popolo di Dio, in maniera finalmente feconda alla Parola e a tutte le altre luminose prospettive conciliari. Terminato l’anno giubilare tutto continuerà come prima. L’accorato appello di papa Francesco nel duomo di Firenze, lettera morta.

Il discorso è volutamente negativo, ma non da ascrivere alle consuete lagnanze pessimistiche tipiche dei profeti di sventura. E’ volutamente negativo e, in questo, non rispondente e neppure rispettoso della azione dello Spirito che continua a suscitare energie con inesauribile fantasia. E’ solo funzionale a mettere in evidenza un semplice dato di fatto : la bontà e l’intelligenza da sole, nel nostro caso, la pacata amorevolezza e l’acuta mente di Papa Francesco, da sole, non sono sufficienti a cambiare la situazione. Queste cose il Papa le sa e probabilmente ne soffre. Egli sa di aver già detto quanto serve alla Chiesa per uscire dagli aspetti fragili del suo passato. Lo sa e non ha bisogno di aggiungere altro.

Allora, dobbiamo affermare con forte convinzione che il progetto della “EvangeliiGaudium”, pensato per il cammino della Chiesa nei prossimi anni (n.1), non può attuarsi, nella realtà italiana, senza alcuni cambiamenti strutturali. Proviamo ad indicare quelli che paiono i più necessari.

Al primo posto, la revisione radicale della C.E.I. Il Papa qualcosa ha già cominciato a fare. Ma ancora troppo poco. L’organismo guida della Chiesa italiana è intrinsecamente anacronistico in molti dei suoi membri, frutto di una logica vecchia che ha perseguito per quaranta anni una costante occupazione di posti chiave. A proposito della mondanità spirituale il Papa ha scritto: “Questa oscura mondanità si manifesta in molti atteggiamenti apparentemente opposti ma con la stessa pretesa di ‘dominare lo spazio della Chiesa’”(n95). Chissà a chi pensava!

Al secondo posto, il cambiamento della organizzazione degli uffici C.E.I, non più affidati a sacerdoti in attesa di promozione episcopale ma a laici, laiche e a religiose di sicura fede e competenza.

Poi, profonda mutazione nelle logiche pastorali in alcune diocesi importanti, con immissione di personale fortemente imbevuto non solo di generica spiritualità ma di Concilio e di Vangelo vissuto a servizio dei poveri e dei lontani.

Infine, trasformazione dei seminari da luoghi di “sformazione” conservativa a luoghi di formazione di coscienze competenti nella Parola di Dio e nella capacità di lettura dei segni dei tempi, attraverso un serio tirocinio teologico. Laboratori di futuro.

Sì, su tutto ciò si gioca il futuro della esperienza cristiana in Italia. Chiuso il lungo periodo della “Controriforma”, come costruire quello nuovo, quello della autoriforma? La risposta, pensando al Vangelo appare scontata: via tutti i titoli, i segni, i vantaggi, gli stili della mentalità clericale. Tutti. Più volte abbiamo toccato questo argomento. Riusciremo a realizzare qualcosa in questa direzione? Pur consapevoli della difficoltà dobbiamo insistere soprattutto se vogliamo attivare un vero dialogo ecumenico con quanti, da tempo hanno sognato una Chiesa fedele al Vangelo. Chiedere scusa ai fratelli separati per i peccati commessi verso l’ideale della comunione ma con il contorno di inutili pomposità rischia di vanificare le più belle intenzioni. Papa Francesco, per conto suo ha già fatto il suo coraggioso cammino, anche nel piano dello stile. Ma gli altri? Ancora troppo sventolio di suntuose vanità ruota attorno alle parole e ai gesti di Francesco.

Sul vizio del clericalismo, Papa Bergoglio ha detto parole chiarissime. La gloria di Dio, o, come si diceva nella stagione della controriforma “ ad maiorem Dei gloriam”, di qui in avanti, si potrà realizzare solo nella fedeltà al principio evangelico del dono di sé, della rinuncia a contare. Dalla maggior gloria di sé a quella di Dio. Sulla chiusura del cardinalato non si potrebbe iniziare a fare un pensierino? Le responsabilità importanti, all’interno della comunità ecclesiale, non si potrebbe cominciare a conferirle pensando alla qualità spirituale e culturale più che alla conformità?

Ma ancora non è tutto. Pare necessaria una coraggiosa ripresa del pensare teologico e un nuovo impegno dei liturgisti. Come al tempo del Concilio. A seguire, quella doverosa mediazione che allora non ci fu per coinvolgere il popolo di Dio nel cammino. Cinquanta anni di latenza sono troppi. Le debolezze sul piano teologico-biblico sono state esiziali. Quelle sul piano liturgico, devastanti.Al centro della vita cristiana, alla base dell’agire cristiano, va rimessa la figura di Gesù, il suo modo di pensare. “Conformi alla immagine del Figlio suo” direbbe Paolo. In assenza di ciò i poveri non avranno mai l’attenzione che meritano. I poveri in tutti i sensi. Gesù, lui e lui solo il Signore della avventura cristiana.

Sarebbero ancora molte le cose da dire e pensare. Con la più larga partecipazione possibile. Queste sembrano particolarmente urgenti.A questo punto qualcuno dirà: il grillo parlante ha colpito ancora. No, non è questione di grillo parlante, ma solo di amore al Vangelo e alla Chiesa.

Napoli, 3 aprile 2016