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Un Natale di Misericordia

di Luigi Antonio Gambuti

C’è tanto materiale su cui mettere le mani. Lo trattiamo per cenni, quasi un piccolo elenco degli avvenimenti, su cui tutti ci siamo confrontati.
Sta in pieno svolgimento la “sperimentazione”della terza guerra mondiale di cui papa Francesco va da tempo parlando. Quella fatta “a pezzi”, con insensata violenza, che sta tracimando dai territori mediorientali, portando lutti e paure nei paesi più lontani. Anche qui da noi, una realtà complessa in cui la società si attorciglia per uscire dalla crisi ,non solo economica ma anche e soprattutto valoriale.
Una approfondita riflessione meriterebbe la pubblicazione del 49°rapporto CENSIS che descrive l’Italia come un paese “a bassa autopropulsione, una società sconnessa che non ritrova il gusto del rischio, preda di un letargo esistenziale collettivo, “un luogo dove i soggetti restano in un recinto securizzante ma inerziale”.
Una sorta di “limbo italico” fatto di mezze tinte, mezze classi, mezzi partiti,mezze idee e mezze persone”.
Checché ne dica Renzi, forte del successo dell’iniziativa Italia-Coraggio, sinanche condivisa da Bersani che l’ha definita “saggia e giusta”, il Paese stagna nella permanenza in una condizione di incertezza ed ora anche di paura, là dove chi è capace di adattarsi (Bruner) riesce a sopravvivere nello status di benessere di cui godeva prima della crisi e chi non si è attrezzato a tanto, per mancanza di mezzi e di occasioni, resta “congelato “nella condivisione di una povertà sempre più pesante.
Dal “suicidio collettivo” dei socialisti francesi, il lepenismo ha ricavato la vittoria nell’ultima tornata elettorale e regionale, riportando la realtà francese in tutta la sua vulnerabilità,con lo sconvolgimento politico di tutto lo scenario europeo. Dando fiato alle trombe separatiste di Salvini.
Non lontano da noi, se non proprio attorno a noi, il terrorismo tronca le vite, agita le coscienze e tormenta la sicurezza delle istituzioni, mettendo in discussione valori secolari. In questo clima di incertezza, vox clamans in deserto, risplende l’agire coraggioso e lungimirante di un papa venuto da lontano.
Francesco ha aperto la porta santa in tutto il mondo, chiamando tutti a vivere il Giubileo della misericordia, unica virtù, unica leva in mano ai fratelli per disarmare il mondo e sollecitarlo a recuperare il sapore dell’amore e il dono della pace, come unici grandi processi della riscossa universale.
E’ questo lo scenario “strano “che s’apre sul nostro Natale.
Un Natale atteso, un avvento di riscatto e di perdono, per spezzare il recinto di paura e depressione in cui ci siamo relegati.
Un Natale che si accompagna al richiamo di una parola nuova e sempre antica, il bastone nodoso ove far leva per risalire la china ed avvicinarsi al cielo, questo che si incima di montagne e di colline, perché è quaggiù che si gioca la partita della vita e la si perde quando ci si avvale di alterigia e di rancore.
Riportiamo uno stralcio di una preziosissima riflessione di Don Giulio Cirignano, biblista e professore emerito di sacra scrittura, come dono ai nostri lettori per un Natale che sia centro propulsore di misericordia e di perdono.

Elogio della misericordia.
di Don Giulio Cirignano

Il giorno otto dicembre, come tutti sappiamo, è iniziato l’anno santo della misericordia. Molto si è detto e scritto al riguardo. Soprattutto la Bolla di indizione “Misericordiae Vultus” porta un contributo decisivo per la comprensione. E’ giunto, allora , il momento per tentare una definizione concreta e vitale della misericordia. Una definizione che aiuti ad immergersi con il cuore e la mente nel grande mistero della bontà di Dio.

In termini esistenziali, accostarsi alla misericordia di Dio significa soprattutto rendersi disponibili per una esperienza ineffabile e dolcissima insieme. E’ lasciarsi raggiungere da una carezza. Una carezza di Dio. Questa immagine può risultare inadeguata, di sapore vagamente sentimentale. Ma non è così.

Questa è una carezza di Dio che perdona ed usa misericordia. Possiamo, così, misurare la distanza che spesso c’è tra la consueta maniera di vivere l’esperienza religiosa, troppo segnata dal dovere e dai precetti, che da vera intimità con il Signore della misericordia. Dobbiamo dire subito a scanso di equivoci che, in questo discorso, non è in gioco una prospettiva di vita più facile, meno seria e impegnativa. Si tratta, in realtà, di sentirsi come catturati da una forza che scava nella profondità della storia personale e nella struttura della nostra persona. La carezza di Dio è una forza che attende solo di essere riconosciuta ed accolta, coltivata nella pensosità, nella frequentazione della Parola, nella gioiosa scoperta che niente è più importante di lei. La carezza di Dio è una quotidiana Pasqua, una festa che prende il posto del grigiore dei giorni e della continua futilità dell’animo umano.

La carezza di Dio è come una voce che squarcia la solitudine esistenziale in cui spesso ci dibattiamo, una voce che continua il suo pellegrinaggio in cerca di risposta. Come la voce che raggiunse il pubblicano Matteo, i molti personaggi anonimi dei Vangeli incoraggiati a fare violenza a tabù secolari per manifestare la loro riconoscenza, come la voce che invitava pescatori analfabeti e donne del popolo ad una avventura incomprensibile e bellissima, come la voce tenera e nello stesso tempo esigente dell’uomo gravato dai troppi beni, la voce che penetrava nel dolore di padri e madri colpite da un lutto, la voce indirizzata a Zaccheo, la voce e la promessa al disperato crocifisso: “Oggi sarai con me in paradiso”. Nella misericordia è racchiuso il segreto della conversione quotidiana.

In virtù di questa carezza avvertiamo l’esigenza di lasciar cadere quanto nel nostro modo di pensare e fare non è coerente con la bellezza del Vangelo. In primo luogo l’ambizione e la sfrenata voglia di imporsi sugli altri. Poi la cura ossessiva del proprio io. Poi la continua, idolatrica adorazione del proprio modo di pensare, Nella Scrittura troviamo spesso elenchi di comportamenti scorretti. Per esigenza di rapidità è sufficiente tornare a rileggersi noti passi delle lettere paoline, dalla prima ai Corinti fino alla lettera ai Romani ( cfr. 1Cor. 6, 8-10; Gl.5,19-21; Rm.1,29). Per conto nostro potremmo continuare a lungo la elencazione del nostro peccare. E’ preferibile che ognuno stili il proprio catalogo di latitanza evangelica.

E’ preferibile abbandonarsi al pensiero di una vita bella, ogni giorno riscattata dalla forza della misericordia e, in virtù della Grazia, continuamente collocata al centro luminoso delle beatitudini, una vita segnata dalla povertà di spirito, dalla mitezza, dalla misericordia, dalla appassionata ricerca della pace, dalla purezza di cuore, dalla dedizione alla volontà di Dio, dalla seria afflizione per le sorti del Regno di Dio.

Nella misericordia Dio trova la sua giustizia. Noi la nostra pace e la speranza di una pienezza mai definitivamente raggiunta.

Napoli, 13 dicembre 2015

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