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Tra donne e uomini un’altra integrazione

di Andrea Morniroli

Il tentativo di stupro di un ragazzo migrante ospite di una casa famiglia nei confronti di un’assistente sociale che lavora nella stessa struttura, avvenuto qualche giorno fa ai Quartieri Spagnoli a Napoli, a differenza di quanto hanno lasciato intendere gli articoli dei giornali non ha nulla a che vedere, almeno nelle sue motivazioni più profonde, con l’immigrazione, la camorra, i beni confiscati alle organizzazioni criminali e quant’altro. La vera questione è che ancora troppi maschi, italiani e stranieri, poveri e ricchi, camorristi e no, ignoranti o colti, religiosi o atei, non sanno gestire le loro relazioni con l’altro genere in un rapporto pari e di reciproco riconoscimento. E, ancora, con il fatto che troppi uomini, non sapendo gestire i loro desideri e la loro sessualità, finiscono per usare la forza, la violenza fisica o psicologica per imporre all’altro sesso le loro necessità e voglie.

Spostare il dibattito su altri temi, per quanto centrali e importanti, significa non solo introdurre elementi di confusione (per altro usati da altri in termini strumentali e demagogici) ma anche e ancora una volta rimuovere il problema di fondo che riguarda gli uomini e i loro comportamenti. In altre parole, usare strumentalmente nell’informazione e nel dibattito il razzismo, la mafiosità, il degrado socio-culturale per non fare i conti con le asimmetrie di potere che continuano a caratterizzare le reazioni tra uomini e donne.

E’ sempre la stessa storia. Sulla violenza di genere come sulla prostituzione. Su questo tema, ad esempio, è estremamente significativo come nel dibattito tutto si discute tranne che, come sarebbe ovvio, anche della domanda di sesso a pagamento. Delle migliaia di maschi che a Napoli come in Italia e nel mondo risolvono le esigenze della loro sessualità con l’acquisto di prestazioni sessuali – e dintorni – a pagamento.

E ancora, quando invece si parla anche di uomini, sia nella violenza di genere, sia sulla prostituzione, se ne parla solo in termini repressivi come se il vero problema non fosse in primis un problema culturale.

Una riflessione e un confronto che va ben oltre i “violentatori” e i “clienti” ma che riguarda l’universo maschile nel suo complesso. Troppo semplici sono gli approcci autoassolutori del “non sono mica un cliente” o “non ho mai fatto del male a una donna”.

Vanno obbligati i maschi a riflettere su come sono co-attori di fenomeni troppo ampi e trasversali all’universo maschile per poter essere risolti in tal modo. Occorre che gli uomini inizino ad interrogarsi per davvero su come nel proprio quotidiano, con i propri sguardi, atteggiamenti e approcci nella relazione con l’altro genere finiscono per alimentare il terreno sui cui poi, nei casi più estremi ma purtroppo sempre più frequenti, la violenza si alimenta.

Una riflessione e una messa in discussione che credo diventa ancora più urgente tra chi come me lavora nei servizi rivolti alle persone nel tentativo difficile e complesso di tutelarne e promuoverne i diritti. Perchè altrimenti si corre il rischio, anche in materia di diritti, di determinare differenze tra un genere e l’altro. Di guardare in modo non completo all’insieme di quelle relazioni che quasi sempre sono l’ambito che si deve prendere in carico se davvero si vuole supportare l’emancipazione e non determinare la cronica necessità di aiuto.

Insomma, il ragazzo bengalese che ha tentato di violentare l’assistente sociale napoletana é prima di tutto un uomo e la sua potenziale vittima è prima di tutto una donna. Li, e non in altri ambiti, vanno ricercate le cause del grave episodio e attivate le dovute riflessioni per trovare modi e ipotesi per evitare che tali episodi continuino, in modo sempre più allarmante e diffuso, a ripetersi.

 

Napoli, 4 agosto 2014