Contro le sicurezze illusorie, meglio i dubbi.
Contro le sicurezze illusorie, meglio i dubbi.
di Martina Tafuro
Paura di perdere il lavoro. Paura delle sofisticazioni alimentari, dei terroristi che buttano bombe o del matto che spara ai bambini.
Insomma, viviamo nell’angoscia e siamo assediati da agguerrite milizie armate di paure, di varia natura e intensità.
È caduto il mito dell’impresa che ti risolve tutto, la paura di non farcela ha basi oggettive, non conta dire che è colpa dei meccanicismi perversi del capitalismo.
“Dio è morto, Marx è morto e anche la Borsa non si sente tanto bene”, direbbe Woody Allen.
Usiamo il presente, l’ultima nostra pallottola e per di più spuntata nella nostra illusoria arma, perché non siamo più in grado di leggere il passato e non sappiamo più ideare futuro.
Il festival dello scialo ci fa galleggiare nelle acque torbide del presente, perché non sappiamo cosa ci riserverà il nostro futuro.
La grande ragnatela mondiale del web ha reso storie, sensazioni, emozioni e pensieri standardizzati come la poltiglia degli omogeneizzati.
Non possiamo perdere tempo, le distanze si sono dissolte e c’è poco tempo per indagare la diversità che si trasforma in somiglianza.
Pertanto se non dici quello che dico io e non fai quello che penso che tu debba fare… sei un mostro di cui aver paura.
Non mi sento e non sono affatto così!
Voglio vivere di insicurezza come il seme, immagine della povertà perché vive di aria, sole e acqua, è il segno del tempo perché ci proietta dal passato al futuro.
Ecco! Voglio condividere i semi, diventando coproduttore e trasformarmi da consumatore ad agricoltore a distanza.
Seminare è sperare e credere che la vita ha enormi possibilità di affermarsi, attestazione che di per sé non consola, ma gratifica.
Non ho paura affatto per le condizioni di incertezza in cui i miei figli, si troverebbero a vivere.
Perché, grazie a questa situazione che viviamo essi hanno acquisito una capacità di adattamento al cambiamento, molto superiore a quella del loro anziano genitore.
Martina e Matteo danno per scontato che le regole del gioco cambiano continuamente, una volta erano poche e semplici, oggi sono infinite e sempre in movimento.
Mi sforzo di trasmettere loro il messaggio che sono tutte false illusioni ciò che gli sviluppisti e i fideisti del nostro modello capitalista vogliono presentarci come il nuovo idolo in grado di rinnovare e migliorare il pianeta terra: lo sviluppo sostenibile.
“C’era una volta l’insicurezza che danzava e scherzava nei prati, ovviamente senza sapere dove andare. C’era una volta il gusto del rischio, che esponeva al fallimento ma dava anche la possibilità di realizzare sogni. C’era una volta la libertà di movimento, che facilitava e incoraggiava gli incontri tra gli umani. Poi, un giorno, arrivò la sicurezza. Sorella maggiore un po’ arcigna dell’insicurezza, dettò legge e disse: Amici, è tempo di avere paura. È tempo di chiuderci in casa e accendere il televisore per guardare i telegiornali della sera. Dopo i primi cinque minuti di fuochi incrociati di disgrazie, omicidi, stupri e altra fiorita cronaca nera, concorderete con me che uscire potrebbe davvero costarvi la vita. Dunque, che fare? Dosi massicce di televisione e antidepressivi, a ondate alternate. Per dimenticare, giorno dopo giorno, l’ebbrezza di quell’aria fresca che vi spingeva ad aprire la porta e a scendere per la strada cantando. Ma l’insicurezza non è morta. E ha deciso di mettersi a parlare. Scrivendo un suo personale Elogio, liberamente ispirato all’Elogio della follia di Erasmo da Rotterdam. Perché bisogna essere un po’ pazzi per elogiare quello che ti espone continuamente allo squilibrio. Regalandoti allo stesso tempo momenti in cui potresti gridare al cielo: Sì! Esisto! (O no? Mah, vai a saperle tu, le cose).
Così scrive Lucia Cosmetico in Elogio dell’insicurezza, EMI Editrice.
Ecco il tazebao dell’insicuro perfetto contro la ricerca delle false sicurezze che illudono le persone e le rinchiudono in sé stesse.
Meglio allora una sana insicurezza, che è l’invito a prendere la vita nelle proprie mani accettando paure, esitazioni, dubbi, angosce e..le stesse insicurezze.
Coltivo e alimento le mie insicurezze in prima persona, come fece a suo tempo la follia di Erasmo e vi assicuro che è meglio convivere con lei piuttosto che temerla.
Meglio accoglierla come compagna sul cammino piuttosto che sbarrarle la porta.
Nel Rapporto Brundtland del 1987 è stato affermato: “lo sviluppo è sostenibile se soddisfa i bisogni delle generazioni presenti senza compromettere le possibilità per le generazioni future di soddisfare i propri bisogni”.
Che belle parole sappiamo come è andata, la pratica dello sviluppo sostenibile ha mantenuto le visioni mercantilistiche ed estrattive, basandosi sul consumo di fonti di energia fossili.
Si è rotto il rapporto fra la civilizzazione umana e la natura, propiziata dalla cultura occidentale capitalista, secondo la quale la terra è solamente una risorsa e un territorio da occupare e saccheggiare.
Anche lo sviluppo sostenibile ha favorito e consolidato il capitalismo assoluto, inteso come il capitalismo storico che è penetrato in ogni poro e in ogni profondità della vita umana associata.
Adesso è il turno della green economy, una versione aggiornata dello sviluppo sostenibile, i paesi potenti e i grandi poteri non hanno alcun interesse a modificare le cause strutturali del disastro climatico.
Al contrario tutti sembrano ormai convinti, al Nord come al Sud del mondo, che la soluzione alla crisi mondiale passi per il rilancio della crescita, dell’economia di mercato, ma di colore verde: automobile verde, energia verde, abitazione verde…
Ma riconvertire l’industria serve a poco, se non si ferma la crescita che produce emergenze come quella dell’acqua e quella dei rifiuti.
La mondializzazione mi fa credere che viviamo in una comunità di destino di tutti gli uomini e donne, abbiamo gli stessi problemi e subiamo le stesse minacce “… una patria è una comunità di destini, quindi la Terra è la patria comune che dobbiamo cercare di salvare in una situazione dove sembra non esserci più futuro e quindi prevalgono l’incertezza, la paura e le logiche regressive…” scrive il sociologo francese Edgar Morin, in Terra Patria.
L’uomo, è chiamato a lottare per un mondo migliore.
Il pianeta Terra diventa l’unica possibile bandiera per unificare obiettivi e strategie, senza privilegiare una cultura piuttosto che un’altra, nel rispetto della diversità di ognuna.
Viva l’insicurezza!
Napoli, 8 giugno 2020