Pentecoste. Il dono dello Spirito Santo
Pentecoste. Il dono dello Spirito Santo
di frate Valentino Parente
La Pentecoste è una festa difficile.
Ma non perché lo Spirito Santo,
anche per molti battezzati e cresimati,
è un illustre sconosciuto.
È difficile perché provoca l’uomo
a liberarsi dai suoi complessi.
Su questa mia Chiesa,
amata e infedele,
viene la sua passione mai arresa,
la sua energia imprudente e bellissima.
Anno A – 31 maggio 2020 – Pentecoste.Atti 2, 1-11 Vangelo di Giovanni 20, 19-23
La prima lettura della Messa di oggi, comincia con queste parole: “Mentre stava compiendosi il giorno della Pentecoste…”.
Se la Pentecoste è una festa cristiana che ricorda il dono dello Spirito Santo, come faceva l’autore degli Atti degli Apostoli a parlare già allora di pentecoste?
La risposta è molto semplice: la festa della pentecoste era una festa che gli ebrei celebravano da sempre, ovviamente non aveva per oggetto lo Spirito Santo.
La pentecoste era una delle tre grandi feste ebraiche.
Molti israeliti in questi giorni salivano a Gerusalemme per adorare Dio nel Tempio.
Motivo per cui, al momento della discesa dello Spirito Santo, si trovano a Gerusalemme, “giudei osservanti, di ogni nazione che è sotto il cielo” (At 2,5).
L’origine della festa risaliva ad una antichissima celebrazione nella quale si ringraziava Dio per il raccolto, ormai imminente.
Più tardi, al ringraziamento, si aggiunse la commemorazione della promulgazione della Legge, consegnata da Dio sul monte Sinai, stipulando un contratto, un’Alleanza con il popolo di Israele.
Gli ebrei festeggiavano la pentecoste cinquanta giorni dopo la Pasqua.
La chiamavano anche festa delle settimane, perché si celebrava sette settimane dopo la Pasqua.
Sette è un numero fortemente simbolico e indica pienezza.
7×7 dice la totalità.
Dopo il 49esimo giorno viene il 50esimo.
In greco pentecosté, vuol dire appunto cinquantesimo (giorno).
Durante una festa di pentecoste, in cui si ricordava l’antica Alleanza, avvenne qualcosa di singolare nella piccola, nascente, comunità cristiana: si manifesta lo Spirito del Cristo risorto che scende sugli apostoli, insediandosi su ciascuno di loro.
Lo racconta Luca all’inizio degli Atti degli Apostoli: “Mentre stava compiendosi il giorno della Pentecoste”, cioè arrivati al 50esimo giorno della grande festa di Pasqua, (i discepoli) “si trovavano tutti insieme nello stesso luogo. Venne all’improvviso dal cielo un fragore, quasi un vento che si abbatte impetuoso, e riempì tutta la casa dove stavano”.
I fenomeni che accompagnano la discesa dello Spirito Santo, richiamano quegli stessi che accompagnavano le teofanie dell’Antico Testamento.
Esse erano le manifestazioni di Dio, come quella che c’era stata sul monte Sinai, o quelle che accompagnavano il popolo durante l’esodo nel deserto: vento, tuono, fuoco, nube…
Sono tutte manifestazioni visibili, dell’onnipotenza di Dio.
“Apparvero loro lingue come di fuoco, che si dividevano, e si posarono su ciascuno di loro e tutti furono colmati di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, nel modo in cui lo Spirito dava loro il potere di esprimersi”.
Lo Spirito assume forma di lingue di fuoco: la lingua richiama il parlare, la parola.
Il fuoco ha una valenza simbolica grandiosa, come luce, calore, energia.
La pentecoste è racchiusa tutta qui, in questi poche righe: tutti furono colmati di Spirito Santo.
Ma che significa che furono colmati di Spirito santo?
Chiediamoci anzitutto cos’è lo Spirito Santo.
La risposta più immediata: esso è Amore, è l’Amore che scorre tra il Padre e il Figlio, una fiamma d’amore che avvolge il Padre e il Figlio.
Dire che tutti furono pieni di Spirito Santo significa che tutti furono pieni dell’amore di Dio.
Gli apostoli fecero una esperienza travolgente di essere amati da Dio.
La conseguenza è immediata: la paura, il timore, il dubbio, che fin’ora aveva dominato il cuore degli apostoli, lascia il posto al coraggio.
Cominciano ad annunciare apertamente che Gesù è il Figlio di Dio.
Ed è talmente travolgente questo amore che tutti li sentono parlare nella loro lingua delle meraviglie operate da Dio.
Non che lo Spirito insegni effettivamente le lingue straniere, ma permette agli stranieri di capire l’annuncio evangelico.
Il miracolo della Pentecoste avviene, per così dire, nelle orecchie degli ascoltatori, più che nella bocca degli apostoli. Loro parlano la loro lingua, ma tutti quei giudei provenienti da molte regioni sparse in tutto il mondo, li sentono parlare nella propria lingua “le grandi opere di Dio”.
La cosa strana è che questo parlare in lingue nuove e diverse, anziché generare confusione, come sarebbe stato ovvio, crea al contrario una mirabile intesa e unità.
C’erano presenti persone “di ogni nazione che è sotto il cielo» (Parti, Medi, Elamiti…) e ciascuno il sentiva parlare la propria lingua”.
Il pensiero corre, per contrasto, a Babele, secondo la celebre narrazione di Genesi 11, ove “l’uno non comprendeva più la lingua dell’altro».
A Babele tutti parlano la stessa lingua e, a un certo punto, nessuno più capisce l’altro, nasce la confusione delle lingue.
A Pentecoste, ognuno parla una lingua diversa e tutti si capiscono. Come mai?
Andiamo ad osservare più da vicino di cosa parlano i costruttori di Babele e di che cosa parlano invece gli apostoli a Pentecoste.
I primi si dicono tra loro: “Venite, Costruiamoci un’altare e una torre, la cui cima tocchi il cielo e facciamoci un nome per non disperderci su tutta la terra” (Genesi 11,4).
Questi uomini sono animati da volontà di potenza, vogliono “farsi un nome”, ricercano la loro gloria, più che quella di Dio.
A Pentecoste, gli apostoli proclamano invece “le grandi opere di Dio”.
Non pensano a farsi un nome, ma a farlo a Dio; non cercano la loro affermazione personale, ma quella di Dio.
Per questo tutti li comprendono.
Dio è tornato a essere al centro della vita degli uomini, la legge dell’egoismo è sostituita dalla legge dell’amore.
Babele e Pentecoste sono due cantieri sempre aperti, ancora oggi, e lo saranno fino alla fine dei tempi. E ognuno di noi deve scegliere in quale cantiere… lavorare!
È Babele dovunque c’è egoismo e manipolazione dell’altro.
È Pentecoste dovunque c’è amore e rispetto.
Napoli, 29 maggio 2020