da MicroMega: Corte di Giustizia Europea: “La Chiesa può e deve pagare l’Ici”
Corte di Giustizia Europea: “La Chiesa può e deve pagare l’Ici”
di Maria Mantello
La Corte di Giustizia dell’Unione Europea, preposta a garantire la corretta interpretazione e applicazione del diritto europeo da parte dei paesi membri e delle istituzioni dell’U.E., il 6 novembre 2018 ha notificato il dispositivo della sentenza per cui lo Stato italiano deve trovare il modo di recuperare l’Ici non versata dalla Chiesa per le sue attività commerciali.
La Corte azzera quindi la Decisione della Commissione europea del 19 dicembre 2012 (confermata in appello dal Tribunale dell’Unione) che aveva riconosciuto al nostro paese il principio del diritto europeo della «assoluta impossibilità» («ad impossibilia nemo tenetur») a calcolare quell’imposta, trascurando però di verificarne l’effettiva fondatezza.
La sentenza della Corte, denuncia l’anomalia della Decisione del 2012, sottolineandone anche la sua intrinseca contraddittorietà.
Se, infatti, da un lato la Commissione dichiarava l’Italia colpevole di illegale aiuto di Stato pro Vaticano e pertanto ordinava il recupero del gettito fiscale evaso, dall’altro la assolveva dal farlo sulla base di insufficienti giustificazioni accampate, ma accreditate come «assoluta impossibilità».
«La Corte – recita la sentenza – ricorda che l’adozione dell’ordine di recupero di un aiuto illegale è la logica e normale conseguenza dell’accertamento della sua illegalità. È pur vero che la Commissione non può imporre il recupero dell’aiuto qualora ciò sia in contrasto con un principio generale del diritto dell’Unione, come quello secondo cui «ad impossibilia nemo tenetur» («nessuno è tenuto all’impossibile»)», ma «un recupero di aiuti illegali può essere considerato, in maniera obiettiva e assoluta, impossibile da realizzare unicamente quando la Commissione accerti, dopo un esame minuzioso, che sono soddisfatte due condizioni, vale a dire, da un lato, l’esistenza delle difficoltà addotte dallo Stato membro interessato e, dall’altro, l’assenza di modalità alternative di recupero».
Al contrario, la Commissione aveva stabilito «l’impossibilità assoluta di recuperare gli aiuti illegali limitandosi a rilevare che era impossibile ottenere le informazioni necessarie per il recupero di tali aiuti attraverso le banche dati catastali e fiscali italiane».
Rinunciando quindi ad analisi puntuali per verificare l’esistenza di altre possibilità e modalità d’intervento, la Corte di Giustizia dell’Unione, sentenzia che «la Commissione non ha dimostrato l’impossibilità assoluta di recupero dell’ICI. Per tale ragione, la Corte annulla la sentenza del Tribunale nella parte in cui esso ha convalidato la decisione della Commissione di non ordinare il recupero dell’aiuto illegale concesso con l’esenzione dall’ICI e annulla, di conseguenza, la decisione della Commissione».
È interessante evidenziare come il testo della decisione della Commissione annullata dalla Corte di Giustizia, dedichi pagine e pagine ad argomentare l’illegittimo favoritismo, stabilendo ad esempio che «l’esenzione dall’ICI ha apportato agli enti interessati un vantaggio economico rispetto ad altre imprese che non hanno potuto beneficiare di tali agevolazioni fiscali». E ancora «che l’esenzione può essere garantita soltanto se non vengono svolte attività commerciali». E che non possono essere considerate tali «le situazioni ibride create dalla normativa ICI, in base alla quale, in alcuni immobili che beneficiavano di esenzioni fiscali, si svolgevano attività di natura commerciale».
E via dicendo con un rigore ammirabile. Per poi liquidare la questione in poche righe di accettazione della scappatoia addotta dal governo italiano dell’«assoluta impossibilità di poter definire, sia quali immobili appartenenti agli enti non commerciali erano destinati all’esercizio di attività non aventi esclusivamente natura commerciale, sia recuperare le informazioni necessarie per determinare l’importo dell’imposta che avrebbe dovuto essere versato».
Esercizi di stile? O piuttosto il tentativo di calare il sipario su una vicenda tanto annosa, quando scandalosa?
Nel 2012, al governo c’era Monti. Il super tecnico del super governo tecnico, cui non sarebbe stato certo difficile procedere al calcolo dei mq. di immobili destinati al profit per far pagare i balzelli dovuti, se gli intenti – al contrario – non fossero stati squisitamente politici nel trovare espedienti per non scontentare la Sede santa! Col risultato di ingarbugliare ancora di più la questione in modo da rendere impossibile che nei palazzi del profit clericale (scuole, ospedali, agenzie turistiche, assicurative, sportive, ecc.) potessero mai entrare gli esattori d’imposta.
A impedirlo per primo fu Berlusconi, che stoppando la sentenza della Cassazione del 2005 con cui si intimava il pagamento di questa benedetta Ici, sfacciatamente estendeva l’esonero dal pagarla anche agli «immobili utilizzati per le attività di assistenza e beneficenza, istruzione, educazione e cultura… pur svolte in forma commerciale se connesse a finalità di religione o di culto».
Un timido tentativo per eliminare lo scandaloso privilegio sembrava dovesse arrivare dal governo Prodi nel 2007, che però, di fronte alle bipartisan alleanze catto-parlamentari, introdusse la famigerata formula del «non esclusivamente commerciale». Un’autostrada al già esistente favoritismo pro Vaticano. E la provvidenziale formuletta non convinse neppure la Corte Europea a cui già dal 2006, per merito del Partito Radicale (fondamentale l’impegno di Maurizio Turco), era stata sottoposta la questione dell’«indebito aiuto».
Sotto la minaccia di milionarie multe e sanzioni sancite dalla Magistratura europea, se non si fosse rimosso quell’illecito entro il 2012, l’ingegno dei politici chierichetti divenne ancora più vulcanico nello sfornare espedienti.
Ed ecco che il supertecnico Monti, che appena salito al Governo aveva dichiarato: «verrà riesaminato l’intero peso del prelievo sugli immobili e l’ICI», sfornava il decreto n° 200 del 19 novembre 2012, che sarebbe dovuto servire a chiarire come distinguere le aree no profit da quelle profit da assoggettare all’imposta immobiliare, ma che si guardava bene dal farlo, propinando la moltiplicazione degli equivoci nella “santa” mescolanza di incroci indistricabili di aree calpestabili dove convivevano culto e guadagno.
In quel decreto 200/2012 di soppiatto entrava il famigerato art. 91 bis (presentato ritirato bocciato dal Consiglio di Stato, e aggiustato adesso alla bisogna) che si occupava delle «unità immobiliari ad utilizzazione mista» premurandosi di inserire quelle due paroline: «se identificabile», per fornire l’alibi dell’indistinguibilità tra sezioni di culto e di affari.
Ecco il passo dell’art.2: «Qualora l’unità immobiliare abbia un’utilizzazione mista, l’esenzione si applica solo alla frazione di unità nella quale si svolge l’attività di natura non commerciale, se identificabile attraverso l’individuazione degli immobili o porzioni di immobili adibiti esclusivamente a tale attività».
A dicembre di quello stesso 2012 arrivava la decisione sull’impossibilità assoluta che la Corte di giustizia ha annullato.
E si potrebbe pensare: Punto e a capo. Ma così non è, visto che dovremo aspettare, oltre alla “ridefinizione” che della materia dovrà dare la Commissione europea, anche e soprattutto un qualche decreto dello Stato italiano per far sì che finalmente si proceda alla riscossione delle quote Ici-Imu pregresse e future.
Non ha dichiarato forse il governo giallo-verde che l’evasione fiscale sarà eliminata. E per tutti?
Ce lo auguriamo. Sarebbe davvero un reale cambiamento di rotta.
17 novembre 2018