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Tre Livelli di Cambiamento
di Don Giulio Cirignano

      Allora è giunto il momento di farne essenziale, anche se iniziale indicazione. Si possono indicare tre livelli di cambiamento, oltre quanto abbiamo già indicato. Sono tre concrete prospettive di vita. Molto facili a dirsi, assai più complesse a realizzarsi. Dobbiamo confidare nel Signore poiché nessuna di esse può essere realizzata senza il suo aiuto ed il coinvolgimento di ogni membro del popolo di Dio. Ribadiamo e precisiamo pensieri già detti, nella speranza che serva. Prima una considerazione di fondamentale importanza.

       Ogni membro del popolo di Dio o il popolo di Dio nella sua interezza è il soggetto primo della evangelizzazione. Il che vuol dire due cose. La prima è che occorre considerare concluso il tempo del ministro ordinato come monarca. Tutto deve ruotare intorno a lui. Modello, purtroppo ancora assai diffuso che nella realtà si riduce al piccolo gruppo di persone che condivide con lui l’illusione di governare la vita della comunità. Papa Francesco ha ben descritto questa deriva parlando della parrocchia che per essere valida “ suppone che realmente stia in contatto con le famiglie e con la vita del popolo e non diventi una struttura prolissaseparatadalla gente o un gruppo di eletti che guardano a se stessi” (Ev.G. n28).

      La seconda: il popolo di Dio deve ribellarsi al livello spesso sciatto delle prestazioni religiose: omelie improvvisate, momenti sacramentali privi della convinta forza della Parola, percorsi catechistici senza vita, assenza di obiettivi concreti della vita comunitaria, mancanza di sapiente progettualità e coì via. Per fortuna non dappertutto è così. Assai diffusa, tuttavia sono la subalternità del laicato e l’atteggiamento di passività. Gli organismi di sinodalità vivacchiano senza autorevolezza, senza umile disponibilità alla comunione. Il cambiamento,ripetiamolo, passa attraverso la condivisa responsabilità di ogni battezzato. Ora possiamo riprendere il discorso dei livelli di cambiamento.

     Il primo livello di cui abbiamo già parlato è quello che abbiamo definito dalla sacramentalizzazione alla formazione. Riteniamo questo passaggio di fondamentale importanza in ragione del momento che stiamo attraversando. Per chiarezza diciamo subito che affermiamo questo non perché i sacramenti non siano importanti. Al contrario, proprio perché lo sono non è saggezza continuare a conferirli senza provvedere loro solida base formativa su cui posare.

      L’analfabetismo si vince solo con adeguata formazione. In poche parole: meno pratica, più consapevolezza.Formazione come percorso per consentire di godere della bellezza della Parola di Dio e della dignità dell’esperienza di fede. Meno sbrigative devozioni, più contemplazione. Meno richieste a Dio, più gratitudine. Meno feste, più gioia.

      Sarebbe tragico equivoco pensare a questo primo livello come deriva intellettualistica. Niente intellettualismo. Siamo convinti che con pazienza anche le pagine più complesse della Sacra Bibbia come le più profonde verità di fede possono essere pane quotidiano, nutrimento vero anche per le persone più normali. L’intimità con Gesù non ha bisogno di diplomi. Ha bisogno di pedagogia piena d’amore e condivisione. Spesso la suntuosa esteriorità dei riti è povera di vita. Tuttavia, il pensiero che lo Spirito Santo compie le sue mirabili storie quando vuole e come vuole non ci dispensa dalla fatica della formazione.

      Mi colpisce molto il disagio di persone buone e fedeli davanti al discorso del cambiamento. Forse sono solo spaventate. E’ opportuno comprendere il perché e forse una ragione può essere che per anni hanno seguito percorsi formativi buoni, ma con poca capacità di cogliere il complesso volgere del tempo, fermi, per cosi dire, ad un livello di approfondimento teologico biblico elementare. I soliti buoni discorsi, magari fatti con diversa vivacità a secondo delle qualità personali, ma tuttavia con le stesse esortazioni, il solito scarso nutrimento privodel sapore della Parola, il consueto livello di esperienza religiosa che faceva sentire, sostanzialmente, a posto. In presenza di un discorso religioso più serio, più vero perché più in sintonia con la coraggiosa lezione del Concilio e delle sue numerose provocazioni tali persone osservano da vicino le loro lacune, la loro povertà, si sentono sole, lontano dalla bellezza entusiasmante della proposta evangelica, gettate in una avventura astratta, troppo generica, con l’amara sensazione di ricominciare da capo.

       Occorre avere rispetto di queste situazioni personali,ma ciò non è un buon motivo per tacere. Insieme, deboli e forti direbbe San Paolo, dobbiamo scoprire i contorni precisi del progetto divino che ci muove. L’aspetto democratico di questo camminare insieme mi entusiasma. In fondo si tratta di ritrovare il passo della vera fraternità, per la quale nessuno è un arrivato, ma dove tutti sono cercatori di senso. Ma su questo punto occorre essere precisi. La pietà personale è cosa preziosissima. Non si discute. Ma occorre comprendere che oggi non basta più. In presenza di un cambiamento così profondo come quello che stiamo vivendo occorre che si coordini con la lucida coscienza del coinvolgimento collettivo verso il futuro. E’ la chiamata profetica a rendere contemporaneo il Vangelo.

      Secondo livello di cambiamento: anche riguardo a ciò abbiamo già detto qualcosa. Possiamo indicarlo sinteticamente, dalla cura della pietà individuale all’ascolto della vocazione messianica e profetica. La pietà individuale è lascito della cultura della Controriforma, la vocazione profetica è consegna del Concilio. Quanto è stata coltivata, studiata, amata?

      Ogni battezzato, in quanto tale, è portatore di vocazione regale, sacerdotale e profetica. Che vuol dire? Quanti cristiani adulti, devoti e praticanti, sono in grado di spiegare questa connotazione fondamentale del loro essere discepoli? In mancanza di ciò, ogni discorso di cambiamento rischia di rimanere lettera morta.

      La vocazione profetica, in particolare, è invito a farsi trasparenza del Vangelo nei molteplici ambiti della vita quotidiana. Il vocabolo, come è noto, non indica la capacità di prevedere il futuro. Il cristiano non è un indovino. Profeta è colui che parla a nome di una altro, in questo caso a nome di Dio e di Gesù. Parlare ma non solo a parole, soprattutto con la vita. Con tutto il suo essere racconta chi è Gesù e cosa è il Vangelo. Proviamo a pensare per un momento alla bellezza di mettere in scena, nei rapporti quotidiani, la premura, la tenerezza, la affabile gentilezza di tendere la mano, di volgere lo sguardo ricco di fiducia e stima, di dire parole che consolano.

       Pensiamo per un breve istante al luminoso orizzonte delle beatitudini come traccia per i nostri giorni spesso faticosi e preoccupati. Difficile segreto della felicità, difficile, anzi impossibile se l ‘avessimo progettato noi. Lo ha indicato Gesù.Adottiamo la preghiera del Padre nostro come farmaco di comunione e fraternità. E’ padre nostro: di Gesù, di ognuno di noi, di ogni uomo che soffre e spera, di ogni persona bisognosa di comunione.

      La vocazione messianica e profetica coincidono: è la sequela tradotta in vita. La devozione individuale si inchina e cede il passo a questa esaltante proposta, in cui fede e vita vanno a braccetto. Spesso, purtroppo, la devozione individuale si incontra con parsimonia con il vivere quotidiano. Spesso, l’ ”ite missa est”, è congedo dalla vita che resta sola, impigliata nella intricata matassa delle faccende e degli affanni quotidiani.Nella vocazione regale, sacerdotale e profetica, in realtà, sta tutta la dignità della redenzione.

        Il terzo livello di cambiamento, lo formuliamo in maniera sintetica e un po’ enigmatica: dalla conformità alla alternatività. Intrigante livello. San Paolo ci aiuta: ”Non conformatevi alla mentalità di questo secolo (mondo), ma trasformatevi rinnovando la vostra mente” (Rom.12,2). Conformarsi alla mentalità mondana è la perenne tentazione, trasformarsi rinnovando la mente è la scommessa di ogni giorno.Abbiamo dunque a che fare con quella specie di collasso della intelligenza che è il conformismo e con la ricchezza della alternatività. I due termini descrivono lo spazio di un cambiamento fortemente suggestivo.

       Conformi, cioè passivi seguaci di luoghi comuni, ‘signor sì’desiderosi più di comodità che di verità, persone che hanno perso il fascino del pensare critico prezioso non tanto per obbedire al gusto della diversità ma per offrire il servizio della amicizia vera. Come fuscello nella corrente di un fiume il conformista ha l’illusione della libertà, non conosce il gusto della novità, pensa di essere vivo perché può immergersi anche in molto rumore ma, in realtà, è solo sepolto in una specie di letargo dell’anima.

       Il testimone di alternatività, invece, è curioso innamorato della vita, non teme la complessità, il Vangelo e solo il Vangelo è la sua bussola, la ricerca il suo stile, la premura per la propria e altrui realizzazione la sua passione.

    Alternatività è vittoria del bene sulla banalità dell’egoismo, come nel Figlio dell’uomo è ansia di salvezza, ricerca di comunione, condivisione di futuro degno dell’uomo. L’alternatività rifiuta l’accattonaggio della qualità della vita, si fa coraggiosa cercatrice di solidarietà, di coraggio e speranza.

     Dunque tre ambiti di cambiamento da trasformare in vita, giorno dopo giorno. La conversione individuale diventa sangue per il cambiamento comunitario, energia ed ossigeno per un percorso in salita ma sorretto dal vento di Dio. E non è lecito disperare.

Napoli, 20 giugno 2018