Tanto per Cambiare, Cambiare Verso, Adesso
Tanto per Cambiare, Cambiare Verso, Adesso
di Luigi Antonio Gambuti
“Che io possa avere la pazienza di accettare le cose che non si possono cambiare; la forza di cambiare quelle che possono essere cambiate, ma, soprattutto, l’intelligenza di saper distinguere le une dalle altre.”
Leggevo queste parole facenti parte di una preghiera ispirata ai principi del manuale di Epitteto e riflettevo sull’uso del verbo cambiare tanto in voga in questi tempi e tanto coniugato dal presidente Quattrovolteventi.
Ne ha fatto un mantra; ci si nutre abbondantemente per sostanziare la bulimia di annuncite che lo possiede e per tenere alta, e questa è la strategia vincente del suo costume politico, l’attenzione di coloro i quali si trovano ad essere i destinatari istituzionali delle sue iniziative.
Cambiare, cambiare verso e, quel che più conta, cambaire adesso, sono le note delle sue straordinarie omelie narrative.
Anche mettendo mano a quelle cose che non si possono cambiare, dimostrando di saper praticare “l’intelligenza di saper distinguere le une dalle altre”, come sopra riportato.
Lo slogan lo si legge sul manifesto di indizione delle primarie che si terranno domani, con la non troppo modesta ambizione di inaugurare un nuovo corso della politica che fa capo al Partito Democratico della Regione.
La dove non si è riusciti a mettersi d’accordo, sì da presentarsi l’uno conto l’altro armato, portatori di logiche antiche mai cassettizzate e di interessi personali di facile lettura.
Cambiare si può, cambiare si deve, non si discute. Anche per convalidare il metodo renziano che senza freni sta rovistando nei cassetti della pubblica amministrazione e negli ambulacri dei poteri costituzionalmente costituiti per fare pulizia di fascicoli ammuffiti e pompare aria nuova nei cieli del paese.
E qui ci siamo. Lo sta facendo e lo sta facendo bene il capo del Governo che è anche capo del partito di riferimento e tutti siamo chiamati a “cambiare, cambiare verso” per cambiare lo cose che non vanno e al loro posto implementare il nuovo, quel cambiamento che dovrebbe rappresentare l’avvio di una rinascita, non solo virtuale, delle sorti degli Italiani.
Dovrebbe, perché ciò che è successo per le primarie regionali non può passare inosservato per le modalità con le quali si è giunti all’appuntamento di domenica prossima ventura.
A meno che non si cambi all’ultima ora, tanto per cambiare -sai che sfizio- in questo scorcio di settimana.
Per la vicenda non si sono risparmiati metodi e sistemi in uso alle vecchie consorterie per mettere in campo un candidato che potesse rappresentare quantomeno le istanze più pressanti provenienti dalla base elettorale; non si sono fatti mancare colpi bassi e meno bassi per legittimarsi e delegittimare; non si è cercato, specialmente coi tempi correnti, di dare e/o ridare dignità ad un ruolo sociale, quello politico, macchiato fortemente in questi ultimi anni.
Si dirà, è la democrazia, bello. Si dirà, è il pluralismo, caro. D’accordo.
Ma che democrazia è, che pluralismo è, che credibilità potrà mai rappresentare un coacervo di interessi particolari, un groviglio di rapporti, una sentina di antiche e recenti compromissioni?
Cosa muove, cosa dovrebbe smuovere gli elettori del partito democratico chiamati a votare un nome e non un altro, se l’uno e l’altro alla fine del cammino dovranno ricollocarsi nelle stesse dimensioni di partenza dalle quali si sono differenziati nel corso della competizione?
Si fa peccato a parlare di poltrone, di posizioni di potere e di altre faccende tendenti a garantirsi un futuro “istituzionale”?
Che hanno da dire, per fare differenza e, quindi, per cambiare ; che hanno da proporre , provenienti dalla stessa cultura di appartenenza i signori delle tessere, per chiedere il consenso sul proprio cavallo di battaglia?
A meno che non si voglia riproporre lo stato nubilare dei soggetti costitutivi del partito e far passare ideologie, usi e costumi che nel matrimonio non del tutto felicemente consumato avrebbero dovuto assemblare e vivere come viatico di un unico destino familiare.
Cosa chiederanno di “diverso” i segnali dei vari capicorrente di partito in merito alle sorti di una realtà regionale complessa, a tratti malata, sempre in attesa di un medico capace di sanarne le ferite?
Se a destra e a destra –centro (sono nati i ricostruttori di che cosa si capisce, da quelle parti) tendono ad accoppiarsi per garantire la continuità dell’esperienza caldoriana e mantenere saldo il potere nelle mani, da questa parte come verranno a sintesi le aspettative dei vari dalemiani, lettiani, fioroniani, popolari, dem. pittelliani e renziani, tanto per citare quelli che fanno capo a nomi di livello nazionale?
Su quale cristo di candidato andranno a calare i consensi per tenere unito il partito che gode a farsi male, se non ci riesce, si sente fraudolentemente defraudato?
Tanto per cambiare, o cambiare verso, Adesso.
Questo è il problema.
Staremo a vedere se la data resterà immutata (la cinquina manterrà?), cosa saranno capaci di fare nelle prossime ore.
Nell’attesa, godiamoci l’altra lenzuolata di cambiamenti che Renzi ha sciorinato al poco sole di questo lembo di stagione.
E’arrivata alle porte della discussione parlamentare la riforma della scuola, quella che vuole realizzare una “buona scuola” per sostituire, si capisce, quella “cattiva” che attualmente governa il destino formativo delle giovani generazioni. Ci sarebbe da scrivere un trattato per mettere in luce tutti i punti controversi di questa ulteriore proposta di cambiamento.
Nel settore, tormentato per troppi anni da troppe riforme – è diventato il campo di Agramante di politici sprovveduti e supponenti- tira aria di sconcerto.
C’è chi plaude e chi dispera; c’è chi s’aspetta il nuovo(?) e chi mantiene il vecchio; c’è subbuglio e indifferenza. Sentimenti antichi, corroborati da antiche e prossime esperienze, indotte da una dissennata politica riformista che negli ultimi trent’anni ha devastato il settore.
C’è quell’atmosfera dell’avvento che sollecita gli arrangiatori di giornata, i cacciatori di prebende e gli impostori di mestiere che mai sono mancati nelle fasi cruciali di un cambiamento di sistema.
La scuola è, o dovrebbe, essere considerata una cosa seria, come persone serie dovrebbero essere considerate i suoi operatori. Non si scherza con gli ammiccamenti, con le percentuali di merito e coi problemi di vecchiaia; non si lanciano nel campo già affollato figure senza senso -cosa mai sarebbe il docente fuoriaula?- ; non si distraggono compiti delicati per faccende che niente hanno a che vedere col rapporto formativo; non si danno poteri a chi non ha -non avrebbe- competenze per agire e non si alimentano illusioni per coloro i quali sono stati più volte disillusi. Non si scherza col futuro del Paese, mettendo a rischio la formazione delle giovani generazioni. Pur di cambiare ,cambiare verso, adesso, si mettono in campo cose “nuove”che minano dalle fondamenta le strutture portanti della convivenza civile.
E’da ieri in vigore la legge sulla responsabilità civile dei magistrati -il pallino del Cavaliere- che ha fatto scatenare il risentimento di una categoria già paralizzata dalla ristrutturazione, ridimensionamento dei presidi territoriali, per realizzare nel settore il contenimento della spesa.
Da lunedì nasceranno i primi effetti scaturiti dalla riforma del lavoro.
Una riforma tanto decantata; discussa e contestata, fatta oggetto di critiche, tante, e di apprezzamenti, pochi.
Senza entrare nel merito, poniamo una sola domanda al nostro paziente lettore.
E’forse un caso che la riforma del lavoro piaccia tanto agli imprenditori e poco ai sindacati rappresentanti dei lavoratori?
Diamoci una risposta, pacatamente, e valutiamo se è una riforma di destra o di sinistra, portata a compimento da un presidente del consiglio che dalla sinistra proviene e della sinistra si mantiene.
Cambiare, cambiare verso, anche quelle cose che potrebbero restare. S’è scassato il Senato e chissà cosa verrà al posto suo; sono state distrutte le Province, lanciando sul campo le Città Metropolitane che come l’araba fenice, tutti sanno che c’è ma nessuno sa dove..
Lo sanno perfettamente i dipendenti delle Amministrazioni Provinciali che per due anni dovranno essere ricollocati, riconvertiti e, se non inquadrati, inopinatamente licenziati.
Tanto per cambiare, cambiare verso, adesso.
Rifatta la legge elettorale; rinviata la querelle della magica manina; scombussolato il settore delle banche popolari; aggrediti i capitali fuoriusciti; sconvolti gli apparati delle professioni; si è prossimi alla riforma della RAI. E di quant’altro ancora.
Ritornando all’incipit di questa riflessione.
S’è messa in campo l’intelligenza di saper distinguere ,nella foga giovanile del rottamatore toscano, le cose che si possono da quelle che non si possono cambiare?
Tanto per cambiare, cambiare verso, adesso.
Napoli, 1 marzo 2015