mar 26 NOVEMBRE 2024 ore 04.55
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Ricordiamo Pasolini
di Elvira Brunetti

Ci sono mostre, esposizioni (era anche pittore) dei suoi scritti nelle grandi città Bologna, luogo di nascita, Milano e Roma nei vari musei. Ma è a Los Angeles all’Academy del cinema che si potranno vedere tutti i suoi film. Dante Ferretti, il suo scenografo, più volte premio oscar, è lì a presenziare la cerimonia di apertura.

Pier Paolo Pasolini si è sentito solo tutta la vita.

E’ stato un uomo libero, da ogni etichetta ed un critico severo.

E’ stato un uomo vero, intendendo con ciò di testa e di corpo. Un cervellone sempre impegnato nell’osservare la realtà. Dacia Maraini diceva che a Sabaudia dove Pier Paolo aveva una villa con Elsa Morante e Moravia, lo vedeva solo la mattina presto per una nuotata e dopo tutta la giornata a lavorare intensamente.

Il corpo era centrale nella sua attenzione. Non dobbiamo mortificarlo negando o nascondendo i suoi bisogni.

E’ stato incompreso. Diceva: “La morte non è nel non poter comunicare, ma nel non essere compresi”.

Solo oggi caduti tutti i tabù se ne parla apertamente come di un GRANDE. Ci vuole sempre la distanza per vedere meglio, perché noi siamo miopi.

E’ stato un profeta, sapeva che il futuro gli avrebbe dato visibilità. Robinson inserto settimanale speciale di Repubblica gli ha dedicato 40 pagine, nemmeno Dante Alighieri ne ha avute tante.

Nato a Casarsa nel Friuli. Il padre era un militare e con lui la famiglia cambiò sempre casa. Questa cosa gli resterà, perfino a Roma, dove trascorre più tempo della sua vita, dal ghetto ebraico alle borgate della Tiburtina e Tuscolana fino nei pressi di Rebibbia, dove c’è una targa che lo ricorda. L’ultima dimora è la Torre di Chia, nel viterbese. Una costruzione medievale stretta e alta, dove si nota una stanza con pareti tutte di vetro. E lui immerso nella natura con lo sguardo verso le querce. Il padre era fascista e con lui non ebbe mai un buon rapporto. La madre era un insegnante elementare e fu sempre molto amata dal figlio.
Pasolini aveva una vitalità disperata e l’urgenza di comunicare. Lo fece prima attraverso le parole: articoli, romanzi, saggi come “Scritti Corsari” e corsaro, cioè controcorrente, lo fu sempre. Ma le poesie sono state il suo punto forte dalle “Ceneri di Gramsci” in cui immagina nel cimitero degli Inglesi a Roma, di parlare al fondatore del partito comunista italiano morto in carcere dopo anni di detenzione fascista.

“La religione del mio tempo” con dedica ad Elsa Morante della quale aveva stroncato “La storia”ma restò una sua grande amica. Con lei e Moravia viaggiò in Africa e in India. Due Paesi che gli diedero molto. Un testo “L’odore dell’India” e i canti dell’Africa centrale che oltre la musica di Bach introduce nel corto “La Ricotta”.Qui addirittura ricorre al suo maestro Roberto Longhi della facoltà di Lettere, quando si laureò a Bologna. E memore del suo insegnamento, la visione della Deposizione di Cristo è proprio un quadro del manierista Rosso Fiorentino. Educato allo sguardo del famoso storico dell’arte in quasi tutti i suoi film s’incontrano particolari nell’abbigliamento o scene improvvisamente a colori nelle sue trame tutte in bianco e nero, per illuminare e significare l’avvenimento.

Pasolini si diceva comunista, cattolico e omosessuale dichiarato, in un periodo in cui tutte e tre le affermazioni scottavano. Dal partito comunista fu cacciato per atti osceni quando faceva l’insegnante in Friuli e con la madre venne a Roma. Criticò in seguito il partito perché si era allontanato dal Marxismo. Nel Film “Uccellacci uccellini” con Totò e Ninetto Davoli un padre e un figlio s’incamminano per un viaggio e incontrano un corvo parlante, che da buon saggio parla della crisi delle ideologie a due persone semplici e ignoranti, che alla fine stanchi di sentirlo, lo uccidono e se lo mangiano. E’ un film triste del 1966, due anni prima c’era stato il funerale di Togliatti e Pasolini non spera più.

Negli anni Sessanta, credendo insufficienti le parole, Pasolini ricorre alle immagini ed ecco che quasi ogni anno realizza un film. La sua filmografia segue la sua produzione letteraria. Il tema centrale è sempre la vita delle borgate romane dove si consuma una gioventù sfruttata senza alcuna redenzione.

Il primo film è “Accattone” poi nel ’62 Anna Magnani è “Mamma Roma” una prostituta che fa di tutto per nascondere al figlio il suo lavoro, ma poi lui scopre la verità e incomincia a delinquere, viene arrestato per il furto di una radiolina e muore in carcere.
Nel ’60 Fellini gira “La dolce vita” e Pasolini quasi in contrapposizione gira due film che invece gridano vendetta per le terribili condizioni di vita dei “Ragazzi di vita”, il suo scritto degli anni precedenti. “Di che è la colpa?” dice mamma Roma più volte nel film. Il neocapitalismo con il boom economico ha creato dei falsi bisogni, alimentando il consumismo sfrenato, abbandonando i derelitti al loro destino.

Nel ’68 esce “Teorema” con la bellissima Silvana Mangano. Una famiglia borghese riceve la visita di uno strano personaggio, un giovane (Terence Stamp) di 25 anni, che scombussola la vita dei singoli. Alla fine del suo soggiorno, quando si allontana, i componenti si ritrovano spaesati. Il padre cede la fabbrica, la figlia incomincia ad avere relazioni sessuali con molti uomini.
E qui entriamo in contatto per la prima volta con il perturbante presente in molte altre situazioni pasoliniane. Il perturbante, analizzato anche da Freud, è ciò di cui si è persa la familiarità e che improvvisamente ci turba perché l’abbiamo rimosso. Per Pasolini è il messianico, il sacro.

Quando Medea uccide i suoi figli, compiendo quindi un atto estremo, lo fa per vendicarsi di Giasone che l’aveva tradita con Glauce. La sua azione mira a cancellare per sempre la progenie di un uomo che aveva dissacrato il sacro vincolo del matrimonio. Nell’altro film “Edipo re”,ugualmente, quando il fato avverso distrugge i sentimenti umani la tragedia sfocia nel sangue.

Un film autobiografico, una interrogazione continua sul significato dell’esistenza, l’onestà e il coraggio dell’azione umana, fallimentare in fin dei conti alla fine. Pasolini di sicuro conosceva Georges Bataille, per il quale due sono i tabù dell’essere umano: il sesso e la morte.

Un binomio che diventa più comprensibile se si considera che l’eros è semplicemente l’altra faccia di Tanathos.

Il mito è stato un tema importante per il cineasta friulano, così come il mondo arcaico, primitivo. I paesaggi sono spesso brulli, terrosi, pietrosi. E’ un modo per combattere la modernità. Era contro la speculazione edilizia in un momento in cui il passaggio dal mondo agricolo a quello industriale era in corso. Il mondo contadino è un bene comune universale; va tutelato come e quanto un’opera d’arte, secondo il nostro più acuto intellettuale del Novecento.

Se nello Yemen si è salvato un paesaggio lo dobbiamo a Pasolini. Egli andò in quel luogo della penisola arabica e girò un documentario con Rossellini produttore e l’inviò all’Unesco come appello di tutela e fu approvato. Nel 1982 in presenza di Romano Prodi si celebrò la ristrutturazione della città di “Sana A”con una targa di ricordo all’opera di Pasolini.

Su Napoli ha avuto parole di elogio.

“Napoli è la sola tribù che si è opposta alla modernità”.

A parte Totò interprete di un suo film, nel 1971 gira il “Decamerone” tutto a Napoli ripreso da quello del Boccaccio. Le chiese sono medievali. Sceglie Santa Chiara. Non è più l’ambiente borghese di Firenze ma quello plebeo di Napoli. Si racconta la vitalità dell’amore e del sesso che non è mai peccato. Lui stesso è presente nel film come allievo di Giotto.

L’ultimo suo libro è “Petrolio”in cui rivisita tutti suoi scritti, i suoi pensieri alla luce della crisi petrolifera di quegli anni. Incompiuto, scrisse solo 700 pagine. Uscì postumo come il suo film “Salò o le 120 giornate di Sodoma” che non riuscì a vedere perché fu ucciso barbaramente.

Il film si rifa alle “120 giornate di Sodoma” del marchese De Sade che scrisse nella prigione della Bastiglia durante la rivoluzione francese. Era un libertino, sposato pure, ma dai costumi molto licenziosi. Dopo la presa della Bastiglia finì in manicomio.

I 4 nobili che scelgono un certo numero di ragazzi e ragazze e li conducono in un castello dove abusano di loro in tutti i sensi possibili, vessandoli in quanto deboli e indifesi fino a mortificarne il corpo, sono sostituiti da Pasolini con 4 gerarchi fascisti della Repubblica di Salò. E’ una chiara denuncia del Potere, ripetuto in tutte le salse possibili. Sì perché il potere è anarchico, non guarda in faccia a nessuno, fa ciò che vuole, non solo; è arbitrario, non segue la logica comune. Ognuno di noi odia il potere che subisce in tutte le sue sfaccettature. La prepotenza e la prevaricazione sono suoi derivati.

Il film fu censurato e come tanti altri suoi film fu sequestrato e dissequestrato, tagliato e solo nel ’78 fu liberalizzato.

Sul Corriere della sera nel 1974 uscì un suo pezzo fortissimo “IO SO”con una lungaggine di argomenti “Ma non ho le Prove”.

Naturalmente parliamo degli anni di piombo, quando agivano le Brigate rosse. Nel 1975 il 2 novembre era con Giuseppe Pelosi, dopo un appuntamento alla stazione Termini per un caffè, si recarono al Lido d’Ostia. Qui fu dapprima percosso in malo modo e poi qualcuno salì sulla sua stessa macchina e lo travolse finendolo brutalmente. Si chiamò Ninetto Davoli per il riconoscimento ufficiale della salma. Pelosi trascorse 9 anni in carcere, ma il mistero sulla sua morte permane irrisolto.
Non è una novità, troppe cose successe in Italia in quegli anni giacciono senza una risposta, né una spiegazione. Forse perché intervennero i servizi segreti.

Certo è che un Paese che non ha fatto i conti con il proprio passato e quel passato che ha visto anche l’uccisione di Aldo Moro, resta un Paese senza futuro.

Napoli, 11 marzo 2022